Ha più di 15 anni il Palazzetto Bru Zane ma non ha perso ancora slancio e freschezza nelle proposte sempre nuove e sempre stimolanti anche per un pubblico non di esperti. Proposte che nascono dal lavoro di 21 membri dell’agile staff distribuiti fra la sede veneziana e la capitale francese, dove si trova il grosso delle fonti. Ma frutto anche di un connubio piuttosto singolare per una istituzione culturale fra ricerca e offerta musicale sotto forma di concerti o produzioni lirici ma anche di una ricca proposta di pubblicazioni destinate a un pubblico molto diversificato.
A pochi giorni dall’inaugurazione della rassegna veneziana di primavera del Palazzetto Bru Zane, quest’anno intitolato “Bizet, l’amore ribelle” in occasione del centocinquantenario della morte del celebre compositore, di questi aspetti abbiamo parlato con Étienne Jardin, storico di formazione e grande esperto della vita musicale francese del XVIII e XIX secolo, che da molti anni coordina la ricerca e le pubblicazioni del Centre de musique romantique française.
Comincerei con una curiosità: si parla ovunque di crisi del disco ma voi del Palazzetto Bru Zane continuate a investirci. Perché questa scelta all’apparenza controcorrente?
Le nostre non sono semplici registrazioni di opere, ma alle registrazioni si accompagna un volume, nel quale, oltre al libretto, cerchiamo di fornire testi che illuminino l’ascoltatore sull’opera e possano far luce sull’opera stessa o sul suo compositore, sul librettista o su qualche suo storico interprete. Non si tratta necessariamente di oggetti accademici, ma cerchiamo comunque di affidare i testi a esperti o ricercatori che si sono occupati con serietà e rigore di quel particolare lavoro o del suo compositore. Naturalmente, restando nel campo delle pubblicazioni, il Palazzetto Bru Zane offre molto altro.
Ad esempio?
Ad esempio, una pubblicazione online completamente gratuita, cioè Bru Zane Mediabase Questo sito web è rivolto potenzialmente a tutti i destinatari del nostro lavoro, sia al grande pubblico, sia agli specialisti o ai ricercatori. È un lavoro continuo per mettere a disposizione materiali sempre nuovi. Da tempo stiamo digitalizzando archivi di istituzioni ma anche di privati che vogliamo mettere on line per salvaguardare manoscritti o archivi fisici di musicisti rimasti nelle case dei loro discendenti, materiali che spesso giacevano in soffitte e che la gente non aveva necessariamente il tempo o la capacità di utilizzare. Digitalizzarli significa affidare materiali preziosi a centri di archiviazione più adatti a questo scopo, come la Bibliothèque nationale de France. In primo luogo, però la loro messa online consente ai ricercatori di tutto il mondo di accedere a manoscritti, a lettere e a immagini che sono preziosi per i loro studi.

Non è curioso che per una istituzione culturale si parli di ricerca o anche di scienza?
Da sempre il Palazzetto Bru Zane ha prestato grande attenzione alle istanze del mondo accademico. Parte della nostra attività editoriale si può davvero qualificare come scientifica, come ad esempio la collezione che abbiamo realizzato con l’editore francese Actes Sud, con cui produciamo circa un paio di volumi ogni anno. Fino a poco tempo fa, abbiamo realizzato volumi molto cospicui, ad esempio dei libri “collettivi” con contributi di diversi autori sullo stesso soggetto, un particolare genere musicale o un compositore, oppure i tre volumi di 600 pagine ciascuno degli scritti di Vincent D’Indy. Si tratta di grandi formati destinati a un pubblico piuttosto ristretto di specialisti, che forse in futuro dovremo ripensare, non necessariamente perché il Palazzetto Bru Zane non abbia le risorse per sostenerli ma piuttosto perché non hanno un vero mercato e quindi non ha troppo senso continuare a investirci. Da qualche tempo ci stiamo riposizionando su pubblicazioni destinate a un pubblico un po' più ampio com’è il caso dell'ultimo libro che abbiamo pubblicato, Carmen à sa création, un libro splendidamente illustrato con molte immagini d'epoca, ma con testi comunque affidati ad esperti. Volevamo fare un libro che fosse attraente per gli occhi ma che potesse trasmettere contenuti sfogliandolo attraverso documenti d'epoca. Crediamo sia un passo nella giusta direzione per il futuro. Ciò detto, non vogliamo abbandonare del tutto il mondo della ricerca e del resto abbiamo un budget che destiniamo ogni anno per facilitare la pubblicazione di libri sulla musica nella Francia del XIX secolo da parte di diversi editori come Gallimard e Fayard o anche più piccoli e non solo francesi.
