Music Meeting 1: Dall’Africa alle Americhe e ritorno

Reportage dal festival olandese

Recensione
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Un’edizione, la trentunesima del Music Meeting di Nijmegen in Olanda, con grandi concerti e piccoli miracoli. Coerentemente con il suo nome, il festival ha veicolato incontri significativi, innanzitutto fra Africa occidentale e Cuba: protagonisti sia il gruppo di Fatoumata Diawara e del pianista Roberto Fonseca, sia il nuovo progetto del bassista e cantante senegalese Alune Wade e dei fratelli Harold (pianista) e Ruy Adrian (batterista) Lopez-Nussa.

Fonseca si conferma sia eccellente improvvisatore, sia navigato accompagnatore, capace di mettere Fatoumata Diawara sempre a proprio agio, sia quando si tratta di far ballare il pubblico dell’Afro-Latin Night, sia nei brani più lirici, con la mente al passato (Mandela) e al futuro del continente africano, senza dimenticare i drammi di chi muore nell’intento di cercare migliore fortuna altrove. Un tema caro a Fatoumata Diawara che come donna ha trovato lontano dal Mali la sua libertà, una libertà anche musicale che Fonseca si dice lieto di poter condividere con questa collaborazione (che ha già dato vita a At Home).

Più coeso risulta il programma di Wade e Lopez-Nussa immortalato in Havana-Paris-Dakar: un tuffo nell’Africa degli anni Sessanta, quelli dell’indipendenza, con un buon equilibrio di rivisitazioni di brani d’epoca e composizioni originali che ben miscelano le qualità vocali di Wade con ritmi ballabili, ma anche ampi spazi per i componenti del quintetto, integrato da Oliver Tshimanga alla chitarra e Renaud Gensane alla tromba. L’apporto di Harold Lopez-Nussa è magistrale sia al piano acustico, sia al Rhodes, un talento perfettamente a sua agio fra i ritmi afro.cubani come fra le armonie jazz e ancor più nel costruire ponti fra questi due universi affini.



A tre decenni fa guarda anche la musica che Bamba Dembelé propone dal Mali nel repertorio di Farima (Label Bleu) con i Bamba Wassoulou Groove, forte delle tre chitarre elettriche di Moussa Diabaté, Mamadou Diabaté e Abdrahamany Diarra, trascinanti sul palco all’aperto Mondo, ma ancora più convincenti in versione “vintage” nell’appartato spazio Mixed Media Lounge con le sole percussioni a fare da perno al gruppo e a permettere nuovi incontri, come quello con la voce della mauritana Noura Mint Seymali, alla sua terza, convincente, prova discografica (Tzenni) in compagnia di un trio molto compatto con Ousmane Touré al basso, Jeiche Ould Chighaly alla chitarra elettrica e il produttore Matthew Tinari alla batteria.

Il Grammy vinto nel 2012 non ha smussato la carica dei Tinariwen che tornano al Music Meeting dopo undici anni, dopo un passaggio nel deserto Mojave della California per registrare Emmaar e collaborare con Josh Klinghoffer (Red Hot Chili Peppers). Dal vivo il gruppo ritorna il sestetto tuareg di sempre, forti degli ipnotici intrecci delle chitarre elettriche e della solida sezione ritmica fornita dal basso elettrico di Eyadou Ag Leche e dalle scarne percussioni di Said Ag Ayad: ma basta confrontare nella selezione di brani dal vivo “Tamantelay” (eseguita nel palco al coperto Apollo) con “Imidiwan Ahi Sigdim” (proposta nella Lounge) per avere un’idea dell’ampia paletta sonora di cui sono capaci e che non ha mancato di incantare.

Produzione europea per la nuova formazione di Kinshasa Mbongwana Star, un colpo di fulmine elettro-rock nel panorama semi-acustico della World Circuit, che vede protagonisti le voci di Coco Yakala Ngambali e Théo Nzonza Nsutuvuidi (ex Staff Benda Bilili) e gli arrangiamenti guidati dalla chitarra-basso di Doctor L: trascinanti sul palco, meno duttili nel contesto dell’orto botanico che richiede maggiore padronanza di volumi e capacità di selezione rispetto al proprio repertorio, un’arte in cui è invece maestro Hailu Mergia. Il pianista etiope ha scelto per l’orto botanico l’accompagnamento del solo Mike Majkowski al contrabbasso, privilegiando soprattutto brani lirici eseguiti con la fisarmonica, mentre sul palco principale ha dimostrato un gran tiro con l’aggiunta della batteria di Tony Buck. Un ritorno, quello di Mergia che sa della favola: star in Etiopia negli anni Ottanta, poi semplice tassista a Washington, lontano dai palchi per vent’anni, ed ora ripescato grazie alle ri-edizioni dei suoi dischi promosse da Awesome Tapes from Africa.

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