L’euforia mediatica suscitata dal cinquantenario dei primi passi di un essere umano sulla superficie lunare sta interessando anche le musiche riferite in qualche modo al satellite terrestre e alle avventure affrontate per raggiungerlo. Ad esempio “Space Oddity” di David Bowie, canzone uscita su 45 giri in anticipo di nove giorni sull’evento, appena riedita in cofanetto, oppure Apollo: Atmospheres and Soundtracks, le composizioni firmate nel 1983 da Brian Eno insieme al fratello Roger Eno e al produttore canadese Daniel Lanois, a loro volta oggetto di ristampa.
Registrate in origine per accompagnare un documentario dedicato alle missioni lunari della Nasa, vissero all’epoca di vita propria, a causa della difficile gestazione del lungometraggio di Al Reinert, che fu rinviato e rielaborato fino alla versione definitiva del 1989, ribattezzata For All Mankind (dove il materiale musicale in questione fu usato soltanto parzialmente). Attribuito allora al solo Brian Eno (mentre nell’intestazione attuale figurano pure i partner citati), Apollo: Atmospheres and Soundtracks divenne il suo nono album da solista, quinto ascrivibile alla categoria “ambient”. Di quel filone, del quale egli – abile nel ripresentare in veste contemporanea la musique d’ameublement di Erik Satie – è considerato pioniere, costituiva un adattamento acquiescente, quasi “new age”, essendo all’ascolto facile e rassicurante, se paragonato con i quattro predecessori.
Eppure, Apollo: Atmospheres and Soundtracks nel tempo ha guadagnato status da opera riveritissima, avvantaggiandosi dell’entità del pretesto congenito. L’esordio dal vivo è datato luglio 2009: allo Science Museum della capitale britannica venne proposta per due sere di fila la trascrizione delle partiture affidata al compositore sudcoreano Jun Lee per renderle eseguibili dall’ensemble orchestrale Icebreaker diretto da James Poke e potenziato dalla pedal steel del chitarrista BJ Cole, chiamati a sonorizzare la proiezione del film di Reinert, con replica l’anno dopo al “Brighton International Festival”.
Lo spettacolo è diventato quindi – con i medesimi ingredienti e gli stessi musicisti, affiancati nella circostanza da Roger Eno e Gyda Valtysdottir, violoncellista islandese – fulcro di Apollo Soundtrack, uno degli apici nel programma di Matera Capitale Europea della Cultura, il 18 luglio nella Cava del Sole, 48 prima di un allestimento analogo al Barbican di Londra.
Esattamente a metà strada fra i due appuntamenti si colloca la riedizione del disco, cui ne è stato accoppiato un altro frutto della “reinvenzione” della colonna sonora del documentario da parte degli identici protagonisti. Nulla di memorabile, in verità: identica lunghezza d’onda, ma non altrettanto smalto.
Al confronto, il contenuto originario suona tuttora maggiormente ispirato. Ideate da Eno sullo slancio dei ricordi di chi aveva assistito all’avvenimento rimanendone “insoddisfatto”, perché “il piccolo schermo con i suoi colori opachi era poco appropriato alla vastità dello spazio” e “le chiacchiere sgradevoli degli esperti oscuravano la stravagante grandezza dell’evento con una patina di realismo”, spiegava nelle note di copertina, le musiche di Apollo riposizionavano il senso dell’impresa in uno scenario da frontiera americana, divenendo una sorta di – ipse dixit – “country a gravità zero” grazie agli interventi di Lanois alla chitarra, tipo un Paris, Texas di Ry Cooder su fondale siderale in episodi quali “Silver Morning”, “Deep Blue Day” e “Weightless”, benché il più celebre sia rimasto l’etereo “An Ending (Ascent)”, riutilizzato poi al cinema in Traffic e 28 giorni dopo.