A proposito di Carmen e di Bizet, cosa avete preparato in occasione del prossimo festival a Venezia? Ci saranno scoperte o sorprese per il pubblico?
Ci saranno parecchie sorprese, soprattutto perché per il grande pubblico Bizet è Carmen e basta. Non appena si esce da Carmen, inevitabilmente scopriamo molte cose inedite e sorprendenti. A Venezia proporremo il Docteur Miracle in forma di concerto. Questa opéra comique in un solo atto del giovanissimo Bizet sarà arricchita e resa più fruibile per il pubblico italiano da alcuni intermezzi dell’attore Vincenzo Tosetto. Assumendo le vesti dell’assistente del Dottor Miracolo, Tosetto racconterà gli sviluppi della spassosa vicenda che ha per protagonista il Podestà di Padova. Ma durante il festival, ci sarà spazio anche per le mélodies, la cui produzione da parte di Bizet merita di essere conosciuta e rivalutata, e ampio spazio avrà il pianoforte, strumento che il compositore padroneggiò sapientemente.
E per quanto riguarda le pubblicazioni?
Non abbandoneremo del tutto Carmen. Abbiamo infatti pensato a due oggetti che ruotano intorno a quest’opera. Si tratta ovviamente del nostro DVD, il primo, uscito già lo scorso novembre con la registrazione video dall’Opéra di Rouen della ricostruzione del primo allestimento dell’opera accompagnato da un libro che illustra il nostro approccio storico a quest'opera. Il secondo prodotto è, come ho detto, Carmen à sa création, nel quale viene presentato un repertorio di immagini di cui si nutrirono i creatori di Carmen prima che l’opera fosse creata e un testo di Hervé Lacombe, una grande autorità in materia. Faremo anche un passo indietro, per così dire, rispetto a Carmen con un nuovo volume, il sesto, nella collana “Portraits”, un po’ trascurata negli ultimi anni. Nei quattro CD, che presentano ben sette composizioni registrate per la prima volta, abbiamo cercato di mostrare diverse facce del Bizet compositore, molte poco note come i pezzi per pianoforte, le mélodies e soprattutto un’ode-sinfonia composta a Villa Medici a Roma intitolata Vasco de Gama, un pezzo che combina musica sinfonica e parti recitate in maniera piuttosto originale. C’è anche una nuova registrazione di Djamileh‚ l’opéra comique che Bizet compose poco prima di Carmen.
Infine, in maggio, quindi alla fine del festival veneziano, è prevista l’uscita di un libro per Actes Sud di Patrick Taïeb, Et Célestine Galli-Marié créa Carmen. Un féminicide à l'Opéra-Comique, dedicato alla prima interprete del ruolo di Carmen. Si tratta sia di una biografia che di un’analisi della Carmen alla luce della carriera della Galli-Marié, che fu anche l’ispiratrice della celebre habanera Ed ebbe anche un’influenza decisiva sulla creazione dell’opera più celebre di Bizet.
Come funziona il rapporto con la direzione artistica? Le proposte del Palazzetto Bru Zane nascono sempre dalla ricerca o sono piuttosto le scelte artistiche a guidare la ricerca? Oppure tutte le scelte vengono fatte attraverso un dialogo?
