Paleariza 3 | Piazze armoniche
Ultime giornate per "la migliore edizione di Paleariza"
Recensione
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I concerti del 23 e 24 agosto chiudono quella che probabilmente è la migliore edizione di Paleariza. Lo fanno aprendo una finestra sulla Tracia con Ebritiki Zygia ed una sul vorticoso incontro fra Transglobal Underground e Fanfara Tirana, nella terza e ultima serata a Bova, prima di riprendere le danze ad agosto 2014.
Per la prima volta, questo festival itinerante ha saputo anche creare due, riusciti, momenti teatrali: a Roghudi vecchio (ormai abbandonato), per ricordare a tutti che una macchia nella luna altri non è che Loiciuzzu che suona la ciaramedda, una delle poetiche suggestioni de La dolcezza del Mandorlo; e a San Lorenzo, con le percussioni di Gianluca Bottoni e l’organetto di Matteo Mattoni a sostenere la verve narrativa di Gaspare Balsamo, impegnato in Camurria a rievocare, solo col suo corpo, l’epopea del teatro dei pupi, un cantastorie che sa rinnovare la tradizione proprio perché lontano da ogni filologia, ma profondamente immerso nel dialogo fra storia e memoria.
Al centro dell’edizione di quest’anno c’è stata soprattutto la capacità di intercettare orchestre in sintonia con il pubblico multiforme presente in queste occasioni fra i borghi montani dell’Aspromonte: dagli eclettici organetti dell’Orchestra Bottoni guidata da Alessandro D’Alessandro e dalla voce di Antonella Costanzo, l’11 a Pentedattilo, ai romani Takadum che alle percussioni sapientemente arrangiate da Simone Pulvano e Gabriele Gagliarini sanno abbinare la tromba di Gianpaolo Casella e la chitarra di Alessandro Floridia, per un viaggio nel meridione italiano e nel Mediterraneo che ruota intorno agli espressivi voce e violino di Lavinia Mancusi, il 17 a Palizzi. Impareggiabile il 16 la banda di Bova, mantice che soffia sui fuochi che affascinano e spaventano la piazza che balla intorno al “camiddu”, la struttura di bambù che Mimmo Vazzana sa trasformare per una notte in una creatura che mentre danza sprizza fiamme e vortici di luce, a coronare la notte dedicata ai suoni dei greci di Calabria.
Quest’anno la tradizionale serata del 16 a Bova ha provato ad essere meno ecumenica e a lasciare sotto i riflettori le solo le generazioni più giovani, pur con qualche eccezione. Coraggioso il direttore artistico, Ettore Castagna, a ricordare ad ogni gruppo durante il concerto di stare entro i tempi: è una missione impossibile quella di ricondurre su un palco suonate nate per stare in cortile o in piazza, e durare anche tutta la notte. Nondimeno, è stato un modo per poter apprezzare ottimi musicisti sia di Bova stessa - come i fratelli Milea accompagnati dalla chitarra e dalle voci di Valentino Santagati e Elena Gallo - sia dalle zone limitrofe: la lira di Gabriele Trimboli insieme alla chitarra battente di Pino Rubino e ai tamburelli e alla zampogna di Nicola Pelle; gli organetti e tamburelli di Danilo Brancati, Marco Manti e Peppe Miceli; la zampogna di Giuseppe Buraca e gli organetti dei fratelli Andrea e Alessio Bressi dalla pre Sila catanzarese; una piccola banda con tanto di gran cassa, rullante, ciarammedde e zampogne animata da Nocola Sanzo, Peppe Ranieri e Micu Corapi; organetto e tamburello di Francesco Stelitano e Paolo Nucera; e poi i protagonisti dei soni a ballu (il “lapa concert”) che volentieri a Paleariza si protraggono fino a mattino, sotto il palco o più (s)comodamente sull’Apecar, qui ribattezzato “lapa”: Mimmo, Carmelo e Bruno da Gallicianò, e i fratelli Mimmo e Leo Morello di Palizzi.
Oltre ai suoni della tradizione, al teatro e alle orchestre, Paleariza ha saputo offrire alcune gemme strumentali: in particolare il guimbri di Nour Eddine in compagnia, nel turban project di scena a Pentedattilo l’11, delle tabla di Rashmi Bath e del sax e flauti di Thomas Vahle, e, sempre in trio, la straordinaria chitarra battente di Francesco Loccisano, insieme a Vincenzo Oppedisano al basso elettrico e da Micu Corapi al cajon e alla voce, quel timbro ruvido e profondamente espressivo che ha fatto da filo conduttore a questa edizione del festival.
