Tra Arminio e Teseo
L’annuale edizione del Festival internazionale Händel di Karlsruhe
Recensione
classica
Se per Halle è un obbligo “naturale” onorare il suo cittadino più illustre, da 39 anni Karlsruhe non si dimentica di festeggiarlo intorno al 23 febbraio, la data del suo compleanno. Dal 1977 l’antica capitale del Baden onora uno dei giganti del barocco musicale europeo, Georg Friedrich Händel, con un festival che nel corso del tempo si va affermando sempre più come una delle tappe d’obbligo per i molti fan del compositore sassone. Rispetto agli altri due luoghi consacrati al culto händeliano in Germania, Halle e Göttingen (che vanta la tradizione più lunga), Karlsruhe ha cominciato un po’ in sordina nel proprio Badisches Staatstheater con gli Händel-Tage, che nel 1985 sono diventati un festival a tutti gli effetti. Il fulcro resta ancora oggi il Badisches Staatstheater, che negli anni più recenti ha raddoppiato l’offerta portando a due le produzioni operistiche e arricchito il programma degli eventi collaterali con numerosi recital di specialisti e concerti, che vedono spesso impegnati i Deutschen Händel-Solisten, orchestra “di servizio” dal 1984 dedita alla prassi esecutiva storicamente informata, caso abbastanza unico nei teatri stabili tedeschi.
L’edizione 2016 proponeva un programma particolarmente allettante, con molte star del canto barocco, già nel concerto di apertura con il controtenore Franco Fagioli, i soprani Julia Lezhneva e Karina Gauvin impegnati in un programma dedicato al “Rinaldo” händeliano accompagnato dall’orchestra Il Pomo d’Oro diretta da Stefano Montanari e dalle letture di Donna Leon, autrice di bestseller popolarissima anche in Germania e “mamma” del Commissario Brunetti, fortunata serie tv prodotta dalla tv pubblica ARD. La scrittrice americana, residente da anni a Venezia, è anche una generosa mecenate della musica barocca e in questo ruolo è anche stata protagonista di un incontro con il pubblico nell’ambito del festival. Fra gli altri eventi musicali di particolare spicco erano il recital in solitaria ancora di Franco Fagioli dal titolo “Baroque Broadway: Händel vs Porpora”, accompagnato da Armonia Atenea, e quello di Ann Hallenberg con arie degli händeliani “Hercules” e “Ariodante” alternate alle suite orchestrali da “Platée” e “Les Boréades” di Rameau interpretate dai Deutschen Händel-Solisten sotto la direzione di Lars Ulrik Mortensen.
Come sempre, piatto forte del Festival Händel si confermavano le due produzioni sceniche: quest’anno la novità Arminio e la ripresa del fortunatissimo Teseo. Già presentato con grande successo nella scorsa edizione del festival, Teseo tornava sulla scena del Badisches Staatstheater per tre sole rappresentazioni con locandina invariata e riscuotendo un successo forse anche maggiore che nel 2015. Opera di straordinaria varietà espressiva, composta su un libretto “alla francese” in cinque atti tratto dalla tragédie en musique di Philippe Quinault con la musica di Lully di una quarantina di anni prima, riprende, benché con minore fortuna, la formula del fortunatissimo Rinaldo del 1711 nella miscela di elementi eroici e magici. Accolta dal pubblico con un certo favore, non paragonabile comunque a quello tributato al Rinaldo, gli annali ne ricordano soprattutto le disgraziate vicende che segnarono la sua breve vita teatrale dopo il battesimo a Londra nel 1713 – la fuga dell’impresario del Queen's Theatre Owen MacSwiney con l’incasso del botteghino alla seconda recita e, più tardi un incidente alle complesse macchine sceniche che limitarono il godimento degli spettacolari “effetti speciali” – prima del lungo oblio interrotto con la prima ripresa in tempi moderni a Göttingen nel 1947.
