Al Teatro La Fenice "Le baruffe" di Battistelli e Michieletto

Intervista a Damiano Michieletto coautore del libretto e regista del nuovo “teatro di musica” di Giorgio Battistelli dalla commedia di Carlo Goldoni, commissionato dal teatro veneziano in occasione dei 60 anni della Marsilio Editori e che debutta il prossimo 22 febbraio

"Le baruffe" (prove - foto di Michele Crosera)
"Le baruffe" (prove - foto di Michele Crosera)
Articolo
classica

«Sono partito dall’idea di creare un affresco, perché volevo fare qualcosa che riguardasse il territorio nel suo aspetto collettivo. Le baruffe chiozzotte era il testo più idoneo, il più simbolico, quello che davvero rappresenta una parte importante del teatro goldoniano, e soprattutto fra i più significativi se collegato a un luogo e alla sua voce.» Descrive così il compositore Giorgio Battistelli la sua nuova opera, la seconda in questa stagione dopo il Julius Caesar che lo scorso novembre ha inaugurato con successo la stagione dell’Opera di Roma. Occasione per questo nuovo lavoro commissionato dal Teatro La Fenice, che lo presenterà in prima assoluta il prossimo 22 febbraio (con quattro repliche fino al 4 marzo), è il sessantesimo anniversario della Marsilio Editori, che dal 1993 cura l’edizione nazionale dei lavori di Carlo Goldoni, e al ricordo di Cesare De Michelis, lo scomparso studioso di letteratura e presidente della casa editrice veneziana, in carica fin dal 1969.

"Le baruffe" (bozzetti dei costumi - Carla Teti)
"Le baruffe" (bozzetti dei costumi - Carla Teti)

La commedia, una delle più popolari del grande commediografo, mette in scena i conflitti e le schermaglie amorose di una piccola comunità di pescatori di Chioggia descritta con tratti di vivido naturalismo che riguarda anche la particolare dimensione linguistica di quella realtà. Riflesso della natura corale di questo lavoro è la lunga locandina che comprende ben dodici ruoli solistici, divisi fra i focosi giovani, protagonisti delle schermaglie amorose – Francesca Sorteni (Lucietta), Silvia Frigato (Checca), Francesca Lombardi Mazzulli (Orsetta), Leonardo Cortellazzi (Toffolo) e Enrico Casari (Titta-Nane) – e i vecchi depositari della saggezza popolare ma non meno protagonisti nelle vivaci dispute – Valeria Girardello (Madonna Pasqua), Alessandro Luongo (Padron Toni), Marcello Nardis (Beppo), Rocco Cavalluzzi (Padron Fortunato), Loriana Castellano (Madonna Libera), Pietro Di Bianco (Padron Vicenzo) – che finiscono davanti alla legge (Federico Longhi, Isidoro). Accanto a loro, ci saranno anche coro e orchestra del Teatro La Fenice diretti da Enrico Calesso. A curare l’allestimento sarà Damiano Michieletto, da anni presenza assidua nelle produzioni del teatro lirico veneziano, che sarà coadiuvato dai collaboratori abituali, cioè Paolo Fantin per le scene, Carla Teti per i costumi e Alessandro Carletti per il disegno luci.

Oltre alla regia, Damiano Michieletto ha anche firmato l’adattamento del testo goldoniano a libretto in collaborazione con Giorgio Battistelli. Per parlare di questo importante debutto, abbiamo raggiunto il regista veneziano durante una pausa delle prove che in questi giorni stanno entrando nel vivo.

Damiano Michieletto (foto Stefano Guindani)
Damiano Michieletto (foto Stefano Guindani)

Questo è il tuo secondo Goldoni dopo il Ventaglio del 2012. Come mai questa riluttanza ad affrontare il più importante autore di teatro veneto per un teatrante veneto come te?

«È vero: Il ventaglio è l’unico lavoro di Goldoni che ho realizzato nel teatro di prosa. Anni fa con il Teatro Stabile del Veneto, produttore de Il ventaglio, avevamo lavorato a progetti sulla drammaturgia veneta dialettale del Novecento e su autori come Eugenio Ferdinando Palmieri o Renato Simoni ma non su Goldoni. Nonostante le apparenze, Goldoni mi piace moltissimo ed è uno degli autori nella drammaturgia classica con cui sento più affinità. È un autore sul quale avrei molto da dire, soprattutto adesso che non ho più 25 anni e ho la maturità per affrontarlo in teatro, restituendogli magari un po’ quello spessore che la sua lingua ha e che io sento molto vicina, essendo cresciuto con quella lingua nelle orecchie».

Di quel Ventaglio dicevi che ti piaceva “perché è una storia d'amore sospesa nel tempo e nello spazio: non è collocata da Goldoni in uno spazio preciso, e non ci sono elementi sociali che forzano i personaggi in una determinata cornice storica.” Al contrario, Le baruffe chiozzotte già dal titolo denuncia un legame con un luogo preciso e mette in scena un ambiente sociale molto definito come una comunità di pescatori di Chioggia. Altre differenze?