Qualche foto dal festival
Per la prima volta, questo festival itinerante ha saputo anche creare due, riusciti, momenti teatrali: a Roghudi vecchio (ormai abbandonato), per ricordare a tutti che una macchia nella luna altri non è che Loiciuzzu che suona la ciaramedda, una delle poetiche suggestioni de La dolcezza del Mandorlo; e a San Lorenzo, con le percussioni di Gianluca Bottoni e l’organetto di Matteo Mattoni a sostenere la verve narrativa di Gaspare Balsamo, impegnato in Camurria a rievocare, solo col suo corpo, l’epopea del teatro dei pupi, un cantastorie che sa rinnovare la tradizione proprio perché lontano da ogni filologia, ma profondamente immerso nel dialogo fra storia e memoria.
Al centro dell’edizione di quest’anno c’è stata soprattutto la capacità di intercettare orchestre in sintonia con il pubblico multiforme presente in queste occasioni fra i borghi montani dell’Aspromonte: dagli eclettici organetti dell’Orchestra Bottoni guidata da Alessandro D’Alessandro e dalla voce di Antonella Costanzo, l’11 a Pentedattilo, ai romani Takadum che alle percussioni sapientemente arrangiate da Simone Pulvano e Gabriele Gagliarini sanno abbinare la tromba di Gianpaolo Casella e la chitarra di Alessandro Floridia, per un viaggio nel meridione italiano e nel Mediterraneo che ruota intorno agli espressivi voce e violino di Lavinia Mancusi, il 17 a Palizzi. Impareggiabile il 16 la banda di Bova, mantice che soffia sui fuochi che affascinano e spaventano la piazza che balla intorno al “camiddu”, la struttura di bambù che Mimmo Vazzana sa trasformare per una notte in una creatura che mentre danza sprizza fiamme e vortici di luce, a coronare la notte dedicata ai suoni dei greci di Calabria.
Quest’anno la tradizionale serata del 16 a Bova ha provato ad essere meno ecumenica e a lasciare sotto i riflettori le solo le generazioni più giovani, pur con qualche eccezione. Coraggioso il direttore artistico, Ettore Castagna, a ricordare ad ogni gruppo durante il concerto di stare entro i tempi: è una missione impossibile quella di ricondurre su un palco suonate nate per stare in cortile o in piazza, e durare anche tutta la notte. Nondimeno, è stato un modo per poter apprezzare ottimi musicisti sia di Bova stessa - come i fratelli Milea accompagnati dalla chitarra e dalle voci di Valentino Santagati e Elena Gallo - sia dalle zone limitrofe: la lira di Gabriele Trimboli insieme alla chitarra battente di Pino Rubino e ai tamburelli e alla zampogna di Nicola Pelle; gli organetti e tamburelli di Danilo Brancati, Marco Manti e Peppe Miceli; la zampogna di Giuseppe Buraca e gli organetti dei fratelli Andrea e Alessio Bressi dalla pre Sila catanzarese; una piccola banda con tanto di gran cassa, rullante, ciarammedde e zampogne animata da Nocola Sanzo, Peppe Ranieri e Micu Corapi; organetto e tamburello di Francesco Stelitano e Paolo Nucera; e poi i protagonisti dei soni a ballu (il “lapa concert”) che volentieri a Paleariza si protraggono fino a mattino, sotto il palco o più (s)comodamente sull’Apecar, qui ribattezzato “lapa”: Mimmo, Carmelo e Bruno da Gallicianò, e i fratelli Mimmo e Leo Morello di Palizzi.
Oltre ai suoni della tradizione, al teatro e alle orchestre, Paleariza ha saputo offrire alcune gemme strumentali: in particolare il guimbri di Nour Eddine in compagnia, nel turban project di scena a Pentedattilo l’11, delle tabla di Rashmi Bath e del sax e flauti di Thomas Vahle, e, sempre in trio, la straordinaria chitarra battente di Francesco Loccisano, insieme a Vincenzo Oppedisano al basso elettrico e da Micu Corapi al cajon e alla voce, quel timbro ruvido e profondamente espressivo che ha fatto da filo conduttore a questa edizione del festival.
Qualche foto dal festival
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