Nel Teseo i paladini lasciano posto ai personaggi dei miti classici, trattati comunque con grande disinvoltura. Entrambe concupite (con moderazione) dall’ondivago monarca Egeo, le due primedonne Agilea e la maga Medea si contendono l’eroe Teseo, che però ha occhi solo per la prima e pertanto scatena le inevitabili furie della maga, decisissima a usare tutte le sue arti per impedire l’inevitabile trionfo della coppia. Battaglia di primedonne anche sulla scena di Karlsruhe sulla quale si fronteggiavano a colpi di colorature Yetzabel Arias Fernandez, languorosa Agilea, e Roberta Invernizzi, Medea furiosa di accattivante fascino (si sa che i “bad guys”, almeno in teatro, piacciono di più). Valer Sabadus non è certo un Teseo fiammeggiante né dai mezzi vocali possenti ma conquista con la pulizia dello stile stile e la bellezza del timbro. Di Larissa Wäspy e Terry Wey, impegnati nelle incessanti schermaglie amorose di Clizia e Arcane, si apprezzava soprattutto la freschezza, anche se lei mostrava più mordente e spigliatezza. E Flavio Ferri-Benedetti, terzo controtenore nel cast, aggiungeva un gusto discretamente parodico alla caratterizzazione del suo Egeo vocalmente anfibio. In buca i Deutsche Händel-Solisten offrivano nel complesso una prova convincente (peccato solo per quei troppi inciampi dell’oboe solista nell’aria di Agilea “M’adora l'idol mio” e per i fiati non sempre precisi), diretti con una certa scattante rigidità da Michael Form. La scena stilizzata e molto funzionale nei movimenti di Flurin Borg Madsen caratterizzava in maniera efficace i due mondi in lotta per la conquista di Teseo grazie anche al raffinato disegno luci di Rico Gerstner e alle proiezioni di Benedikt Dichgans e Philipp Engelhardt che aggiungevano profondità alle ampie superfici della scena. Ottimo anche il lavoro del regista Daniel Pfluger, che firmava quasi una coreografia senza rinunciare a una caratterizzazione credibile dei personaggi corente con la natura antinaturalista della drammaturgia händeliana. Specialmente riuscita la grande scena dell’ “orrido deserto, ripieno di mostri spaventosi” che chiudeva il terzo atto con plastica grandiosità.
Il Teseo del Badisches Staatstheater di Karlsruhe
La novità dell’edizione 2016, si diceva, era Arminio, lavoro piuttosto trascurato nel catalogo händeliano e oggetto di recupero solo in anni recenti grazie soprattutto all’edizione discografica firmata una quindicina di anni fa da Alan Curtis. Opera tarda nella produzione londinese di Händel (il debutto è al Covent Garden nel 1737), Arminio è un lavoro di maggiore densità e compattezza drammatica rispetto al Teseo che invece è più giovanilmente creativo. Coerentemente con il tono drammatico del soggetto, prevalgono le tonalità minori e anche le elaborate trame vocali, marchio di fabbrica del compositore, sono meno fantasmagoriche e spesso funzionali alle ragioni della drammaturgia. Nonostante l’alta fattura musicale, tuttavia, l’opera fu abbandonata dopo solo sei recite e dimenticata per oltre due secoli.
La nuova produzione di Karlsruhe arrivava in concomitanza con una nuova registrazione dell’opera, che presenta un cast vocale non troppo diverso da quello ascoltato a Karlsruhe. Non era un caso: l’operazione era infatti promossa dalla Parnassus Arts Productions, società austriaca attiva nel campo della produzione discografica e teatrale, che da qualche anno persegue la stessa formula con altri lavori raramente eseguiti del repertorio barocco, confezionandoli in pacchetti “all inclusive” pronti per l’uso dei teatri. Per l’occasione, la star della “maison”, il controtenore Max Emmanuel Cencic, si presentava nel doppio ruolo del protagonista Arminio e di regista debuttante. Accanto a lui, la cui vitale esuberanza vocale degli esordi appare oggi un po’ attenuata ma a tutto vantaggio di una maggiore introspezione (e la scelta di un ruolo come quello di Arminio conferma il cambio di rotta), un elenco di giovani interpreti di già provata qualità. Si difendeva con onore Layla Claire nei panni della moglie incrollabilmente fedele Tusnelda ma anche Ruxandra Donose dava grande estro e carattere a Remise, sorella di Arminio. Juan Sancho confermava la solida tecnica e un’ “aisance” nel registro tenorile più acuto, ideale per il ruolo di Varo. Il basso Pavel Kudinov era poco più che funzionale al ruolo del traditore Segeste, mentre degli altri due controtenori, Owen Willetts cesellava il suo Tullio con estro e agilità e Vince Yi regalava al suo Sigismondo una freschezza timbrica di colore sopranile combinata a una tecnica infallibile. In buca Armonia Atenea confermava le note qualità che lo pongono come una degli esemble più giovani e interessanti non solo nel proprio paese di origine, la Grecia, ma anche nel panorama internazionale: flessibilità, scatto ma anche pienezza e cura del suono, tutte qualità che si devono in gran parte all’ottimo lavoro del direttore Georges Petrou. Da questo punto di vista, il lavoro fatto anche in questo “Arminio” ne era una conferma.
