Per sport
Musica e sport per un minifestival all’Alte Oper di Francoforte
Recensione
classica
Informa il dizionario Treccani: “Spòrt sost. m. [dall’ingl. sport, forma aferetica dell’ant. disport, prestito dal fr. ant. desport (cfr. diporto)]. – Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizî e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui si realizza, praticati, nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (s. dilettantistici, s. olimpici), differenziandosi così dal gioco in senso proprio, sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, che è proprio di ogni attività lavorativa.” Di competitivo o anche di agonistico tuttavia c’era poco o nulla nella piccola isola tematica “Fokus: Sport” all’interno della generosa programmazione musicale dell’Alte Oper, l’antico teatro lirico e oggi contenitore di eventi musicali di prestigio a Francoforte sul Meno. Tre giornate di eventi musicali “indoor” dal 10 al 12 marzo, in molti casi difficilmente assimilabili al tema della rassegna e probabilmente più in sintonia con “disport” nel senso originario di svago o di divertimento da faccende serie, fatte salve alcune prove atletiche di accattivante virtuosismo.
Nelle prima delle due giornate “di riscaldamento” che precedevano la grande maratona finale (la “Lunga notte” del 12 marzo), nella Sala Mozart si sono esibiti l’Ensemble Modern diretto da Sian Edwards in un articolato programma aperto da “Mit etwas Extremismus” (Con un certo estremismo), composizione di Nicolaus Huber per suoni molto fisici e spesso senza supporto di strumenti canonici, al limite del rumore. Molto “fisico” anche il rapporto fra violoncellista (qui Michael K. Kasper) e violoncello concepito da Robin Hoffmann nel suo “Schleifers Methoden für Violoncello solo” come vero e proprio esercizio fisico in cinque sezioni: fiato, coordinamento, forza, rigenerazione e strategia. Di ispirazione non lontana anche “Top Spin” di Vito Zuraj, quasi una performance dal tocco surreale (di sapore gastronomico) per trio di percussionisti in costante movimento rotatorio attorno a un tavolo rotondo ricoperto di oggetti sonori percossi con cucchiai. Meno legati al tema sportivo i pezzi che completavano il programma: la “Kammermusik n.1” di Paul Hindemith, eseguita comunque con frenetica energia, e lo “Study n.12” di Conlon Nancarrow nella trascrizione per complesso da camera di Yvar Mikhashoff. Perfettamente in tema invece il fuori programma che proponeva l’omaggio di Dieter Schnebel per il cinquantesimo compleanno di Nicolaus Huber “Poem für einen Springer” (Poema per un saltatore).
Francesco Tristano era il protagonista unico della seconda serata, che proponeva un insieme di pezzi eterocliti dal Sei/Settecento al Novecento (schivando l’Ottocento), da sempre la cifra dell’eclettico pianista lussemburghese, riuniti sotto il frescobaldiano titolo “Non senza fatica: motricità contro stasi”. Incorniciate fra due composizioni dello stesso Francesco Tristano fra gusto jazz e stilemi contemporanei, le geometrie sonore di Girolamo Frescobaldi si prendevano la scena nella prima parte con alcune Toccate dal Secondo libro e soprattutto le “Cento partite sopra passacagli”, pezzo affascinante eseguito dal pianista con concentrata precisione e ginnica eleganza. Nella seconda parte il Bach “danzato” al pianoforte delle Toccate BWV 911 e BWV 914 e del Preludio BWV 853, in un’interpretazione lontana da qualsiasi idea di autenticità come usa oggi ma più vicina alla sensibilità contemporanea. Gran finale con lo Stravinsky delle linee sghembe di “Tango” e dei tre frammenti di “Petrushka” in un’esecuzione di travolgente vitalità e notevole opulenza sonora.
La “Lunga notte” che chiudeva la rassegna offriva un complesso mosaico di programmi distribuiti su quattro sale all’interno dell’Alte Oper, sincronizzati per fascia oraria. Oltre quattro ore di concerti e conferenze in simultanea, organizzati in segmenti di 45 minuti seguiti da pause di quindici minuti per dare al tempo a ogni spettatore-maratoneta di raggiungere la tappa successiva del proprio personale percorso. Particolarmente adatto il pre-riscaldamento di “Eine brise”, azione fuggevole (nel senso stretto del movimento) per 111 ciclisti di Mauricio Kagel, organizzata e più che diretta “condotta” da Thomas Gimnich attorno al perimetro dello storico edificio. Apertura collettiva nella Sala grande con la hr-Sinfoniorchester diretta da Cristian Macelaru impegnata nelle celebri fanfare di solennità hollywoodiana composte da John Williams per i Giochi olimpici di Los Angeles del 1984, seguita da due pezzi dal basso coefficiente sportivo: la radiosa ouverture dell’ “Euryante” di Weber e le brillanti “Metamorfosi sinfoniche” composte da Paul Hindemith nel 1943 durante l’esilio a New Haven nel Connecticut per la New York Philharmonic.