Direi che fra ricerca e scelte artistiche esiste un vero e proprio dialogo, il che significa che lavoriamo alle nostre stagioni a volte con due, tre o anche quattro anni di anticipo, sviluppando spunti che ovviamente vengono dal dipartimento artistico. Il dialogo nasce da opportunità di eseguire qualche lavoro raro o dalla volontà di collaborare con alcune orchestre che esprimono delle preferenze sulle composizioni da presentare. Da una prima idea o piuttosto da un embrione di idee, possiamo costruire un progetto di festival per un tema all’interno del quale si possano includere determinate composizioni. Spesso, non vorrei dire forzatamente, cerchiamo di seguire gli anniversari. Non è sempre così ma spesso lo è perché ci siamo resi conto che le nostre attività hanno molta più risonanza a livello di media quando in occasione di una qualche ricorrenza. In generale, cerchiamo di identificare varie idee o iniziative e, a partire da là, cerchiamo di mettere insieme le cose più interessanti e discutiamo di come tradurle in un programma e di come convincere insieme i potenziali partner a programmare un determinato lavoro, un programma da concerto e via dicendo, sperando che durante i quattro anni che normalmente passano fra le nostre discussioni e la realizzazione concreta non ci siano delle sorprese o i programmatori non abbiano cambiato idea. Da ricercatore, ciò che soprattutto mi interessa è il modo in cui utilizziamo queste produzioni per parlare al grande pubblico di un aspetto della Francia musicale dell'Ottocento, di come gettiamo luce su aspetti che normalmente vengono discussi solo in ambito accademico o da studiosi altamente specializzati.
Il Palazzetto ha ormai superato i 15 anni di attività. Avete assistito a un cambiamento nel repertorio, soprattutto in Francia. Avete contribuito. Sentite di aver dato il vostro contributo?
Sì e siamo anche molto orgogliosi di certi successi. In realtà lo sentiamo meno in Francia che in altri Paesi, in particolare in Germania. Con l’Orchestra della Radiotelevisione bavarese abbiamo già realizzato numerosi progetti, di cui l’ultimo Mazeppa di Clémence de Grandval diventerà un CD con libro la primavera prossima. Abbiamo collaborazioni anche con l’Opera di Dortmund, che ha già presentato allestimenti di Frédégonde di Guiraud, Saint-Saëns e Dukas e de La montagne noire di Augusta Holmès, ma anche con l’Aalto Musiktheater di Essen per Fausto di Louise Bertin e in questa stagione a Karlsruhe si è vista Phèdre di Jean-Baptiste Lemoyne, un’altra nostra riscoperta registrata anche in CD. Fino a pochi anni fa, parlando con molti programmatori, l’impressione era di proporre opere che ritenevano brutte anche senza una vera conoscenza o che non erano buona musica. Dopo 15 anni, ho l'impressione che si guardi al repertorio romantico francese in modo diverso e che i teatri d'opera, in Germania ma non solo, non abbiano più il timore di presentare anche opere poco note di Gounod o Offenbach o di autori meno popolari, oppure versioni alternative di opere molto popolari. Credo che possiamo dire di essere riusciti a dimostrare che molti dei lavori scomparsi dalle scene da molti decenni, se non da secoli, erano trascurati ingiustamente. È motivo di soddisfazione riempire i teatri con titoli che non sono necessariamente le opere viste e riviste dei soliti repertori lirici.

Una riscoperta di cui va particolarmente fiero?
Per esempio, Herculanum di Félicien David. Quando ne abbiamo parlato con la gente, riscontravamo un certo scetticismo. Dicevano che non era possibile allestire un lavoro del genere. Invece, dopo la nostra registrazione per il libro e CD nella collana “Opéra Français” nel 2014, ci sono state due diverse produzioni con cast differenti in due teatri europei, al Festival di Wexford nel 2016 e al Müpa di Budapest nel 2021. Un altro esempio è il Fausto di Louise Bertin, che abbiamo recuperato nell’ambito del nostro impegno nei confronti delle compositrici francesi. Nessuno ne aveva mai sentito parlare. La prima volta l'abbiamo presentato (e registrato) in una versione da concerto al Théâtre des Champs-Elysées nel 2023 e nella stagione successiva l’opera è stata presentata in versione scenica all’Aalto Musiktheater di Essen. È motivo di grande soddisfazione vedere l’entusiasmo che questo tipo di operazioni risveglia nei programmatori o negli artisti.
Mai nessuna delusione in questo percorso di successi o magari qualche risultato al di sotto delle attese?
