Parigi: al via il Ring di Bieito
L'Oro del Reno diretto da Pablo Heras-Casado
Brutto, ma di quella bruttezza che a poco a poco svela tutto il suo fascino e si apre a nuove piste di senso, che incarna un’interpretazione del Ring di Wagner che non rimanda più a miti romantici ma a narrative contemporanee, quali Blade Runner ed i suoi replicanti, una narrativa postmoderna e al tempo stesso decadente, una riflessione sulle nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale. Il nuovo allestimento de L’Oro del Reno affidato al regista spagnolo Calixto Bieito sta facendo discutere, amato od detestato senza mezze misure, di sicuro è frutto di scelte accuratissime, discutibili quanto si vuole nell’esito ma è chiaro che ogni particolare è stato a lungo ponderato e c’è dietro una chiara coerenza d’intenti. Quello che colpisce poi, e meraviglia molto positivamente, è che una tale impostazione registica trova perfetta rispondenza nell’interpretazione musicale affidata alla bacchetta di un altro spagnolo, il maestro Pablo Heras-Casado, che guida l’Orchestra dell’Opera di Parigi in una lettura della partitura di Wagner pure post-romantica, prosciugata dall’enfasi, con sonorità secche e nette, sempre dal flusso incessante ma che ti trasportano in intrecci di fasci di luce laser più che onde sinuose ed espanse di emozione, ma non per questo meno coinvolgenti. Notare che il prologo è dato senza interruzione d’intervallo. Non è un caso che Heras-Casado già si sa che sarà lui il prossimo anno, dopo avere già diretto Parsifal a Bayreuth, alla guida musicale del nuovo Ring che celebrerà il 150° anniversario del Festival, perché è una bacchetta capace di dare una lettura contemporanea, pur sempre con grande rispetto, di Wagner. Quest’allestimento del Das Rheingold si fa apprezzare sempre più man mano che avanza. Apre con le tre ondine in mute da sub azzurre, poi pure con le bombole d’ossigeno, Woglinde è il soprano Margarita Polonskaya, Wellgunde è il mezzo Isabel Signoret, Flosshilde è il contralto Katharina Magiera, tre voci ben diverse, tutte e tre ben apprezzabili. Continua con le immagini proiettate di una grande cassaforte in un caveau, con la scene, della tedesca Rebecca Ringst, dominate da un edificio rettangolare a finestrelle, e poi cavi, grovigli di cavi, dappertutto, già Alberich, ben interpretato dal baritono americano Brian Mulligan, si presenta in scena carico di corde e il suo regno sotterraneo è un laboratorio d’esperimenti, come nel film citato. E’ un prologo, che non si comprenda bene tutto quello che si vede è accettabile perché il regista ha gettato le basi di una drammaturgia che si dovrà svelare pienamente nelle successive parti della tetralogia. Quanto agli interpreti sono tutti adeguati, anche Wotan, noi abbiamo assistito alla terza sostituzione del baritono che lo interpreta: inizialmente doveva essere il debutto nel ruolo di Ludovic Tézier, già ritiratosi durante le prove e sostituto per tutte le rappresentazioni dallo scozzese Iain Paterson, ma anche quest’ultimo si è ammalato e noi abbiamo avuto il piacere di sentire l’emergente, bravissimo baritono-basso americano Nicholas Brownlee che, malgrado la sostituzione all’ultimo minuto, era perfettamente nella parte, voce sempre piena e potente e interpretazione naturale, vissuta dall’interno, curatissima come se avesse provato lui sin dall’inizio la parte. Mime, qui uno scienziato un po’ fuori di testa, è il tenore Gerhard Siegel; i giganti Fasolt e Fafner rispettivamente il basso coreano Kwangchul Youn e quello finlandese Mika Kares, che sembrano rappresentare le potenze economiche d’oggi, orientale e americana; il semidio Loge è il tenore Simon O'Neill, i fratelli Donner e Froh, rispettivamente sono il baritono Florent Mbi e il tenore Matthew Cairn. Le protagoniste femminili sono pure state scelte con cura e riflettono perfettamente i loro personaggi: il mezzo Ève-Maud Hubeaux è un’elegante Fricka, moglie di Wotan; sua sorella Freia, qui dagli stivaletti verdi come i prati in primavera, è interpretata dal giovane soprano neozelandese Eliza Boom; il mezzo Marie-Nicole Lemieux è una perfetta Erda, sanguigna dea della terra. Se vocalmente sono tutti soddisfacenti e i costumi di Ingo Krügler li caratterizzano, anche se Wotan non abbastanza, e da notare che qui non abbiamo un anello d’oro da dito ma un collare, in generale sono fogge di abiti comuni d’oggi e appaiono spesso brutti, tranne la chic Fricka. Arrivati alla fine del prologo, malgrado le scene e i costumi non seducenti, ma con le suggestive luci di Michael Bauer e gli appropriati video di Sarah Derendinger, il desiderio è di volere presto vedere il seguito, ancor più quando appare l’ultima immagine, quella di un vispo neonato con una cuffietta di elettrodi in testa.
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