Mozart alla Muti
Napoli: Così fan tutte con la direzione di Riccardo Muti e la regia della figlia Chiara
È un Mozart cresciuto all'ombra di Strehler, per luci e colori (Vincent Longuemare), quello che ha felicemente inaugurato la stagione del teatro di San Carlo di Napoli, e firmato da Riccardo e Chiara Muti, che, con Mozart ed il padre, da bambina è cresciuta. Non sono solo i costumi di Alessandro Lai, a evocare storici allestimenti, impregnati di un Settecento elegante e sensuale, ma anche la scelta stilistica di fondo, realistica e simbolica allo stesso tempo. La vicenda, raccontata dettagliatamente, coi gesti: duellanti spadaccini, partite a tennis e brindisi, ma anche ricca di doppi sensi; è avvolta dalle marmoree mura di un palazzo, il cui panorama è il mare lucente sul retro in lontananza, nel secondo atto un giardino scolpito. Ma nella Napoli (Mergellina in realtà) di Mozart il costume amoroso ed il gioco - commedia amorosa di intrighi, meschinità e generosità - fanno parte di un sentimentalismo da smascherare: Fiordiligi Maria Bengtsson e Dorabella Paola Gardina, dopo aver salutato i due sposi cadono subito in nostalgica malinconia. Anticipando così il teatro che verrà a cento anni di distanza. Anche i due amanti Guglielmo Alessio Arduini e Ferrando Pavel Kolgatin, del resto, sono tutt'altro che compassati o attenti all'impensabile cedimento amoroso, perché di fronte al terzetto "soave sia il vento", sono già spariti per la bella vita militar, liberi e spensierati.
Fedele al libretto ed alle intenzioni musicali, il Così Fan Tutte di Chiara Muti si permette accenti esplicativi da commedia, come ad esempio le due mani di Despina - una fantastica Emmanuelle de Negri - che mimano popolari gesti di simbolica "abbondanza", assicurandosi che i due spasimanti abbiano «una buona borsa», oppure la maschera simile a pulcinella assegnata al finto dottore, ritratto come un mago stregone, buffo più del solito nel voler rinvenire i due dal finto avvelenamento.
Nell'impianto scenico di Leila Fteita, fisso per i due atti, risulta molto funzionale lo spazio centrale che si trasforma secondo le esigenza, dalla festa in giardino al matrimonio nel finale, e attira su di se ogni azione. Altro, la giostra, e Despina- "cupido" che sopraggiunge in mongolfiera, forse un po' ingombranti per la dinamica dell'azione e poco funzionali perché non partecipi al disincanto. Il giardino, invece, a mo' di labirinto, non è assolutamente d'impaccio, come spesso succede a teatro per confusione di simbolismi. Dettagli, comunque questi, che non indeboliscono lo spettacolo, mentre al contrario la cura dei recitativi integralissimi e con ottimo fortepiano (Luisella Germano) costruiva perfettamente la narrazione. Il teatro poi si presentava pieno, anche alla seconda recita. In buca Riccardo Muti! Già la qualità eccellente della sinfonia prometteva equilibrio e bel suono, il tutto forgiato senza il minimo sforzo, tra pause dotate di forma, cambi repentini di atmosfere e timbri, orchestra mai in sovrasto sulle voci, crescendo e dinamiche nelle singole arie mostravano una fitta cura dei particolari. Nella compagnia, splendida la Bengtsson, voce calda e timbrata, perfetta nelle arie come negli intrecci con Dorabella, un altrettanto buona Paola Gardina, e con il Ferrando leggero e tenoreggiante di Kolgatin, giustamente più concreto e agguerrito l'altro, il Guglielmo di Arduini. Don Alfonso, Marco Filippo Romano, galvanizzante nei terzetti concludeva il fronte maschile di ottima qualità. Sipario quasi a mezzanotte e applausi infiniti per Muti, che ha cesellato Mozart in ogni piccolo gesto musicale contribuendo alla coesione poetica e drammaturgica del suo disincantato mondo sonoro.
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