Nella Clemenza di Tito andata su alla Pergola per il Maggio Musicale Fiorentino, la scena di Maurizio Balò è un museo, gessi bianchi di monumenti romani, templi, teatri, obelischi e statue equestri, raggruppati in una miniatura di città ideale oppure ordinatamente esposti sui giganteschi riquadri - scaffali di fondo: Federico Tiezzi ha ideato per il dramma romano di Mozart un percorso registico chiaro e volutamente, un poco marcatamente didattico, in cui è la stessa distanza storica di Roma a fornire esemplarità al modello. Con qualche sovrappiù (forse inutile, ad esempio, la pantomima sulla ouverture, con i soldati che sciolgono dai drappi questa Roma in miniatura), la regia lavora diligentemente sugli equilibri fra la stilizzazione pulita e neoclassica dei gesti e atteggiamenti più sciolti, sottolineati dalle vesti borghesi fine Settecento di Vitellia, Sesto, Annio, Servilia e Publio; ma Tito è panneggiato in nero e, alla fine, manto rosso ed ermellini, come Napoleone. Nel gestire dei singoli come nelle scene di massa si punta molto al tableau, alla posa marmorea, al tocco alla Jacques-Louis David. La stilizzazione è spesso spinta agli estremi (forse quel lampeggiare di rosso sullo sfondo per i fuochi del Campidoglio è cavarsela con poco); ma, in generale, Tiezzi lascia che sia la musica di Mozart a scrivere questa regia, e fa bene.
Tanto più che la musica è in buone mani con Ivor Bolton, alle prese con il suo primo Mozart fiorentino, nel teatro dove finora aveva dimostrato le sue eccellenti doti di concertatore di opere antiche in Monteverdi e Haendel. Il modo in cui la musica racconta passioni e turbamenti, pur sottomettendosi alle limpide, razionali, ampie arcate - appunto - neoclassiche di questo Mozart 1791, diventa con Bolton qualcosa di spontaneo ed eloquente, magari un poco più arruffato rispetto, poniamo, alla perfezione del suo Tamerlano del 2001, ma generoso, caldo, ben dosato: fra le tante cose belle, indichiamo come esemplare almeno la realizzazione di Bolton della sequenza finale del primo atto, il terzetto e poi quintetto con coro, in cui il nodo della vicenda si stringe così magnificamente. Lo asseconda un cast diseguale, in cui spicca, applauditissima, Monica Bacelli, intensa, squisita, emozionante nel ruolo di Sesto fin dalla prima battuta e più che mai nella grande aria con il clarinetto obbligato, che sembra reinventare in una prospettiva romantica le titubanze e ambiguità tipiche del personaggio metastasiano. Meno appropriati ai ruoli Hillevi Martinpelto, elegante ma alquanto fragile Vitellia in difficoltà con le note gravi e lo "stile sublime" della sua grande aria-rondò, e Ramon Vargas, Tito generoso e sicuro nelle agilità ma un poco rigido e vocalmente teso là dove Mozart chiederebbe nobiltà e morbidezza. A loro si affiancavano con puntualità e correttezza Gabriella Sborgi (Annio) e Veronica Cangemi (Servilia). Buon successo.
Interpreti: Ramon Vargas (Tito), Hillevi Martinpelto (Vitellia), Veronica Cangemi (Servilia), Monica Bacelli (Sesto), Gabriella Sborgi (Annio), Maurizio Muraro (Publio)
Regia: FEDERICO TIEZZI
Scene: MAURIZIO BALO'
Costumi: VERA MARZOT
Orchestra: Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore: IVOR BOLTON
Coro: Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro Coro: José Luis Basso