Una grande prova di sapienza teatrale e una profonda lezione di drammaturgia impartita con la leggerezza di un giovanissimo vecchio maestro: è il “Parsifal” secondo Achim Freyer, che ha aperto in modo trionfale la nuova stagione dell’Opera di Amburgo. A distanza di qualche anno dal “Ring” allestito al Nationaltheater di Mannheim, Freyer ritrova lo stesso tocco leggero impastando gli elementi più caratteristici del suo modo di fare teatro e rinnovandone quell’incanto che da bambini si prova davanti a un teatrino di marionette. La densità religiosa del testo wagneriano non è affatto messa in ridicolo ma coniugata in un parabola serenamente laica che racconta di un declino di un mondo e l’avvento di un nuovo inizio carico di incognite, articolata in un trittico dai toni fortemente contrastati: la prima tavola è una Totentanz scandita da una sequenza di parole che definiscono un ordine e caricata di simboli religiosi ormai svuotati di senso, la seconda è uno psichedelico circo per il rito di passaggio celebrato fra fanciulle fiore dagli ipertrofici simboli sessuali, e la terza uno straordinario esercizio di metateatro che rappresenta la dissoluzione in quella scena che, dissolvendosi, svela la natura illusoria del rito teatrale. Non è affatto una fine ma un inizio, come ci avverte quell’“Anfang” proiettato sulla scena rimasta vuota. E quel vuoto riempito solo dalla figura di un Parsifal trionfante con la donna Kundry al suo fianco suggerisce plasticamente che nulla sarà come prima.
Grande teatro sulla scena, grande musica in buca, grazie alla direzione di Kent Nagano. Il suo non è un Wagner trionfale ma marcatamente ascetico nella essenzialità del suono orchestrale, spesso trattenuto, che Nagano svela lentamente e con magistrale chiarezza analitica in tutta la sua insospettabile modernità, soprattutto nelle linee sghembe e quasi atonali nel sorprendente inizio del terzo atto.
Aggiunge valore alla musica anche la distribuzione, che ha in Andreas Schager un protagonista vocalmente affidabile e capace di dare colore al personaggio. Kwangchul Youn è ancora una volta un Gurnemanz di toccante umanità, mentre Wolfgang Koch, un po’ appannato all’inizio, conferisce accenti di verità per la sofferenza del suo Amfortas solo nel terzo atto. Completano il cast le solide prova di Claudia Mahnke come Kundry, un po’ ai limiti nella zona acuta, e Vladimir Baykov come Klingsor. Tutti all’altezza gli interpreti minori. Di grande spessore la prova del coro preparato da Eberhard Friedrich e, ovviamente, dell’orchestra. Un trionfo per tutti con oltre dieci minuti di applausi.
Note: Nuova produzione della Hamburgische Staatsoper. Date rappresentazioni: 16, 24, 27, 30 settembre, 3 ottobre 2017.
Interpreti: Wolfgang Koch (Amfortas), Tigran Martirossian (Titurel), Kwangchul Youn (Gurnemanz), Andreas Schager (Parsifal), Vladimir Baykov (Klingsor), Claudia Mahnke (Kundry), Jürgen Sacher (1. Gralsritter), Denis Velev (2. Gralsritter), Narea Son (1. Knappe), Ruzana Grigorian (2. Knappe), Sergei Ababkin (3. Knappe), Sascha Emanuel Kramer (4. Knappe), Athanasia Zöhrer (Blumenmädchen I, 1), Hellen Kwon (Blumenmädchen I, 2), Dorottya Láng (Blumenmädchen I, 3), Alexandra Steiner (Blumenmädchen II, 1), Gabriele Rossmanith (Blumenmädchen II, 2), Nadezhda Karyazina (Blumenmädchen II, 3), Katja Piew eck (Stimme aus der Höhe)
Regia: Achim Freyer (coll. Sebastian Bauer)
Scene: Achim Freyer (coll. Moritz Nitsche)
Costumi: Achim Freyer (coll. Petra Weikert)
Orchestra: Philharmonisches Staatsorchester Hamburg
Direttore: Kent Nagano
Coro: Chor der Hamburgischen Staatsoper
Maestro Coro: Eberhard Friedrich
Luci: Achim Freyer (coll. Sebastian Alphons); video di Jakob Klaffs e Hugo Reis