Alcune ce ne sono. Di recente abbiamo proposto il Werther di Massenet, un’opera molto popolare ma nella versione meno nota con baritono protagonista, e sorprendentemente l’interesse non è stato come ci si sarebbe potuti aspettare. Lo abbiamo preso come un incoraggiamento a concentrarci su titoli del tutto sconosciuti rivolgendoci a un pubblico curioso. In generale, nella nostra sede veneziana, dove abbiamo un centinaio di posti per il pubblico, ci possiamo permettere delle scommesse folli come programmare musica da camera del tutto improbabile, spesso mai eseguita da secoli, che conosciamo solo studiando le partiture. Talvolta quello che alla lettura può sembrare interessante, non regge alla prova dell’esecuzione. Questo accade più di rado con l'opera, dove ci concediamo molto più tempo per ascoltare, provare al pianoforte con cantanti o realizzare piccole registrazioni. Visti i finanziamenti richiesti in questo tipo di produzioni, non possiamo permetterci il lusso di andare in scena senza una conoscenza più approfondita del lavoro.
Torniamo alla ricerca. Cosa c’è ancora da scoprire in un repertorio tutto sommato non così lontano dal nostro tempo.
Personalmente credo ci sia ancora molto lavoro da fare per dare una prospettiva più corretta al modo in cui pensiamo alla Francia musicale del XIX secolo. Nei Conservatori e talvolta anche nelle Università ci sono ancora molti preconcetti su questo repertorio e molte idee sbagliate su ciò che è e su ciò che dovrebbe essere.
Avete partner privilegiati, immagino soprattutto in Francia, che è il vostro mercato più naturale.
In effetti, nostro partner privilegiato è un gruppo di ricerca italiano, cioè il Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini di Lucca. Con loro dal 2010 organizziamo due o tre convegni ogni all’anno in Toscana ma anche altrove. I nostri convegni sono in varie lingue per raggiungere un pubblico il più ampio possibile. Abbiamo anche collaborazioni con diversi gruppi di ricerca, in particolare con France Music Culture, una sorta di rete di ricerca guidata da due importanti ricercatori, Mark Everist dell’Università di Southampton e Katharine Ellis dell’Università di Cambridge. Intorno a loro operano diversi giovani ricercatori che lavorano sulla Francia del XIX secolo e alla cui attività il Palazzetto Bru Zane offre sostegno finanziario. Naturalmente abbiamo anche una buona conoscenza dei ricercatori francesi che lavorano sul repertorio di nostro interesse. A seconda dei loro progetti, cerchiamo di aiutarli appoggiando l’organizzazione di conferenze e la pubblicazione di libri o magari facilitando l’accesso a determinati archivi.

Da loro vi arrivano anche stimoli o idee per le vostre riscoperte?
Assolutamente sì. La difficoltà è piuttosto conciliare i tempi della ricerca con quelli della produzione‚ che sono necessariamente diversi. In questa attività, bisogna imparare ad avere pazienza con questo genere di cose. I nostri progetti spesso fanno sognare ai ricercatori di poter un giorno ascoltare quelle opere sulle quali lavorano per anni. Quando possibile, cerchiamo di realizzare quei sogni.
C’è una scoperta di cui è particolarmente orgoglioso?
In 15 anni ce ne sono state molte e questo è certo un motivo di orgoglio. Citerei il lavoro di Sébastien Troester che, studiando i fondi degli archivi dei teatri di varietà conservati alla Bibliothèque nationale de France, ha recuperato quelli della versione originale, prima della sua prima messa in scena, de La vie parisienne di Jacques Offenbach. Abbiamo così avuto l’opportunità di far conoscere una nuova versione di quest'opera buffa, piuttosto nota, ma che prima della sua prima messa in scena aveva una forma diversa, senza i tagli necessari per far fronte alle capacità dei cantanti previsti in quella occasione. In maniera piuttosto inattesa, abbiamo avuto l’opportunità di offrire qualcosa di davvero originale e illuminante sull’idea originaria di Offenbach per questo lavoro e di presentare uno spettacolo che sulla carta poteva funzionare. E così è stato.