Nicole Mitchell regina di Sardegna
A Sant'Anna Arresi due ambiziose suite hanno mostrato la densa progettualità della flautista di Chicago
Recensione
jazz
Tra i tanti meriti del festival "Ai confini tra Sardegna e Jazz" c’è sicuramente quello di dare spazio ai progetti più articolati e ambiziosi delle nuove generazioni di jazzisti: è successo quest’anno con la flautista Nicole Mitchell, interessantissimo "ponte" tra le figure storiche dell’AACM di Chicago (di cui è co-presidente) e gli altri scenari della Windy City, che ha presentato in due lavori assieme al suo Black Earth Ensemble."Where Many Paths Meet The Sea", dedicato alla figura di Alice Coltrane, ha colpito per la freschezza dell’interazione tra i dieci musicisti della band, con strutture modali semplici che, nello slittamento progressivo delle differenti componenti acquistano in efficacia. Tra i solisti impegnati, oltre al poderoso David Boykin al tenore e alla sempre angolosa Myra Melford al pianoforte, le prove più mature sono venute dal contraltista Greg Ward (davvero strepitoso e originale) e dalla violoncellista Tomeka Reid, oltre che dalla stessa Mitchell, lirica e turbolenta al tempo stesso.
Qualche perplessità ha riservato invece la "Xenogenesis Suite", ispirata ai romanzi della scrittrice afroamericana di fantascienza Octavia Butler: si tratta di un forte affresco espressionista, con atmosfere cupe e un suono collettivo magmatico, ma i cui blocchi orchestrali sono apparsi non sempre fluidi e con il ruolo della voce ancora parzialmente irrisolto tra evocazione narrativa e sottolineatura emotiva. Comunque – grazie alla suggestività di alcune parti e alla attenta energia collettiva – si è trattato di una prova di grande interesse e la conferma che le ambizioni della musicista sono molto alte, così come è nella migliore tradizione della musica creativa di Chicago.
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