Le 22 corde di Seckou Keita
Il musicista senegalese in concerto in solo a Lisbona, per presentare il disco 22 Strings
Sono un paio d’anni che Seckou Keita propone dal vivo, da solo, il repertorio del disco 22 Strings, e i concerti continuano a registrare il tutto esaurito: non ha fatto eccezione l’ottimo e capiente teatro del centro Culturgest di Lisbona. Il griot della Casamance è accompagnato sul palco solo dai suoi strumenti: un piccolo talking drum e due kore, lo strumento cui è dedicato lo spettacolo.
A rigore, la kora (arpa-liuto montata su una calabas, grossa zucca) ha, in genere, 21 corde. Narra la leggenda che gli spiriti della foresta, i djinns, abbiano voluto offrire la prima kora al griot Jali Mady 'Wuleng' (il “rosso”) e che quella kora avesse 22 corde; e che quando Jali Mady morì, gli altri griot abbiano scelto di togliere dalle loro kore la corda più bassa in segno di rispetto; ma si narra anche che in zone della Guinea Bissau, Gambia e nel Senegal meridionale la kora a 22 corde sia sempre rimasta in uso ed è a questa parte dell’Africa occidentale che ci riportano i dieci brani di 22 Strings, un viaggio là dove la kora – e lo stesso Seckou Keita – sono nati.
E da cui sono partiti, spesso con molta sofferenza. Non a caso, il primo brano del concerto è “Distance”, è accompagnato dalla foto di un cartello fotografato all’entrata del forte che sovrasta l’isola di Gorée, da cui sono stati deportati migliaia di schiavi africani. Dall’inizio sono chiari i registri che Seckou Keita fa propri nei concerti da solo: l’intensità minimalista e intimista degli arrangiamenti, capaci di evocare in “Distance” il Bob Marley di “Redemption Song”, senza mai cedere alla tentazione della cover; la capacità pedagogica e narrativa di far entrare l’ascoltatore nel proprio mondo; il dialogo con lo schermo alle sue spalle: ora in tinta unita rossa o blu secondo l’umore della musica; ora a proporre un ritmo visivo, siano passi sulla spiaggia, o onde o dita che sembrano accarezzarle; ora diviso in due foto, spesso pescate dal suo contesto familiare e amicale.
Nato in Casamance quasi quarant’anni fa (il 14 febbraio 1978), Seckou Keita ha fatto tappa in vari Paesi prima di trasferirsi nel 1999 in Inghilterra. Mettere l’accento sulla ventiduesima corda è riportare la musica a casa, ai legami familiari e sociali, come mettono in evidenza i brani vocali, "If Only I Knew", "Kana-Sila", "Mandé", che chiamano il pubblico ad interagire. Altri tre brani sono dedicati a familiari: al fratello più giovane che una notte, durante un periodo di malattia di Seckou Keita, l’aiutò a catturare sulla kora un momento di ispirazione ("N’doké, Little Bro"); al nonno materno Jali Kemo Cissokho, uno dei griot più conosciuti della regione ("Tatono"); e alla ricerca del padre ("Mikhi Nathan Mu-Toma (The Invisible Man)").
Il finale del concerto è tutto in crescendo, con accenni di virtuosismo e di interazioni col pubblico giocate su un impeccabile senso del tempo anche nelle battute, fino a consegnare a chi ascolta il compito di cantare la melodia, sostenuti solo dal talking drum che accompagna i passi di un infaticabile viaggiatore.
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