«Già nel titolo, Le baruffe chiozzotte indica un luogo preciso, mentre Il ventaglio è un oggetto, o un concetto quasi. Il primo è una commedia di ambiente popolare, mentre il secondo è una commedia degli equivoci, quasi un meccanismo a orologeria. C’è invece un aspetto che li accomuna: sono entrambi lavori corali, senza un o una protagonista principale, che sollecita un grande affiatamento di tutti gli interpreti perché tutti contribuiscono all’intreccio nel quale interagisce e interviene anche il coro. La dimensione corale ha determinato la scelta di questo testo per farne un’opera per il Teatro La Fenice. La trasformazione in opera lirica rende ancora più potente questo carattere di coralità già molto presente nel testo teatrale».

"Il ventaglio"
"Il ventaglio"

Dici giustamente che nel lavoro goldoniano ci sono coordinate geografiche precise. Eppure avete eliminato il riferimento a Chioggia nel titolo. C’è una intenzione di sganciare l’opera da quel contesto geografico?

«Abbiamo scelto Le baruffe come titolo soprattutto per non replicare pedissequamente il titolo originale, come Martinů ha intitolato Mirandolina la sua versione operistica della Locandiera di Goldoni. Ma è anche un modo per concentrare sull’aspetto più carnale, più “corporale” della storia. Se Chioggia non si vede nel titolo, resta sicuramente il dialetto chioggiotto nel nostro lavoro come elemento molto forte, anche nella creazione musicale».

Il libretto è frutto di un lavoro congiunto con Giorgio Battistelli: come avete conciliato obiettivi non sempre convergenti come quelli del compositore e del regista?

«Il librettista numero uno resta Carlo Goldoni. Io mi sono limitato a confezionare un libretto a partire dall’originale goldoniano apportando dei tagli sulla base di mie intuizioni teatrali, cercando cioè di capire dove fosse possibile ridurre il testo senza perdere la trama originale per arrivare ad avere una struttura utile per un’opera di poco più di un’ora e mezza di durata. Su quella base, Giorgio Battistelli ha fatto diversi aggiustamenti linguistici, sulle parole in modo che il testo funzionasse anche sul piano musicale per questo “teatro di musica”, come lo stesso Battistelli ha definito questo lavoro. La nostra intenzione era creare un libretto come Goldoni scrive, cioè molto chiaro, molto intelligibile. Goldoni è il campione della chiarezza, della precisione. Non volevamo tradire il suo spirito, mescolandolo con altre cose, con altri interventi, magari trasformandolo in qualcosa “da” Goldoni in cui poi mescolare di tutto. No, il libretto di queste Baruffe è Goldoni».

Rispetto alla trama originale, tuttavia, ci sarà l’aggiunta di un prologo: di che si tratta?

«Il prologo iniziale è una sorta di abbrivio, scritto raccogliendo i termini goldoniani che riguardano i nomi propri, i nomi dei venti, i nomi dei pesci, le offese che si rivolgono fra personaggi. Questo “catalogo” iniziale sarà come un drone che atterra in un posto preciso: non puoi essere altro che a Chioggia. Superato questo prologo, si torna a Carlo Goldoni con la musica di Giorgio Battistelli, che ti porta altrove e crea le sue atmosfere».

Hai descritto questo prologo come “una specie di rap, o una cantilena”. C’entra anche la musica o sono solo parole?

«La musica c’è e sarà una sorta di ostinato nel quale queste parole vengono ripetute come una sorta di sciabordio dell’acqua, come in un movimento costante che immette nell’atmosfera lagunare. Non ho ancora avuto modo di sentire l’effetto con l’orchestra piena: il pianoforte rende solo un'idea vaga, soprattutto in un’orchestrazione ricca come quella di Battistelli. Sono curioso anch'io di scoprire l'effetto: è il bello di lavorare su un'opera nuova! Nessuno la conosce, nessuno parte prevenuto, nessuno può dire “si fa così perché si è sempre fatta così” o magari perché l'autore vuole che sia così. Un’opera nuova mette tutti su un livello di scoperta e di curiosità: lo sguardo è molto più disponibile e aperto sul materiale, senza la zavorra che lavori già consolidati portano spesso con sé».

"Le baruffe" (bozzetto - Paolo Fantin)
"Le baruffe" (bozzetto - Paolo Fantin)

Specialmente questo testo goldoniano contiene molti elementi “folcloristici”, che ne hanno fatto la fortuna sulle scene. Nella riduzione a libretto, cosa avete soprattutto sacrificato dell’originale?

