Padova Jazz 1 | Il festival nei locali

La prima parte del festival veneto alla scoperta di nuove location

Recensione
jazz
Il Padova Jazz Festival comincia e termina nel cuore della città, all’Osteria 3/4: lì ha aperto da par suo le danze, lo scorso 11 novembre, il quartetto di Carlo Atti e lì ne celebrerà la chiusura l’atteso trio di Jason Adasiewicz con Nate McBrideal al contrabbasso e Mike Reed alla batteria. Ed è lì che ogni giorno all'ora di pranzo si ascolta l’ottimo trio “residente” con Senni e Carpentieri a dialogare col piano di Greg Burk e poi a “prestare” i propri strumenti alle jam che continuano durante tutta la giornata, coinvolgendo musicisti locali, nomi di prima grandezza come David Murray o giovani già da tempo sotto i riflettori come la rodata sezione ritmica formata da Burniss Travis (contrabbasso) e Jamire Williams (batteria), coinvolti a Padova nel quartetto della cantante Gretchen Parlato.

Negli anni il festival ha imparato a guardare in direzioni diverse, ma questa è la prima edizione che ha saputo radicare la rassegna in tanti locali notturni, oltre i “salotti buoni” del Caffè Pedrocchi (con l’inedito ed efficace duo Pietropaoli Mazzariello di scena l’11) e dell’hotel Plaza, che ospita la felice e affollata formula del doppio concerto (18.30 e 22.30) e che ha già visto protagonisti Claudio Fasoli, il trio di Marcello Tonolo, il quartetto di Marco Strano.

Davvero in forma, all’Auditorium Altinate, il trio del pianista e compositore Shai Maestro, magistrale nel dosaggio delle dinamiche in funzione di un lirismo molto personale, sia quando propone le proprie composizioni (da "Angelo" a "Painting"), sia quando cesella al piano le “voci bulgare” ("Kalimankou Denkou"), sia nel far decollare un vecchio standard come “Smile”, gioco apparentemente facile dal momento che oltre alla sua simbiosi col piano può contare su quella con i compagni di avventura Jorge Roeder (contrabbasso) e Ziv Ravitz (batteria), protagonisti della recente e riuscita prova discografica a nome di tutti e tre. Un trio che sa mantenere sempre viva l’attenzione limitando al minimo le dissonanze e concentrandosi su sviluppi e intrecci melodici e contrappuntistici. Una paletta sonora esaltata dalla padronanza tecnica e dall’originalità con cui Ziv Ravitz sa cercare e indovinare dinamiche timbriche, per le quali sa far parsimonioso ricorso anche modi inusuali di suonare, con mani e panni, i tamburi a disposizione.

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