Otello, minimalista e velleitario

Applausi per la direzione di Zubin Mehta e per la Desdemona di Barbara Frittoli, molte contestazioni per il protagonista e per la messinscena, firmata dal pur reputatissimo Lev Dodin, del capolavoro di Verdi da Shakespeare, andato su al Maggio Musicale Fiorentino.

Recensione
classica
Maggio Musicale Fiorentino Firenze
Giuseppe Verdi
17 Giugno 2003
Il Maggio Musicale Fiorentino si avvia alla sua conclusione con un Otello risultato inferiore alle aspettative, con molti applausi per Zubin Mehta sul podio e per la Desdemona di Barbara Frittoli, ma altrettante rumorose contestazioni per la messinscena e per il protagonista. Cominciamo da Mehta e dalla sua concertazione, attenta soprattutto ai dettagli orchestrali di una partitura di cui sa cogliere, con visione esatta e insieme originale, la collocazione: dai fieri e affilati barbagli modernisti della tempesta, al racconto orchestrale del duetto d'amore, quasi un poema sonoro parallelo alle voci, dal decorativismo squisito e arabescato della scena degli omaggi floreali a Desdemona, all'orchestrazione e alle armonie della Canzone del Salice (e non avevamo mai avvertito con tanta chiarezza che Verdi qui sta non recuperando Wagner ma scavalcandolo alla grande verso prospettive novecentesche). Una visione sontuosa, sicura come sempre, forse contemplante piuttosto che inquieta e drammaticamente vibrante. Barbara Frittoli, con le sue impeccabili risorse tecniche e la bella, luminosa, liricissima fisionomia vocale, fa soprattutto un quarto atto che diventa tutto suo. E veniamo alle dolenti note. Lev Dodin ha definito la sua messinscena "uno spettacolo essenziale nei gesti e nei movimenti, quasi minimalista". Ma non definiamo minimalismo, per favore, la reticenza schifiltosa di una regia a definire dinamiche drammatiche reali (come nella grande scena di massa e concertato finale del terzo atto: aridatece il massimalismo allora), il prendere il coro piantandolo immobile ai lati della scena nei suoi abiti neri da concerto, le metafore a tutti i costi e il concettismo di poche idee-simbolo (Otello che uccide non strangolando ma baciando; il letto che troneggia per tre atti, ospitando, prima dell'assassinio, le trame di Jago e la progressiva disgregazione di Otello). Il che certo non succedeva nelle regie belle di Dodin, di opera e no, che si sono viste a Firenze, da Elektra alla Lady Macbeth del distretto di Mzensk, per non parlare del mitico Gaudeamus. Il tutto nella scena ideata da David Borowski, elegante come un negozio d'arredamento chic con le sue ampie losanghe di legno profilate di bianco che si aprivano e chiudevano a definire gli spazi dell'azione, scena innegabilmente minimalista con il vantaggio di poter essere riciclata a piacere per un numero indefinito di opere. Vladimir Galouzine, che pure risulta fra gli Otelli richiesti oggi in tutto il mondo, e che in altri ruoli ci era piaciuto molto, fa la voce grossa per essere il Moro e ne risulta un'innaturale, velleitaria scurezza, non sorretta da un'adeguata tenuta tecnica reale, a cui corrisponde una definizione anche troppo belluina e naturalistica del personaggio (ma se teniamo conto dell'impeto intenso e sincero con cui ha affrontato il grande monologo del terzo atto diremmo che il pubblico alla fine lo ha punito troppo severamente). Meglio, e comunque molto applaudito, Carlo Guelfi, che con la precisione scolpita della dizione e la bella articolazione dei ritmi e dei metri spinge fino a dove valgono i suoi mezzi l'interpretazione di Jago, senza peraltro conseguirne del tutto la statura e il fascino. A posto gli altri, in particolare Gabriella Sborgi (Emilia) e Giovan Battista Parodi (Lodovico), efficienti come sempre orchestra e coro.

Interpreti: Otello: Vladimir Galouzine / Stephen Gould (19/6, 1°/7) / José Cura (25/6); Jago: Carlo Guelfi / Valeri Alexeev (19, 25/6, 1°/7); Cassio: Raymon Very / Francesco Piccoli (19, 25/6, 1°/7); Roderigo: Enrico Facini; Lodovico: Giovan Battista Parodi; Montano: Giuseppe Altomare; Un araldo: Silvestro Sammaritano; Desdemona: Barbara Frittoli / Chiara Taigi (19, 26/6, 1°/7); Emilia: Gabriella Sborgi / Cristina Piperno (1°/7)

Regia: Lev Dodin

Scene: David Borovsky; Luci: Jean Kalman

Costumi: David Borovsky

Coreografo: Coreografia: Jury Vasilkov; Movimenti mimici: Jury Khamoutiansky

Orchestra: Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino

Direttore: Zubin Mehta / Pier Giorgio Morandi (1°/7)

Coro: Coro del Maggio Musicale Fiorentino; Coro di voci bianche Società Corale "Guido Monaco" di Prato diretto da Marisol Carballo

Maestro Coro: José Luis Basso

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