Le fenomenali frane free di Moholo
Memorabile concerto al Torino Jazz Festival del batterista sudafricano
Recensione
jazz
Il 30 aprile è la Giornata Internazionale Unesco per il Jazz, e per l'Italia (ovviamente, possiamo dire nel giorno che chiude un eccellente Torino Jazz Festival) la città italiana prescelta a rappresentarla è stata Torino. Che in quel giorno salisse sul palcoscenico del Conservatorio il vecchietto magrissimo e sdentato Luis Moholo non era certo casuale, per il direttore artistico del TJF, Stefano Zenni. Con una squadra di più giovani partner inglesi e sudafricani, il grande socio di Chris McGregor nei Blue Notes prima sudafricani e poi - per esilio anti-apartheid - londinesi ha preso cervello e pancia di tutti noi che lì eravamo con un concerto fenomenale. Se ne entra come fosse l'addetto alle pulizie che ha sbagliato turno, si siede come sedesse al bar alla batteria e poi fa rullare e strisciare in assolvenza la più dirompente miscela possibile di gioia ritmica africana, colorata e insieme esoterica e trance, e di crescendi minimali e ossessivi di pochissimi temi (cinque? sei in tutto il concerto?) lasciandoli poi sbranare e squartare e infine polverizzare in frane free dai suoi quattro ottoni, dal contrabbasso e dal suo prediletto giovanissimo pianista Alexander Hawkins, con cui è andato su e giù per tutto il tempo della sessione un gioco di sguardi e comandi e attacchi e cesure e mugolate di voce arcaica al mic. Se il cuore della improvvisazione jazz sono: capacità di ascolto, umiltà di gestione dell'errore, flusso ritmico, leadership carismatica e suscitatrice, Moholo ci ha mostrato tutto. Come ci si può commuovere per troppa energia di musica? Be', succede.
Interpreti: batterista Luis Moholo
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