Padova Jazz 3 | Smile

Jam, Jacko e altro per la chiusura del festival

Recensione
jazz
Si è conclusa nel migliore di modi - domenica 18 novembre - la quindicesima edizione del Padova Jazz Festival, con l’aperitivo in musica insieme al trio di Michele Grena e un concerto trascinante del vibrafonista chicagoano Jason Adasiewicz, sostenuto con energia da Nate McBride al contabbasso e Mike Reed alla batteria. Bel modo di guardare al futuro, insieme ad un improvvisatore ruvido e personale che sa far cantare il proprio strumento perfino nei registri cui ci hanno abituato le chitarre elettriche, complice la passione per l’uso del pedale e per la saturazione del suono.


Immagine rimossa.
Jason Adasiewicz

Ad ascoltarlo all’ora di pranzo, all’Osteria 3/4, alcuni dei protagonisti dei concerti della notte precedente. Come Gianni Cazzola, che nel doppio concerto all’Hotel Plaza, dialogando con il contrabbasso di Roberto Piccolo, ha messo il suo swing al servizio di giovani e già maturi improvvisatori come Simone Daclon (piano) e di fiati memori del migliore hard bop: il sax tenore di Emiliano Vernizzi, la tromba di Gendrickson Mena, il trombone di Humberto Amésquita. A Cazzola l’ultima notte del festival andrebbe consegnata ad ogni edizione, tanto è capace sia di offrire musica di prima qualità, sia di “aprire” il proprio gruppo e la notte ad altri musicisti (a cominciare da Enzo Carpentieri, che ha fatto sedere alla sua batteria), e allo spirito della jam. Uno spirito che ha suscitato sguardi di intesa fra tutti i presenti, complici nel registrare uno di quei momenti in cui una serie di concerti si trasformano davvero in “festival”, nella celebrazione della musica.

Anche il Comune sembra aver colto la qualità dell’iniziativa e, sul palco del Teatro Verdi, a suggellare otto giorni di musica in un bel ventaglio di contesti urbani, ha voluto esprimere con una targa la riconoscenza della città a Gabriella Piccolo Casiraghi, presidente dell’Associazione Culturale Miles, principale organizzatrice del festival. Proprio il Verdi ha ospitato tre serate che raccontano narrazioni toniche e mature: dopo la punta più alta del festival, raggiunta col quartetto di David Murray giovedì, sono andati in scena il rodato quintetto di Terence Blanchard con il sax tenore di Brice Winston e il pianoforte di Fabian Almazan in bella evidenza (venerdì), e - con un concerto in crescendo, sabato - i dodici elementi del Rava PM Jazz Lab, a ripercorrere gli arrangiamenti di Mauro Ottolini. Al centro di Rava on the Dance Floor sono le musiche di Michael Jackson, con atmosfere sollecitate dal bel lavoro che aveva già compiuto la Brass Fantasy di Lester Bowie con “Thriller”, ma attente soprattutto al repertorio (forse meno radiofonico) dell’ultimo periodo, che permette trascinanti assoli lirici ai sei superlativi fiati (Enrico Rava, Andrea Tofanelli, Claudio Corvini trombe, Mauro Ottolini trombone e tuba, Daniele Tittarelli sax alto e flauto, Dan Kinzelman, sax tenore e clarini). Ma il gruppo sa far spazio anche ad uno spirito rock che ha nella sezione ritmica il suo perno, nelle pulsazioni scandite da Zeno De Rossi, e nelle ispirate variazioni sul tema condotte da Ernesto Lopez Maturell alle percussioni, Marcello Giannini alla chitarra e Dario Deidda - il cui basso elettrico sa creare un ponte solido fra “dance floor” e “swing”, ma anche lanciare aperture ora rock, con "Blood on the Dance Floor" o "Little Susie", ora reggae ("They Don't Care About Us"). Esemplare è “Smile”, il brano di Chaplin caro a Jacko. Lo stesso brano era stato lo standard scelto dall’altro gruppo interessato ad un narrare "lirico", il trio di Sai Maestro, e al termine del concerto del gruppo di Rava viene lasciato suonare come base, a suggellare una settimana che di sorrisi ne ha strappati molti, a suggerire che la musica continua oltre i concerti.

Anche nelle mostre fotografiche, ad esempio, indovinata tradizione di queste quindici edizioni: all’Hotel Plaza (fino al 30 novembre) “Di là da dove” di Giorgio Cattani, alle scuderie di Palazzo Moroni, dal 21 dicembre al 15 gennaio quella dedicata ad “Attimi di jazz” da Michele Giotto, fotografo ufficiale del festival.

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