I trascinanti affetti di Giulio Cesare
Successo a Ravenna per l’opera di Händel che ha aperto la stagione operistica 2025
Dopo il Tamerlano del 2023 e la Trilogia d’Autunno 2024, prosegue la collaborazione tra il Teatro Alighieri di Ravenna e l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone, finalizzata alla valorizzazione del repertorio operistico del Seicento e del primo Settecento. In questa occasione al centro dell’operazione è stato posto Giulio Cesare, dramma musicale composto da Georg Friedrich Händel su libretto di Nicola Francesco Haym e andato in scena per la prima volta il 20 febbraio 1724 al King's Theatre di Londra.
Un nuovo allestimento che abbiamo seguito al debutto ravennate di venerdì 17 gennaio e che verrà riproposto nei teatri che hanno partecipato alla coproduzione, vale a dire: Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena (24-26 gennaio), Fondazione Teatri di Piacenza (31 gennaio – 2 febbraio), Fondazione I Teatri di Reggio Emilia (14-16 febbraio), Teatro del Giglio di Lucca (21-23 febbraio), Fondazione Haydn di Bolzano e Trento (21-23 marzo).
Opera riscoperta a partire dalla metà degli anni Venti del secolo scorso, Giulio Cesare oggi rappresenta uno dei lavori di Händel più apprezzati, capace di esercitare un fascino particolare e che in questo nuovo allestimento ha trovato una dimensione rappresentativa e interpretativa decisamente riuscita.
Un dato che possiamo rintracciare a partire dalla regia ideata da Chiara Muti, interprete capace di plasmare la sua lettura attraverso una palese sensibilità teatrale, veicolata in una messa in scena che attraversa i tre atti di questo lavoro grazie a un filo conduttore narrativo che trae dal libretto di Haym un ventaglio di spunti molteplici e variegati. Un carattere, questo, che ci accompagna lungo una narrazione scenica ricca, dinamica e costantemente variata, anche nei momenti di maggiore stasi drammaturgica. Un merito che Chiara Muti condivide con Alessandro Camera (scene), Tommaso Lagattolla (costumi) e Vincent Longuemare (light designer), riuscendo a costruire una messa in scena dall’articolazione davvero efficace, capace di mantenere una tensione rappresentativa nel complesso sempre coerente e pregnante, con forse solo qualche eccesso di attività sul palcoscenico in occasione di alcuni momenti particolarmente concitati dell’intreccio, oppure in occasione di rimandi tra l’onirico e il vaticinio (si veda l’evocazione dell’assassinio di Cesare alle “Idi di marzo”).
Al di là di questi rilievi – comunque francamente marginali nel quadro complessivo di una lettura registica palesemente efficace – la rappresentazione scenica è riuscita ad assecondare a pieno il trascinante passo musicale impresso da Dandone sia al versante strumentale – sostenuto con costante e adeguata rispondenza da parte di una compagine orchestrale capace di mantenere una brillante reattività ritmico-timbrica lungo l’intero corso della rappresentazione – sia su quello vocale.
In quest’ultimo ambito, sul palcoscenico si sono distinti il Giulio Cesare di Raffaele Pe e la Cleopatra di Marie Ly, vocalmente efficaci dall’inizio alla fine dell’opera e protagonisti di momenti solistici caratterizzati da coinvolgente efficacia interpretativa. Un dato completato dalle buone prove offerte da Davide Giangregorio (Achilla), Delphine Galou (Cornelia), Filippo Mineccia (Tolomeo), Federico Fiorio (Sesto), ai quali si affiancano con pale impegno Andrea Gavagnin (Nireno) e Clemente Antonio Daliotti (Curio).
A fine serata gli applausi convinti e calorosi del pubblico presente hanno salutato tutti gli artisti impegnati.
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