Per il secondo segmento (qualificazioni) abbiamo scelto il racconto di una vera e propria gara fra due virtuosi dell’archetto di primo Ottocento, Paganini e Lipinski. In un’intima semioscurità il violinista Daniel Hope presta la voce al garbato racconto ma anche lo strumento per i numerosi intermezzi musicali ispirati al virtuosismo dei due rivali. Per il terzo segmento (girone principale) siamo tornati nella Sala grande nuovamente occupata dalla hr-Snfonieorchester che si lanciava nel scintillante movimento sinfonico “Rugby” di Arthur Honegger, seguito dal travolgente “Concerto per violino” di Korngold con l’appassionata e vigorosa interpretazione della formidabile Vilde Frang. Per il quarto segmento (semifinale) abbiamo preferito alle tarantelle e ninne nanne di Daniel Hope il programma “training e rigenerazione”: energetici pezzi contemporanei alternati a più rilassanti frammenti di musica antica in una curiosa dinamica di accelerazione e stasi. A contendersi la scena le tre bravissime soliste dell’Ensemble Interface per il contemporaneo – Anna d’Errico al pianoforte per il “Tema con 840 variazioni” di Enno Poppe, Bettina Berger al flauto per “Flames must not encircle Sides” di Robert Dick e Agnieszka Koprowska-Born alle percussioni per “Rebonds” di Iannis Xenakis – e l’anodino ensemble la Stagione diretto da Michael Schneider, che presentava pezzi di Gluck, Hotterre e Abel. L’ultimo segmento (finale) riuniva il pubblico superstite nella Sala grande. La hr-Sinfoniorchester guidata da Macelaru apriva con il curioso trittico sinfonico “Observing the Clouds” di Martin Smolka per tre gruppi strumentali, con una vera e propria partita di badminton sul palco che scandisce il ritmo dell’ultimo movimento. Chiudevano il programma le articolate sonorità di ispirazione naturalistica di “Tears of Nature” di Tan Dun, che vedevano scendere in pista l’atletico Martin Grubinger collegato a un iPhone che ne misurava il battito cardiaco durante le sue evoluzioni alla sterminata collezioni di percussioni (picchi di 194 pulsazioni nell’ultimo movimento!). Passata mezzanotte, l’infaticabile Grubinger congedava l’orchestra e regalava un brivido ai non pochi spettatori superstiti con il vorticoso “Planet Rudiment” per tamburo rullante in un perfetto finale acrobatico.
Nelle prima delle due giornate “di riscaldamento” che precedevano la grande maratona finale (la “Lunga notte” del 12 marzo), nella Sala Mozart si sono esibiti l’Ensemble Modern diretto da Sian Edwards in un articolato programma aperto da “Mit etwas Extremismus” (Con un certo estremismo), composizione di Nicolaus Huber per suoni molto fisici e spesso senza supporto di strumenti canonici, al limite del rumore. Molto “fisico” anche il rapporto fra violoncellista (qui Michael K. Kasper) e violoncello concepito da Robin Hoffmann nel suo “Schleifers Methoden für Violoncello solo” come vero e proprio esercizio fisico in cinque sezioni: fiato, coordinamento, forza, rigenerazione e strategia. Di ispirazione non lontana anche “Top Spin” di Vito Zuraj, quasi una performance dal tocco surreale (di sapore gastronomico) per trio di percussionisti in costante movimento rotatorio attorno a un tavolo rotondo ricoperto di oggetti sonori percossi con cucchiai. Meno legati al tema sportivo i pezzi che completavano il programma: la “Kammermusik n.1” di Paul Hindemith, eseguita comunque con frenetica energia, e lo “Study n.12” di Conlon Nancarrow nella trascrizione per complesso da camera di Yvar Mikhashoff. Perfettamente in tema invece il fuori programma che proponeva l’omaggio di Dieter Schnebel per il cinquantesimo compleanno di Nicolaus Huber “Poem für einen Springer” (Poema per un saltatore).