Puntava all’aggiornamento storico l’allestimento, spostando la scena dalla Germania impegnata nelle lotte contro l’impero romano all’Europa centrale travolta del ciclone napoleonico, interpretato visivamente con un certo gusto antiquario nella scena girevole di Helmut Stürmer e nei sontuosi costumi dello stesso Stürmer con Corina Gramosteanu. Un giudizio sulla regia andrà rinviato all’edizione 2017 nella quale è già annunciata la ripresa dello spettacolo. La recita del 21 febbraio, quella alla quale abbiamo assistito, è stata infatti funestata da un grave incidente a un tecnico quasi schiacciato della scena (ma non in pericolo di vita). Per la cronaca, durante l’aria di Arminio “Al par della mia sorte” urla da dietro le quinte provocavano la fuga dei cantanti dalla scena e l’interruzione dello spettacolo. Sorpresa e sgomento in platea e un’incertezza di oltre un’ora fino alla decisione di continuare lo spettacolo senza però l’ausilio della scena, posta sotto sequestro dall’autorità di polizia per i necessari accertamenti sulle responsabilità. Molti applausi, dal sapore quasi liberatorio, nel resto dell’esecuzione e grande entusiasmo per tutti gli interpreti. Appuntamento comunque rinviato al 2017.
L’Arminio al Badisches Staatstheater di Karlsruhe
Un fuori programma non händeliano di un certo interesse era “L’autre monde”, spettacolo in scala ridotta per un attore e due strumentisti prodotto dai francesi Théâtre de l’Incrédule e Académie Bach d’Arques-la-Bataille e già disponibile anche in un DVD realizzato in occasione delle recite parigine all’Athénée nel 2013. Oltre alla presenza in scena, Benjamin Lazar, già regista proprio a Karlsruhe nel 2014 di un interessante “Riccardo I” di Händel (qui la recensione), firmava anche la messa in scena di questo spettacolo secondo lo stile “autentico” che l’ha imposto all’attenzione di pubblico e critica già a partire dal suo Bourgeois gentilhomme: solo candele per illuminazione, gestualità ricercata filologicamente accurata e, nel caso specifico, pronuncia secondo l’uso del XVII secolo, ossia il secolo nel quale Savinien Cyrano de Bergerac (sì, proprio quello del nasone) scrive L'altro mondo o gli stati e gli imperi della luna, romanzo “fantascientifico” che si inserisce in un filone letterario di viaggi interplanetari per recuperare senni perduti o per semplice curiosità scientifica. Invece nel racconto di Cyrano, recitato con virtuosistico eclettismo dallo stesso Lazar con l’ausilio di pochi elementi di attrezzeria (una sedia, una scala e un leggio), i lunari somigliano tremendamente ai francesi per una certa inclinazione a una logica di natura cartesiana e al puntiglio della confutazione filosofica. Gli interventi musicali della gambista Florence Bolton e del liutista Benjamin Perrot con musiche di Saint-Colombe, Dufaut, Marais e altri aggiungevano una patina di auteticità a un allestimento di elegante gusto pittorico d’epoca.
