Senza la necessità di richiamarsi a anniversari particolari (era nata nell’agosto del 1930 ed è mancata 80 anni dopo), vogliamo qui fare un breve excursus nella originale produzione di Abbey Lincoln, singolare figura di cantante afroamericana che si è ritagliata un importante ruolo “politico” nella storia del jazz della seconda metà del ventesimo secolo.
Emersa come fascinosa voce da night club, fa poi prepotentemente il suo ingresso nel mondo del grande jazz grazie al marito Max Roach, con cui contribuisce a due capolavori come Freedom Now! Suite e Percussion Bitter Sweet.
L’impegno politico la terrà per molto tempo lontana dalla ribalta americana, ma l’attenzione di pubblico e produttori europei, unita a un attento equilibrio tra narrazione e classicità la vedrà poi nuovamente protagonista nell’ultimo scorcio del Millennio.
L’intensa vicenda di Lincoln, che anche in Italia non ha mancato di ispirare recentemente progetti della Lydian Sound Orchestra e di Ada Montellanico, è al centro ora di un bel libro di Luigi Onori, Abbey Lincoln. Una voce ribelle tra jazz e lotta politica (L’asino d’oro, 260 pp., 15€), che ne traccia non solo gli intensi contorni biografici, ma anche una preziosa mappatura discografica.
Lasciandovi al piacere della lettura del libro per approfondire, abbiamo pensato di segnalare 10 momenti chiave della produzione della cantante del Michigan. Come sempre, un punto di partenza per qualcosa di più profondo da non dimenticare.
Strong Man, da That’s Him (Riverside, 1957)
Uno dei primi dischi a nome Abbey Lincoln, qui con partner del livello di Sonny Rollins e Wynton Kelly. Questo tema di Oscar Brown Jr. già la vede immergersi in sguardi non convenzionali sull’universo dei generi e dei sentimenti.
Afro Blue, da Abbey’s Blue (Riverside 1959)
Abbey è tra le primissime interpreti di questo celebre tema di Mongo Santamaria, cui dona una iconica profondità espressiva.
African Lady, da Straight Ahead (Candid, 1961)
Uno dei capisaldi della sua produzione, in compagnia della “banda” Candid (Dolphy, Booker Little, ovviamente Roach), contiene anche questo ulteriore richiamo all’Africa, uscito dalla penna di Langston Hughes e Randy Weston.
Tears For Johannesburg & Tryptych, da We Insist! Freedom Now Suite (Candid, 1961)
Di questo capolavoro della musica afroamericana abbiamo anche qualche testimonianza video, come quella per la TV belga. Potevamo non metterla?
Mendacity, da Percussion Bitter Sweet (con Max Roach, Impulse!, 1961)
Altro capolavoro di quei ferventi primissimi anni Sessanta di Roach, che affida anche qui alla Lincoln un ruolo di detonante emotività.
People In Me, da People In Me (Philips, 1973)
Registrato in Giappone con alcuni membri della band elettrica di Miles Davis, questo interessante lavoro di transizione lancia già alcuni segnali della intensa narrazione degli anni a seguire.
Castles, da The Maestro (con Cedar Walton, Muse, 1981)
A inizi anni Ottanta Lincoln contribuisce a questo bel lavoro del pianista Cedar Walton, firmando anche alcuni temi come questa istintiva e splendida “Castles”.
You And I, da Talking To The Sun (Enja, 1984)
La rilettura di questa bella canzone di Stevie Wonder è solo una delle perle di un disco in cui Lincoln ormai gestisce appieno la propria leadership e che vede un giovane Steve Coleman al sax contralto.
Angel Face, da When There Is Love (con Hank Jones, Verve, 1992)
Altro pianista con cui scatta subito l’affinità: il raffinato Hank Jones. Il tema che vi proponiamo è composto a 4 mani, classico e moderno al tempo stesso.
And It’s Supposed To Be Love, da Wholly Earth (Verve, 1998)
Anche in questo sontuoso lavoro la cifra compositiva della cantante si fa sentire netta e riconoscibile. Da recuperare!