Francesco Tristano era il protagonista unico della seconda serata, che proponeva un insieme di pezzi eterocliti dal Sei/Settecento al Novecento (schivando l’Ottocento), da sempre la cifra dell’eclettico pianista lussemburghese, riuniti sotto il frescobaldiano titolo “Non senza fatica: motricità contro stasi”. Incorniciate fra due composizioni dello stesso Francesco Tristano fra gusto jazz e stilemi contemporanei, le geometrie sonore di Girolamo Frescobaldi si prendevano la scena nella prima parte con alcune Toccate dal Secondo libro e soprattutto le “Cento partite sopra passacagli”, pezzo affascinante eseguito dal pianista con concentrata precisione e ginnica eleganza. Nella seconda parte il Bach “danzato” al pianoforte delle Toccate BWV 911 e BWV 914 e del Preludio BWV 853, in un’interpretazione lontana da qualsiasi idea di autenticità come usa oggi ma più vicina alla sensibilità contemporanea. Gran finale con lo Stravinsky delle linee sghembe di “Tango” e dei tre frammenti di “Petrushka” in un’esecuzione di travolgente vitalità e notevole opulenza sonora.
La “Lunga notte” che chiudeva la rassegna offriva un complesso mosaico di programmi distribuiti su quattro sale all’interno dell’Alte Oper, sincronizzati per fascia oraria. Oltre quattro ore di concerti e conferenze in simultanea, organizzati in segmenti di 45 minuti seguiti da pause di quindici minuti per dare al tempo a ogni spettatore-maratoneta di raggiungere la tappa successiva del proprio personale percorso. Particolarmente adatto il pre-riscaldamento di “Eine brise”, azione fuggevole (nel senso stretto del movimento) per 111 ciclisti di Mauricio Kagel, organizzata e più che diretta “condotta” da Thomas Gimnich attorno al perimetro dello storico edificio. Apertura collettiva nella Sala grande con la hr-Sinfoniorchester diretta da Cristian Macelaru impegnata nelle celebri fanfare di solennità hollywoodiana composte da John Williams per i Giochi olimpici di Los Angeles del 1984, seguita da due pezzi dal basso coefficiente sportivo: la radiosa ouverture dell’ “Euryante” di Weber e le brillanti “Metamorfosi sinfoniche” composte da Paul Hindemith nel 1943 durante l’esilio a New Haven nel Connecticut per la New York Philharmonic.
Per il secondo segmento (qualificazioni) abbiamo scelto il racconto di una vera e propria gara fra due virtuosi dell’archetto di primo Ottocento, Paganini e Lipinski. In un’intima semioscurità il violinista Daniel Hope presta la voce al garbato racconto ma anche lo strumento per i numerosi intermezzi musicali ispirati al virtuosismo dei due rivali. Per il terzo segmento (girone principale) siamo tornati nella Sala grande nuovamente occupata dalla hr-Snfonieorchester che si lanciava nel scintillante movimento sinfonico “Rugby” di Arthur Honegger, seguito dal travolgente “Concerto per violino” di Korngold con l’appassionata e vigorosa interpretazione della formidabile Vilde Frang. Per il quarto segmento (semifinale) abbiamo preferito alle tarantelle e ninne nanne di Daniel Hope il programma “training e rigenerazione”: energetici pezzi contemporanei alternati a più rilassanti frammenti di musica antica in una curiosa dinamica di accelerazione e stasi. A contendersi la scena le tre bravissime soliste dell’Ensemble Interface per il contemporaneo – Anna d’Errico al pianoforte per il “Tema con 840 variazioni” di Enno Poppe, Bettina Berger al flauto per “Flames must not encircle Sides” di Robert Dick e Agnieszka Koprowska-Born alle percussioni per “Rebonds” di Iannis Xenakis – e l’anodino ensemble la Stagione diretto da Michael Schneider, che presentava pezzi di Gluck, Hotterre e Abel. L’ultimo segmento (finale) riuniva il pubblico superstite nella Sala grande. La hr-Sinfoniorchester guidata da Macelaru apriva con il curioso trittico sinfonico “Observing the Clouds” di Martin Smolka per tre gruppi strumentali, con una vera e propria partita di badminton sul palco che scandisce il ritmo dell’ultimo movimento. Chiudevano il programma le articolate sonorità di ispirazione naturalistica di “Tears of Nature” di Tan Dun, che vedevano scendere in pista l’atletico Martin Grubinger collegato a un iPhone che ne misurava il battito cardiaco durante le sue evoluzioni alla sterminata collezioni di percussioni (picchi di 194 pulsazioni nell’ultimo movimento!). Passata mezzanotte, l’infaticabile Grubinger congedava l’orchestra e regalava un brivido ai non pochi spettatori superstiti con il vorticoso “Planet Rudiment” per tamburo rullante in un perfetto finale acrobatico.
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