La prima volta di “Nixon in China” a Madrid
Convince l’allestimento dell’opera di John Adams con la regia di John Fulljames e la direzione di Olivia Lee-Gundermann
Una delle opere contemporanee più rappresentate, Nixon in China di John Adams fa la sua comparsa per la prima volta sulle scene del Teatro Real di Madrid con un allestimento convincente e di notevole impatto. Quest’opera, che nacque e prese forma nel 1987, da un’idea del regista Peter Sellars, si caratterizzò, nel libretto elaborato dalla poetessa Alice Goodman, come occasione per una riflessione su un evento storico recente: la visita di stato del presidente Nixon del 1972 nella Cina comunista di Mao Tse Tung.
Nelle mani del regista inglese John Fulljames lo sguardo retrospettivo sul passato si accentua e si amplifica di senso, come di una narrazione il cui punto di vista è quello del tempo attuale: mentre all’inizio il palcoscenico è attraversato da una teca con il corpo imbalsamato del ‘Grande Timoniere’, scorrono grandi scaffalature, dense di archivi, faldoni, che ci si immagina fitti di atti secretati del Pentagono, da cui schiere di funzionari estraggono di volta in volta documenti, programmi di eventi, immagini e foto dell’epoca – in bianco e nero o dai colori sbiaditi - che proiettano in tempo reale su uno schermo sullo sfondo e ai lati della scena.
C’è nell’aria quel senso diffuso di ironia, di distacco ed insieme quella visione estetizzante della storia e delle ideologie, propri di un libretto che non ha voluto in alcun modo prendere in esame i loro valori - o non valori – per poter metter in risalto aspetti umani e personali dei protagonisti; i quali nell’ultimo atto, dopo cerimonie, discorsi, visite e spettacoli mettono a nudo tutte le loro fragilità e incertezze: “Quanto di quello che abbiamo fatto è buono?”, si chiede Chou En-Lai in un sommesso ed emblematico finale.
Fulljames riesce abilmente a mettere in atto un’operazione nella quale il senso del tempo storico, con la caducità delle sue icone, si manifesta attraverso la semplice presentazione di immagini e oggetti che emanano fortemente il loro pathos di testimonianza, anche con un’ineccepibile conduzione e coordinazione della macchina teatrale, con i movimenti dei personaggi e del coro, così come nelle belle coreografie del balletto, “Il distaccamento rosso femminile” del secondo atto.
La direzione musicale della coreana Olivia Lee-Gundermann, con un gesto preciso e asciutto, per nulla plateale, riesce a far emergere di volta in volta, con notevole duttilità, i caratteri compositi ed eclettici della scrittura di Adams: da quelli più smaccatamente derivati dallo stile del musical a quelli decisamente più di ampio respiro ed ‘operistici’ delle arie; rigoroso il suo controllo del procedere della ‘macchina minimalista’, con tutti i suoi scarti ritmici e stilistici.
Altrettanto impeccabile il cast vocale: agile e disinvolto Leigh Melrose nei panni di Nixon, così come Borja Quiza, in quelli di Kissinger; Jacques Imbraillo è un convincente Chou En-Lai, per l’emissione e la sobrietà del carattere che riesce ad infondere al personaggio; Alfred Kim nel ruolo del presidente Mao riesce con sicurezza e qualità timbrica a delineare sia tratti fortemente energici sia aspetti più delicati ed intimistici. Sarah Tynan interpreta il personaggio di Pat Nixon, con delicatezza e un gusto musicale che emerge in particolar modo nell’aria del secondo atto; rimasta afona all’ultimo momento Audrey Luna, per interpretare la moglie di Mao, si è prestata a muoversi muta sulla scena, lasciando che il canto uscisse - tipo playback - dal retropalco (le voci erano tutte leggermente amplificate) per la voce di Sayoon Lee, la quale ha saputo prontamente mettere in evidenza una certa leggerezza ed una sicura agilità vocale, destreggiandosi sia negli acuti che nei tratti cantabili di questa complessa parte.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Un memorabile recital all’Accademia di Santa Cecilia, con Donald Sulzen al pianoforte
Successo al Teatro del Maggio per la vilipesa Mavra stravinskijana abbinata all’intramontabile Gianni Schicchi