Laura Richaud ha davvero a cuore il futuro della musica classica. Oltre che pianista e didatta, è la direttrice artistica dell’Accademia di Musica di Pinerolo, una realtà ormai consolidata che nasce ufficialmente nell’ottobre del 2000, ma ha radici profonde nello spazio e nel tempo: già nei primi anni Novanta le stesse persone che avrebbero costituito il cuore dell’Accademia dedicavano anima e corpo all’associazionismo e ad attività culturali.
Chi conosce l’Accademia per la fama dei corsi di specializzazione o segue la vivace Stagione concertistica che li correda non si stupirà poi troppo di quella che è una notizia davvero rilevante: con l’inizio dell’anno accademico 2019-2020 è nata la Scuola di specializzazione post-laurea per pianoforte, pianoforte contemporaneo, viola, violino, violoncello e chitarra. Basta dare un’occhiata alla lista dei docenti selezionati per i corsi – una formazione da All-Star Game della musica classica (qualche nome: Pavel Gililov, Andrea Lucchesini, Enrico Pace, Roberto Plano, Jacques Rouvier, Pierre-Laurent Aimard, Emanuele Arciuli, Massimiliano Damerini, Nicolas Hodges, Irvine Arditti, Fabio Biondi, Lukas Hagen, Natalia Prishepenko, Yuri Bashmet, Luca Ranieri, Danilo Rossi, Enrico Dindo, Mischa Maisky, Miklós Perényi, Rohan De Saram, Giampaolo Bandini, Carlo Marchione, Judicaël Perroy, Giovanni Puddu) – per capire che la Scuola non è semplicemente la prima in Italia a rilasciare un titolo di 3° livello equipollente alle Scuole di Specializzazione in Beni Musicali, ma ambisce ad allineare il nostro Paese al contesto internazionale.
Ne abbiamo parlato con Laura Richaud.
Come nasce l’idea della Scuola di Specializzazione post-laurea in Beni Musicali Strumentali?
«I corsi di specializzazione costituiscono in realtà il coronamento di 25 anni di lavoro. La svolta è avvenuta alla fine del 2015, con la pubblicazione del decreto interministeriale che ha fortemente innovato il contesto in cui operiamo, dando la possibilità alle realtà di eccellenza di rilasciare titoli riconosciuti. Più di tre anni di preparazione e di lavoro istruttorio e finalmente quello che era un sogno tanti anni fa oggi è una realtà».
Si sente dunque di affermare che si tratta del coronamento di una carriera da strumentista e da direttore artistico?
«Mentirei se nascondessi la gioia e la soddisfazione per questo risultato. Ma non lo considero un traguardo personale: è la realizzazione di un progetto didattico, al più alto livello universitario, che assicura un futuro concreto ai nostri allievi e alla nostra istituzione».
Il progetto nasce in stretta continuità con l’Accademia di Musica di Pinerolo: cosa eredita da quella straordinaria esperienza?
«Potrei rispondere: tutto! La struttura e lo staff, per prima cosa. Il tesoro accumulato nel rapporto con i nostri docenti nei corsi dell’Accademia e nel progetto di Musica d’Estate, i rapporti intessuti con i giurati del Concorso internazionale, la carriera già avviata da parte di decine di nostri allievi o vincitori del Concorso, la regolare presenza di grandissimi artisti nella nostra Stagione concertistica».
Nel progetto è coinvolta la Fondazione Spinola-Banna per l’Arte…
«La didattica della Scuola, accanto a lezioni individuali di strumento, prevede la frequenza collettiva di corsi, seminari, masterclass. La meravigliosa struttura di Banna – come hanno dimostrato le tante edizioni del loro “Progetto Musica” – è il luogo ideale per accogliere per quei periodi gruppi di allievi e di docenti concentrati sui vari focus previsti dal programma. Siamo veramente grati alla famiglia Spinola per averci consentito di condividere il progetto nella loro sede».
Le classi attivate saranno sei: pianoforte, pianoforte contemporaneo, violino, viola, violoncello e chitarra…
«Si tratta degli strumenti fondamentali sui quali si è basata la nostra esperienza didattica precedente, e per i quali abbiamo intessuto una rete di rapporti con alcuni dei più grandi didatti del mondo. La scelta è stata naturale».
Come è avvenuta la selezione dei docenti?
«Come accennavo, la selezione è stata naturale ed è avvenuta nell’arco di un lungo periodo. Con i nostri docenti e il nostro staff ci siamo interrogati su quale potesse essere la migliore offerta didattica realizzabile: i risultati, mi pare, parlano da soli».
Cosa devono aspettarsi gli studenti che si iscrivono alla Scuola?
«Tanto lavoro! Suonare musica ad alto livello è un punto d’incontro tra natura e cultura, o, se si vuole, tra talento, tecnica ed esperienza. La selezione per entrare nella Scuola sarà molto rigorosa, e i diplomati magistrali talento e tecnica li devono già aver ben dimostrati. Dovranno aspettarsi di essere al centro di un progetto, in cui tutti quelli che vi partecipano hanno l’obiettivo di fornire gli strumenti migliori per liberare la personalità artistica e professionale di ognuno».
Vivere di musica oggi non è facile. La Scuola mira a valorizzare il lavoro autonomo e l’imprenditorialità dei suoi allievi…
«Il musicista “classico” deve affrontare problemi nuovi: non deve tradire la sua missione, legata all’interpretazione dal vivo di un repertorio scritto, e deve trovare il modo di declinare la sua attività all’interno della realtà contemporanea».
«Il musicista “classico” deve affrontare problemi nuovi: non deve tradire la sua missione, legata all’interpretazione dal vivo di un repertorio scritto, e deve trovare il modo di declinare la sua attività all’interno della realtà contemporanea».
«Non si tratta “solo” di suonare davanti a un pubblico: bisogna inventarsi ogni giorno un nuovo approccio. Anche l’interpretazione artistica è soggetta alle leggi dell’imprenditorialità: occorre quindi porre l’accento sull’aggettivo (“artistica”), in modo che tutte le altre componenti (comunicazione, economia, progettualità) ci ruotino intorno».
Ha qualche consiglio da dare a chi si appresta a intraprendere una carriera di strumentista di alto profilo?
«Può sembrare banale dirlo, ma tenere le orecchie ben aperte è una buona via di partenza. Non solo quelle fisiche, ovviamente, ma quelle della mente: coltivare la religione del dubbio, non dare nulla per scontato, chiedersi sempre perché. Poi, prendere lo strumento, e lasciare che canti il cuore».