Come nelle scorse edizioni, anche quest’anno i vincitori degli Händel-Jugendpreis, concorso aperto agli studenti di scuole musicali e non nella regione del Baden-Württemberg, erano i protagonisti del concerto organizzato in collaborazione con la Società händeliana di Karlsruhe. Pezzi vari quelli proposti dai vincitori delle tre categorie (solisti, piccoli ensemble e grandi ensemble) ma, ovviamente, solo musica antica. Poco più che un saggio di scuola, ma la capacità di qualcuno facevano ben sperare com’era il caso della brillante Nicola Pfeffer, che presentava una Sonata HWV 365 di Händel per flauto a becco, o di Leonie Meier, impegnata nella Fantasia n. 7 di Telemann per traversiere, oppure del giovanissimo sopranista Jan Jerlitschka impegnato in due arie di Purcell e di Händel. Al di là del glamour festivaliero, anche questa edizione del Festival internazionale Händel manifestava la volontà di mantenere saldo il suo legame con il territorio e l’interesse a promuovere anche ai possibili händeliani di domani, due elementi ben presenti nel suo DNA. Come dire che solo con radici ben ancorate al territorio si continua a crescere.
L’edizione 2016 proponeva un programma particolarmente allettante, con molte star del canto barocco, già nel concerto di apertura con il controtenore Franco Fagioli, i soprani Julia Lezhneva e Karina Gauvin impegnati in un programma dedicato al “Rinaldo” händeliano accompagnato dall’orchestra Il Pomo d’Oro diretta da Stefano Montanari e dalle letture di Donna Leon, autrice di bestseller popolarissima anche in Germania e “mamma” del Commissario Brunetti, fortunata serie tv prodotta dalla tv pubblica ARD. La scrittrice americana, residente da anni a Venezia, è anche una generosa mecenate della musica barocca e in questo ruolo è anche stata protagonista di un incontro con il pubblico nell’ambito del festival. Fra gli altri eventi musicali di particolare spicco erano il recital in solitaria ancora di Franco Fagioli dal titolo “Baroque Broadway: Händel vs Porpora”, accompagnato da Armonia Atenea, e quello di Ann Hallenberg con arie degli händeliani “Hercules” e “Ariodante” alternate alle suite orchestrali da “Platée” e “Les Boréades” di Rameau interpretate dai Deutschen Händel-Solisten sotto la direzione di Lars Ulrik Mortensen.
Come sempre, piatto forte del Festival Händel si confermavano le due produzioni sceniche: quest’anno la novità Arminio e la ripresa del fortunatissimo Teseo. Già presentato con grande successo nella scorsa edizione del festival, Teseo tornava sulla scena del Badisches Staatstheater per tre sole rappresentazioni con locandina invariata e riscuotendo un successo forse anche maggiore che nel 2015. Opera di straordinaria varietà espressiva, composta su un libretto “alla francese” in cinque atti tratto dalla tragédie en musique di Philippe Quinault con la musica di Lully di una quarantina di anni prima, riprende, benché con minore fortuna, la formula del fortunatissimo Rinaldo del 1711 nella miscela di elementi eroici e magici. Accolta dal pubblico con un certo favore, non paragonabile comunque a quello tributato al Rinaldo, gli annali ne ricordano soprattutto le disgraziate vicende che segnarono la sua breve vita teatrale dopo il battesimo a Londra nel 1713 – la fuga dell’impresario del Queen's Theatre Owen MacSwiney con l’incasso del botteghino alla seconda recita e, più tardi un incidente alle complesse macchine sceniche che limitarono il godimento degli spettacolari “effetti speciali” – prima del lungo oblio interrotto con la prima ripresa in tempi moderni a Göttingen nel 1947.