«Il secondo atto è ridotto all’osso, tagliando tutta la parte in cui i pescatori vanno a testimoniare dal “cogitor”, il coadiutore del Cancelliere Criminale. Quella parte è molto “attoriale”: credo che lo stesso Goldoni l’abbia scritta pensando a delle prove d'attore, alle risate del pubblico provocate dall’ironia sui personaggi della commedia, che il pubblico veneziano aveva ben presenti. Tutti i personaggi vanno a parlare in successione al giudice, raccontando cose che il pubblico già conosce per averle già apprese prima. Drammaturgicamente, quindi, è trascurabile, anche se non lo è dal punto di vista della comicità attoriale, delle battute comiche. Abbiamo mantenuto solo il primo dialogo fra Toffolo e il “cogitor” Isidoro, che serve a far entrare nella storia quest’ultimo personaggio necessario alla trama. Nel complesso, come ho detto, non cambia la storia, che si dipana dalla fetta di zucca arrostita venduta da Canocchia e che Toffolo offre a Lucietta scatenando la gelosia di Titta-Nane. Quella zucca ho deciso di potenziarla, facendola diventare quasi un simbolo: compare all’inizio della storia, alla fine ed è un elemento che torna come un tormentone. È quasi come se tutto fosse originato da quella zucca arrostita, un po’ come i guai creati da Puck nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. In Baruffe invece c’è la zucca che confonde le coppie degli innamorati».

... come era anche il ventaglio nell'altro tuo lavoro goldoniano …

«Esatto. È un filo che tiene insieme e sviluppa la trama».

“C’è un’inquietudine di fondo, perché la lettura che abbiamo voluto dare di queste Baruffe non è quella tipica di una commedia: ci troviamo di fronte a un’umanità povera, e nel colore di fondo si annida una certa drammaticità” hai detto. Cosa deve aspettarsi il pubblico?

«Come in ogni opera è la musica a dare l’atmosfera principale e la musica di Giorgio Battistelli, è la mia impressione, sottolinea piuttosto le baruffe, i litigi, la confusione anche violenta, e le gelosie che mettono in moto gli scontri fra i personaggi. L’atmosfera cioè è più carnale, più fisica. È quello che colgo nella musica e che ho cercato di mettere nello spettacolo. Naturalmente c'è anche spazio per la commedia, per la teatralità. Il colore teatrale prende da Goldoni i personaggi molto concreti, diretti, popolari e li fa scontrare o, meglio, li immerge in quella atmosfera musicale. È la musica che mi fornisce l’ispirazione e indicare in quale direzione andare».

"Le baruffe" (Damiano Michieletto durante le prove - foto di Michele Crosera)
"Le baruffe" (Damiano Michieletto durante le prove - foto di Michele Crosera)

In due (o tre) parole come sarà lo spettacolo?

«Sarà uno spettacolo tecnicamente molto semplice ma molto dinamico, molto movimentato. Nel progetto scenico di Paolo Fantin, avremo pareti in movimento che ridefiniscono continuamente lo spazio. Sarà uno spettacolo sempre in movimento, uno spettacolo che tiene sempre con il fiato sospeso».

Qualche giorno prima del debutto de Le baruffe, nell’ambito del Carnevale della Biennale di Venezia a Forte Marghera si inaugura Archèus. Labirinto Mozart, l’installazione immersiva realizzata con Ophicina, il laboratorio creativo che hai lanciato con Paolo Fantin, Alessandro Carletti e Matteo Perin. Vuoi parlarne?

«L’idea era di realizzare qualcosa uscendo dal mondo performativo, dal mondo narrativo, cioè da quello teatrale, per proporre un tipo di linguaggio più legato all'arte figurativa e installativa. Abbiamo cercato di mettere a frutto le conoscenze e le esperienze accumulate in 20 anni di lavoro, collaborando con La Biennale di Venezia per questo progetto completamente trasversale legato all'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale e ai 1600 anni dalla fondazione di Venezia. Si tratta di un viaggio parallelo al Flauto magico nel quale abbiamo portato il nostro background, le nostre conoscenze del mondo dell’opera per un percorso in cui lo spettatore, entrando in un tunnel completamente al buio, perde la luce, la vista. Si perde cioè come Tamino e, come Tamino, intraprende un viaggio iniziatico di scoperta guidato dalla musica e dal flauto per raggiungere una sorta di nuova armonia, di nuova consapevolezza. Lungo il tunnel si aprono 5 stanze. In ognuna c’è una installazione, nella quale si ripercorrono le tracce di Tamino e Pamina, accompagnati dalla musica di Mozart. Questa installazione non fa uso di tecnologia, di strumenti digitali, di video ma è completamente "teatrale" nel senso di artigianale, di fisico, che è quello che abbiamo imparato in questi anni di lavoro in teatro. Si inaugura il 18 febbraio».

Quali altri progetti ha in cantiere Ophicina?

«Parteciperemo anche alla Biennale Arte con un’installazione per il Padiglione Venezia. Un lavoro che si ispirerà al tema scelto dalla curatrice Cecilia Alemani, il latte dei sogni».

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