La prima volta di Pappano a Santa Cecilia come direttore emerito

Il direttore, l’orchestra e il pianista Igor Levit porteranno questo concerto in tournée a Vienna e in varie città tedesche

Antonio Pappano e Igor Levit (Foto Daniel Dittus)
Antonio Pappano e Igor Levit (Foto Daniel Dittus)
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Antonio Pappano e Igor Levit
02 Novembre 2023 - 04 Novembre 2023

Sir Tony è salito per la prima volta sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in qualità di Direttore Emerito, dopo esserne stato il Direttore Musicale per diciotto anni, durante i quali ha diretto circa seicentocinquanta (!) concerti a Roma e in tutto il mondo. All’inizio della prima delle tre repliche si è rivolto al pubblico per ricordare ricordare il grande, amato e indimenticabile Yuri Temirkanov, scomparso poche ore prima, che dal 1979 ha diretto decine e decine di concerti con l’orchestra di Santa Cecilia e dal 2016 ne era il Direttore Onorario, sebbene da alcuni anni non fosse più potuto venire a Roma per le sue precarie condizioni di salute.

Questo stesso concerto sarà portato dal 6 all’11 novembre in tournée a Vienna, Essen, Baden-Baden e Francoforte, con alcuni cambiamenti di programma: in particolare Igor Levit sarà sostituito da Seong-Jin Cho nel Concerto n. 3  di Beethoven alla Goldener Saal del Musikverein di Vienna, dove la sera successiva si svolgerà anche un secondo concerto totalmente diverso, con la Sinfonia “Incompiuta” di Schubert e la Nona Sinfonia  di Bruckner.

Il primo pezzo in programma era l’ouverture dell’Anacréon  di Luigi Cherubini. È sempre interessante dare uno sguardo all’elenco delle precedenti esecuzioni nei concerti dell’Accademia, riportato nel programma di sala, dove si scopre che nei sessantuno anni dal 1910 al 1971 questo pezzo è stato eseguito trentuno volte da alcuni dei più grandi direttori dell’epoca, quali Mengelberg, Franz Schalk, Klemperer, Bruno Walter, Karajan, Furtwängler (e anche da Stravinskij!). Poi più nulla per cinquantadue anni, dal 1971 ad oggi. L’esecuzione odierna può dunque essere considerata una riscoperta del capolavoro orchestrale di Cherubini. Ed ha confermato l’inequivocabile influsso del compositore fiorentin-parigino su Beethoven, che d’altronde riconobbe apertamente il suo debito. Il piglio energico dell’orchestra, i bruschi contrasti dinamici, il dinamismo e la tensione dei crescendo di quest’ouverture ritornano molto simili in Beethoven. Alcuni momenti, come la coda, potrebbero ingannare chiunque ed essere attribuiti direttamente a Beethoven. E ci riferiamo non tanto alle sue prime sinfonie - scritte prima dell’Anacréon, che è del 1803 - ma anche alla terza e alla quarta. Direttori come Furtwängler e Karajan sottolineavano d’istinto questi preannunci beethoveniani: si possono ascoltare in Youtube le loro interpretazioni, bellissime, forse insuperabili, che però forzavano la lettera della partitura cherubiniana. Invece la maggiore coscienza stilistica del nostro tempo induce Pappano ad evidenziare anche le radici francesi e italiane di quest’ouverture, che convivono con i presagi beethoveniani.

Seguiva il Concerto n. 3  di Beethoven, che per il suo do minore e le sue dimensioni monumentali (il primo movimento eguaglia in durata quello dell’”Eroica”)  è considerato l’anticamera del periodo eroico di Beethoven. Si parla sempre dell’imponenza e della grandiosità della scrittura pianistica di questo concerto ma Igor Levit non ha battuto su questo tasto e, considerando le reali possibilità degli strumenti dell’epoca, ha scelto sonorità prevalentemente leggere e trasparenti, con un tocco molto calibrato ed un uso parsimonioso del pedale, dimostrando che il solista non ha alcun bisogno di sfoggiare sonorità possenti per essere protagonista. Anche al di là della sonorità del pianoforte, tutta la sua interpretazione non sottolineava il carattere granitico di questo concerto ma al contrario si concentrava sull’individualità di ogni frase e di ogni periodo, cogliendone le particolarità e le sfumature, pur senza intaccare la saldissima concezione unitaria di Beethoven e frantumarla in una serie di episodi. Questo nel primo movimento, mentre nel Largo centrale il pianista russo-tedesco ha cantato splendidamente la lunga e tenera melodia quasi belcantistica, interrotta da silenzi pregni di significato. Come bis (ci riferiamo al concerto di venerdì) ha scelto la versione pianistica del Wiegenlied  (Ninna nanna)  di Brahms, dimostrando come sia capace d’interpretazioni non soltanto raffinate e un po’ intellettualistiche ma anche semplicissime e toccanti.

La seconda parte era dedicata a due poemi sinfonici scritti quasi negli stessi anni dal ventisettenne Jean Sibelius (En Saga  del 1892) e dal ventinovenne Richard Strauss (Till Eulesnpiegel  del 1895). Poco noto il primo, che comunque ha avuto a Santa Cecilia diciotto esecuzioni, notissimo il secondo, che ne ha avute ben centoquattro, con direttori quali Strauss stesso (cinque volte), Toscanini, Mahler, De Sabata, Clemens Krauss. Entrambi hanno visto la loro presenza nei programmi diradarsi negli scorsi anni (lo stesso è accaduto, come si è visto, all’ouverture dell’Anacréon) ma vogliamo prendere il loro ritorno come un segno della volontà di rimediare al progressivo restringimento del repertorio verificatosi negli ultimi decenni.

En Saga è un brano affascinante, dai toni cupi e misteriosi, così come misterioso ne è il significato, perché Sibelius lo intitolò “poema sinfonico” ma non volle mai rivelarne il programma, che forse nemmeno esiste: è la dimostrazione che la musica a programma è inevitabilmente impari al compito, perché senza un testo che ne spieghi il contenuto il suo significato è impenetrabile o – per meglio dire – inesistente. Invece in Till Eulenspiegel  il programma c’è ed è pedissequamente seguito dalla musica. A differenza di En Saga non c’è qui nulla di suggestivamente misterioso e tutto è descrittivo in modo talvolta perfino sguaiato: questo è il suo limite ma anche la ragione della sua popolarità, un tempo enorme, come si è detto. Pappano è sembrato più sensibile alle atmosfere nordiche di Ein Saga che a quelle da Oktoberfest bavarese di Till, al punto da non dare il giusto rilievo ai timbri acidi e beffardi e ai ritmi aguzzi della sempre prodigiosa orchestra straussiana. Sicuramente qualche dettaglio sarà stato messo meglio a fuco prima di partire per Vienna e la Germania.

Confortante vedere la sala piena, seppure non pienissima, applaudire con entusiasmo il pianista, il direttore e l’orchestra.

 

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