Nel Teseo i paladini lasciano posto ai personaggi dei miti classici, trattati comunque con grande disinvoltura. Entrambe concupite (con moderazione) dall’ondivago monarca Egeo, le due primedonne Agilea e la maga Medea si contendono l’eroe Teseo, che però ha occhi solo per la prima e pertanto scatena le inevitabili furie della maga, decisissima a usare tutte le sue arti per impedire l’inevitabile trionfo della coppia. Battaglia di primedonne anche sulla scena di Karlsruhe sulla quale si fronteggiavano a colpi di colorature Yetzabel Arias Fernandez, languorosa Agilea, e Roberta Invernizzi, Medea furiosa di accattivante fascino (si sa che i “bad guys”, almeno in teatro, piacciono di più). Valer Sabadus non è certo un Teseo fiammeggiante né dai mezzi vocali possenti ma conquista con la pulizia dello stile stile e la bellezza del timbro. Di Larissa Wäspy e Terry Wey, impegnati nelle incessanti schermaglie amorose di Clizia e Arcane, si apprezzava soprattutto la freschezza, anche se lei mostrava più mordente e spigliatezza. E Flavio Ferri-Benedetti, terzo controtenore nel cast, aggiungeva un gusto discretamente parodico alla caratterizzazione del suo Egeo vocalmente anfibio. In buca i Deutsche Händel-Solisten offrivano nel complesso una prova convincente (peccato solo per quei troppi inciampi dell’oboe solista nell’aria di Agilea “M’adora l'idol mio” e per i fiati non sempre precisi), diretti con una certa scattante rigidità da Michael Form. La scena stilizzata e molto funzionale nei movimenti di Flurin Borg Madsen caratterizzava in maniera efficace i due mondi in lotta per la conquista di Teseo grazie anche al raffinato disegno luci di Rico Gerstner e alle proiezioni di Benedikt Dichgans e Philipp Engelhardt che aggiungevano profondità alle ampie superfici della scena. Ottimo anche il lavoro del regista Daniel Pfluger, che firmava quasi una coreografia senza rinunciare a una caratterizzazione credibile dei personaggi corente con la natura antinaturalista della drammaturgia händeliana. Specialmente riuscita la grande scena dell’ “orrido deserto, ripieno di mostri spaventosi” che chiudeva il terzo atto con plastica grandiosità.
Il Teseo del Badisches Staatstheater di Karlsruhe
La novità dell’edizione 2016, si diceva, era Arminio, lavoro piuttosto trascurato nel catalogo händeliano e oggetto di recupero solo in anni recenti grazie soprattutto all’edizione discografica firmata una quindicina di anni fa da Alan Curtis. Opera tarda nella produzione londinese di Händel (il debutto è al Covent Garden nel 1737), Arminio è un lavoro di maggiore densità e compattezza drammatica rispetto al Teseo che invece è più giovanilmente creativo. Coerentemente con il tono drammatico del soggetto, prevalgono le tonalità minori e anche le elaborate trame vocali, marchio di fabbrica del compositore, sono meno fantasmagoriche e spesso funzionali alle ragioni della drammaturgia. Nonostante l’alta fattura musicale, tuttavia, l’opera fu abbandonata dopo solo sei recite e dimenticata per oltre due secoli.
La nuova produzione di Karlsruhe arrivava in concomitanza con una nuova registrazione dell’opera, che presenta un cast vocale non troppo diverso da quello ascoltato a Karlsruhe. Non era un caso: l’operazione era infatti promossa dalla Parnassus Arts Productions, società austriaca attiva nel campo della produzione discografica e teatrale, che da qualche anno persegue la stessa formula con altri lavori raramente eseguiti del repertorio barocco, confezionandoli in pacchetti “all inclusive” pronti per l’uso dei teatri. Per l’occasione, la star della “maison”, il controtenore Max Emmanuel Cencic, si presentava nel doppio ruolo del protagonista Arminio e di regista debuttante. Accanto a lui, la cui vitale esuberanza vocale degli esordi appare oggi un po’ attenuata ma a tutto vantaggio di una maggiore introspezione (e la scelta di un ruolo come quello di Arminio conferma il cambio di rotta), un elenco di giovani interpreti di già provata qualità. Si difendeva con onore Layla Claire nei panni della moglie incrollabilmente fedele Tusnelda ma anche Ruxandra Donose dava grande estro e carattere a Remise, sorella di Arminio. Juan Sancho confermava la solida tecnica e un’ “aisance” nel registro tenorile più acuto, ideale per il ruolo di Varo. Il basso Pavel Kudinov era poco più che funzionale al ruolo del traditore Segeste, mentre degli altri due controtenori, Owen Willetts cesellava il suo Tullio con estro e agilità e Vince Yi regalava al suo Sigismondo una freschezza timbrica di colore sopranile combinata a una tecnica infallibile. In buca Armonia Atenea confermava le note qualità che lo pongono come una degli esemble più giovani e interessanti non solo nel proprio paese di origine, la Grecia, ma anche nel panorama internazionale: flessibilità, scatto ma anche pienezza e cura del suono, tutte qualità che si devono in gran parte all’ottimo lavoro del direttore Georges Petrou. Da questo punto di vista, il lavoro fatto anche in questo “Arminio” ne era una conferma.
