Pollini & Muti: la storia in scena

Inaugurato il Ravenna Festival 2019, con l’Orchestra Cherubini in gran forma

Muti & Pollini (Foto Silvia Lelli)
Muti & Pollini (Foto Silvia Lelli)
Recensione
classica
Ravenna, Palazzo Mauro De André
Muti & Pollini
05 Giugno 2019

Seratona! Non mancava proprio nessuno, dai VIP agli spettatori occasionali che non sanno come si silenzia il cellulare. Il Ravenna Festival colloca il concerto clou del 2019 in apertura di rassegna e “fa il botto”, mettendo insieme i decani dei pianisti e dei direttori italiani, musicisti fra i massimi della scena mondiale nell’ultimo mezzo secolo, cui fanno da sfondo le nuove leve dell’Orchestra Cherubini, una vera “orchestra giovanile”, sempre più interessante, sempre più perfetta. 

Praticamente coetanei, Pollini e Muti si conobbero a Milano, esibendosi insieme men che trentenni ai Pomeriggi Musicali; poi sua maestà Herbert von Karajan li invitò con i Berliner Philarmoniker: era il 1971, ma nei 50 anni successivi le occasioni d’incontro artistico sono state meno di quanto si potesse auspicare, al punto che in 30 anni di Ravenna Festival il magico duo rappresentava una primizia.

Come si sia evoluto il pianismo di Maurizio Pollini negli ultimi tempi è cosa nota: non cerchiamo oggi in lui la perlacea nettezza di trilli e gruppetti, ma la sofferenza sonora delle frasi cantabili, l’intensità degli Adagi piuttosto che la brillantezza degli Allegri. E così fra i due concerti mozartiani in programma (due nella stessa serata, come si faceva fino agli anni Cinquanta!), il K 466 in modo minore gli calza a pennello, suonato e risuonato per l’intera carriera, mentre il K 449, «di un genere tutto particolare» (parole di Mozart) e raramente praticato, gli resta più estraneo – più estraneo al Pollini di oggi, non certo a quello di una nota registrazione viennese del 1981...

Ma poco importa: il clima è da festa incondizionata, e risulta toccante vedere i due artisti, nel ripetuto percorso dentro-fuori per gli applausi, camminare lentamente a braccetto e colloquiare come vecchi amici al parco. Riccardo Muti in particolare, facendo gli onori di casa, non perde occasione, ad ogni pausa fra un movimento e l’altro dei due concerti, per sorridere al collega ed elogiarlo con cenni del capo, mentre sarà la signora Muti, presidente della manifestazione, a insignire il pianista d’uno speciale tributo di omaggio e riconoscenza artistica.

Dopo l’intervallo l’orchestra triplica di numero, e dà gran prova di sé nella Calma di mare e felice viaggio di Mendelssohn: Muti, ora protagonista assoluto della scena, è “in serata” e si diverte a scherzare con i suoi ragazzi, producendosi in atteggiamenti e ammiccamenti fuori protocollo. L’inizio del Boléro di Ravel, inserito in programma all’ultimo momento per il godimento di tutti, viene interrotto alla seconda battuta, causa un colpo di tosse eccessivo venuto dalla platea: il pubblico occasionale non comprende il senso di tanto rigore, continuando a tossire imperterrito anche al nuovo inizio del brano. Il lunghissimo crescendo di sonorità, lento e inesorabile, è da manuale per quanto suona calibrato in tutta l’orchestra, compattissima; ma quello del direttore continua ad essere un rapporto uno ad uno con i suoi amati strumentisti, esortati, trattenuti, lodati seduta stante: indimenticabili gli onori resi in diretta, con ostentato saluto militare, al clarinettista che sdrucciola jazzisticamente su un’acciaccatura del tema. Basterebbe questo dettaglio per salvare la memoria del concerto; del resto, i momenti migliori della vita sono esaltati proprio dai più minuscoli dettagli, tutt’altro che insignificanti...

 

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