Michele Mariotti, Deborah Warner e un magnifico “Peter Grimes”

Regista e cantanti anglosassoni, direttore coro e orchestra italiani: il risultato è splendido

Peter Girmes (foto Fabrizio Sansoni - Opera di Roma)
Peter Girmes (foto Fabrizio Sansoni - Opera di Roma)
Recensione
classica
Roma, Teatro dell’Opera
Peter Grimes
11 Ottobre 2024 - 19 Ottobre 2024

La prima esecuzione di Peter Grimes  ebbe luogo al Sadler’s Wells Theatre di Londra il 7 giugno 1945, esattamente trenta giorni dopo la capitolazione della Germania nazista, quando l’Europa - mentre la guerra nel Pacifico ancora continuava e avrebbe fatto conoscere al mondo gli orrori di Hiroshima e Nagasaki, fino ad allora inimmaginabili - cercava a fatica di riprendersi dal lungo incubo. Anche Britten con questa sua opera portò un contributo - piccolo a fronte del disastro che aveva sconvolto il vecchio continente, ma nel suo piccolo significativo - alla rinascita della speranza. Il successo internazionale di questo primo capolavoro teatrale del trentaduenne compositore britannico fu infatti la dimostrazione che l’arte e la musica potevano tornare ad unire i popoli. Nel giro di tre anni fu rappresentato in quasi venti città d’Europa e d’America e la prima esecuzione al di fuori dalla Gran Bretagna avvenne esattamente sei mesi dopo la prima londinese, proprio in Italia, in forma di concerto nell’auditorium della Rai di Roma.

Peter Girmes (foto Fabrizio Sansoni - Opera di Roma)
Peter Girmes (foto Fabrizio Sansoni - Opera di Roma)

Al Teatro dell’Opera Peter Grimes  era stato rappresentato nel 1961: qualche abbonato ancora se ne ricorda, ma era una novità per la maggior parte del pubblico che in questi giorni ha seguito questa nuova produzione, tranne che per coloro che nel 2013 l’hanno ascoltato a Santa Cecilia in forma di concerto, diretto da Antonio Pappano. Questa “novità” è stata salutata - ci riferiamo alla seconda recita - con un entusiasmo che raramente si riscontra anche per le opere più popolari di Rossini o Verdi o Puccini, smentendo, se ce ne fosse ancora bisogno, la tesi che scarica sul presunto disinteresse del pubblico la responsabilità della rarefazione di opere moderne e contemporanee nei cartelloni dei teatri italiani. Pochissime erano le poltrone vuote, tanti i giovani e i giovanissimi e alla fine dieci minuti abbondanti di applausi al calor bianco hanno salutato gli interpreti: applausi meritatissimi. 

Lo spettacolo è una coproduzione fra i teatri d’opera di quattro capitali europee, che ha esordito a Madrid nel 2021, poi è stato visto a Londra nel 2022, a Parigi nel 2023 e giunge ora a Roma. La regia è di Deborah Warner, che aveva firmato anche lo splendido Billy Budd  rappresentato all’Opera nel 2018. Con lei hanno lavorato in piena unità d’intenti Michael Levine per le scene, Luis F. Carvalho per i costumi e Peter Mumford per le luci. Anche questa volta la Warner ha creato uno spettacolo asciutto e concentrato, di straordinaria forza drammatica. Qua e là ci sono atmosfere che ricordano il cinema espressionista degli Anni Venti: il processo cui si assiste nel prologo, è un sogno o piuttosto un incubo di Peter, circondato da figure ostili vestite di nero che puntano contro di lui la luce di torce elettriche. E si pensa ai film di Murnau e Lang quando i personaggi illuminati dai riflettori proiettano ombre gigantesche sulla parete di fondo, sia pure per pochi attimi. Altrove la Warner inventa invece delicate immagini poetiche, come i due giovani mozzi della cui morte è accusato Peter, che, prima l’uno e poi l’altro, volteggiano nel vuoto come nel mare ma inesorabilmente finiscono sul fondo. La stessa sorte toccherà alla barca, che galleggia in alto all’inizio dell’opera e rivediamo poi ridotta a un relitto abbandonato sulla spiaggia. Ma il momento più forte della regia è l’aspra scena nella taverna, che in altre edizioni di quest’opera si risolveva in una serie di bozzetti imperniati sui vari personaggi, mentre questa volta è un affresco potente e spietato della fauna umana del villaggio e ha un ritmo teatrale rapido e violento, al pari della direzione di Michele Mariotti, qui anch’essa rapida e violenta da mozzare il fiato, molto aspra e scabra, ma allo stesso tempo perfettamente misurata e limpida. Come la Warren e soprattutto come Britten stesso, Mariotti cambia registro espressivo nelle varie scene e sempre offre un’interpretazione maiuscola di questo capolavoro dell’opera del ventesimo secolo. Da antologia i sei interludi, che hanno un superbo spessore sinfonico ed emanano un’intensissima forza di suggestione. Tutto in quest’edizione di Peter Grimes  è di altissimo livello, ma proprio dalla ‘buca‘ giungono le suggestioni più forti e profonde. E l’orchestra risponde magnificamente alla bacchetta di Mariotti.

Peter Girmes (foto Fabrizio Sansoni - Opera di Roma)
Peter Girmes (foto Fabrizio Sansoni - Opera di Roma)

In sintonia con regista e direttore, Allan Clayton raffigura un Peter tormentato, disperato, angoscioso e anche angosciante, sporco e cattivo, che maltratta ben oltre il tollerabile il suo mozzo ancora bambino e usa la violenza fisica anche nei confronti di Ellen. Dunque Peter non è migliore degli altri, anzi forse è anche peggiore e desta compassione soltanto per il suo isolamento: spesso si afferma che tale isolamento sarebbe causato dalla sua omosessualità, ma di questa presunta omosessualità non c’è traccia nel testo né nella musica e a suffragarla non basta il fatto che Britten stesso fosse omosessuale. Sophie Bevan è una Ellen perfetta, angelica e compassionevole ma anche forte. Simon Keenlyside si conferma artista di gran classe nei panni del Capitano Balstrode. Eccellente Catherine Wyn-Rogers nella parte di Auntie, la “zietta”, così come il resto del numeroso cast, totalmente anglofono, che alle sollecitazioni del direttore e della regista risponde con quella totale unione di capacità musicali e attoriali che è propria della scuola britannica. Anche il coro della fondazione lirica romana ha dimostrato ottime capacità attoriali e questa non è certamente una peculiarità dei cori italiani. E per muoversi così in palcoscenico, spesso senza poter vedere il direttore d’orchestra anche in momenti molto complessi e intricati, è necessaria anche una notevole preparazione musicale. Chapeau al coro del Teatro dell’Opera e al suo maestro Ciro Visco.

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