Puntava all’aggiornamento storico l’allestimento, spostando la scena dalla Germania impegnata nelle lotte contro l’impero romano all’Europa centrale travolta del ciclone napoleonico, interpretato visivamente con un certo gusto antiquario nella scena girevole di Helmut Stürmer e nei sontuosi costumi dello stesso Stürmer con Corina Gramosteanu. Un giudizio sulla regia andrà rinviato all’edizione 2017 nella quale è già annunciata la ripresa dello spettacolo. La recita del 21 febbraio, quella alla quale abbiamo assistito, è stata infatti funestata da un grave incidente a un tecnico quasi schiacciato della scena (ma non in pericolo di vita). Per la cronaca, durante l’aria di Arminio “Al par della mia sorte” urla da dietro le quinte provocavano la fuga dei cantanti dalla scena e l’interruzione dello spettacolo. Sorpresa e sgomento in platea e un’incertezza di oltre un’ora fino alla decisione di continuare lo spettacolo senza però l’ausilio della scena, posta sotto sequestro dall’autorità di polizia per i necessari accertamenti sulle responsabilità. Molti applausi, dal sapore quasi liberatorio, nel resto dell’esecuzione e grande entusiasmo per tutti gli interpreti. Appuntamento comunque rinviato al 2017.
L’Arminio al Badisches Staatstheater di Karlsruhe
Un fuori programma non händeliano di un certo interesse era “L’autre monde”, spettacolo in scala ridotta per un attore e due strumentisti prodotto dai francesi Théâtre de l’Incrédule e Académie Bach d’Arques-la-Bataille e già disponibile anche in un DVD realizzato in occasione delle recite parigine all’Athénée nel 2013. Oltre alla presenza in scena, Benjamin Lazar, già regista proprio a Karlsruhe nel 2014 di un interessante “Riccardo I” di Händel (qui la recensione), firmava anche la messa in scena di questo spettacolo secondo lo stile “autentico” che l’ha imposto all’attenzione di pubblico e critica già a partire dal suo Bourgeois gentilhomme: solo candele per illuminazione, gestualità ricercata filologicamente accurata e, nel caso specifico, pronuncia secondo l’uso del XVII secolo, ossia il secolo nel quale Savinien Cyrano de Bergerac (sì, proprio quello del nasone) scrive L'altro mondo o gli stati e gli imperi della luna, romanzo “fantascientifico” che si inserisce in un filone letterario di viaggi interplanetari per recuperare senni perduti o per semplice curiosità scientifica. Invece nel racconto di Cyrano, recitato con virtuosistico eclettismo dallo stesso Lazar con l’ausilio di pochi elementi di attrezzeria (una sedia, una scala e un leggio), i lunari somigliano tremendamente ai francesi per una certa inclinazione a una logica di natura cartesiana e al puntiglio della confutazione filosofica. Gli interventi musicali della gambista Florence Bolton e del liutista Benjamin Perrot con musiche di Saint-Colombe, Dufaut, Marais e altri aggiungevano una patina di auteticità a un allestimento di elegante gusto pittorico d’epoca.
Come nelle scorse edizioni, anche quest’anno i vincitori degli Händel-Jugendpreis, concorso aperto agli studenti di scuole musicali e non nella regione del Baden-Württemberg, erano i protagonisti del concerto organizzato in collaborazione con la Società händeliana di Karlsruhe. Pezzi vari quelli proposti dai vincitori delle tre categorie (solisti, piccoli ensemble e grandi ensemble) ma, ovviamente, solo musica antica. Poco più che un saggio di scuola, ma la capacità di qualcuno facevano ben sperare com’era il caso della brillante Nicola Pfeffer, che presentava una Sonata HWV 365 di Händel per flauto a becco, o di Leonie Meier, impegnata nella Fantasia n. 7 di Telemann per traversiere, oppure del giovanissimo sopranista Jan Jerlitschka impegnato in due arie di Purcell e di Händel. Al di là del glamour festivaliero, anche questa edizione del Festival internazionale Händel manifestava la volontà di mantenere saldo il suo legame con il territorio e l’interesse a promuovere anche ai possibili händeliani di domani, due elementi ben presenti nel suo DNA. Come dire che solo con radici ben ancorate al territorio si continua a crescere.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana
classica
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento