La magia di The Tempest conquista la Scala
Milano: il debutto dell'opera di Adès
Molto è stato scritto su The Tempest di Thomas Adès (prima mondale al Covent Garden 2004) e molto s'è parlato di un'opera, che per numero di repliche rapprenta un unicum nel teatro lirico contemporaneo. L'ex sovrintendente Stéphane Lissner l'aveva addirittura annunciata per la stagione 2013-14; poi un rinvio via l'altro, prima di un lungo e inspiegabile silenzio. Ora finalmente la Scala ospita l'edizione newyorkese del 2012 (coproduzione Wiener Staatsoper, Metropolitan Opera, Opéra de Québec), con la regia di Robert Lepage, ripresa da Gregory A. Fortner, e il compositore in persona sul podio. L'effetto è curioso perché lo spettacolo ha come fondale del primo atto una panoramica della sala del Piermarini vista dal palcoscenico, così che Prospero e compagnia paiono tornati a casa dopo una lunga tournée, amplificando l'effetto del teatro nel teatro anche quando i punti di vista cambiano. Nel secondo atto c'è una copia del palcoscenico e del boccascena con in alto lo stemma cittadino, nel terzo un "dietro le quinte", poi uno spaccato della sala vista di lato, con proscenio, sottopalco e la platea in pendenza. L'isola di Prospero diventa la Scala, dove il duca-mago mette in scena i suoi trucchi per sfogare la rabbia d'essere stato detronizzato. Una tensione ben percepibile nell'elegante arioso che lo caratterizza per tutta l'opera. Prospero non è il vecchio canuto, immerso nella consultazione dei suoi libri polverosi come vuole la tradizione teatrale, ma un prestante baritono (Leigh Melrose) dal torso tatuato, spesso impegnato nel registro più acuto, che scatena la tempesta per avere gli odiati usurpatori in proprio potere, ma viene preso di contropiede dalla figlia Miranda (la brava e appassionata Isabel Leonard, già nel cast originale del Met), che non ne rispetta l'autorità.
È questa la più importante libertà presa da Thomas Adès e dalla librettista Meredith Oakes, perché in Shakespeare è Prospero a favorire l'amore fra la figlia e lo spaesato Ferdinand (il bravo Josh Lovell), mentre qui la coppia gli sfugge di mano. L'amore dei due giovani scardina tutti i meccanismi della vendetta, arricchisce di umanità lo stesso Prospero, così come apre oasi di melodie orecchiabili. Altra variante è Caliban (Frédéric Antoun, a proprio agio nel personificare l'ingenuo mostro o nel rimpiangere le bellezze passate dell'isola), che qui non è affatto smanioso di stuprare la ragazza, ma la sogna madre dei suoi bambini e regina del regno che gli è stato tolto. Insomma nessuna brutalità da parte della selvatica creatura, dotata di piume corvine dal costumista Kym Barrett, solo la voglia di tornare a essere libero. Sopra tutti loro svolazza Audrey Luna nella tuta scintillante di Ariel (anche lei nel cast del Met); vera cugina della Regina della Notte, è un mostro di bravura capace di vette inimmaginabili per un soprano di coloratura e talvolta gareggia da acrobata con la sua controfigura funambolica, che si appende a lampadari, cavi, sipario. Re e cortigiani naufraghi, spesso accompagnati da frasi degli ottoni che ne sottolinano la vuota pomposità, sono i più tradizionali e non creano sorprese, una menzione speciale le merita Sorin Colbran (Gonzalo dalla voce autorevole), un saggio butler alla Downton Abbey che parla di umanità giusta; e la coppia grangherata di Stefano e Trinculo (Kevin Burdette già cast Metropolitan e Owen Willetts).
Thomas Adès alla conferenza stampa della presentazione dell'opera ha instito molto sulla costruzione geometrica della sua partitura, che in realtà pare piuttosto una coerente parabola, retta da una misuratissima orchestrazione, da un mondo di dissonanze a un pacificante do maggiore del finale che dissolve ogni tensione. L'ascolto non crea mai problemi di comprensione, tutto procede nel rispetto della tonalità, dei numeri chiusi, le sorprese vengono se mai dai mutevoli colori dell'orchestra, dagli scatti improvvisi di uno strumento solista che commenta l'azione con uno sberleffo. Non c'è momento in cui Adès perda di vista il ritmo drammaturgico ed è forse questo il segreto del successo di The Tempest. Al quale contribuisce non poco la regia di Lepage, maestro della visionarietà prima ancora dell'inizio, con le luci in sala, dove appare un modellino di veliero in proscenio, la buca del suggeritore rivolta al pubblico e sul retro i palchi illuminati, un invito al gioco a cui è impossibile sottrarsi. Durante la lunga e accattivante ouverture è poi un fuoco di fila, Ariel penzolante dal lampadario, il telo agitato che simula le onde (come fece Strehler nel 1977 al Teatro Lirico), i naufraghi che compaiono e scompaiono. Da quel momento lo spettatore non ha più scampo.
A fine serata grandi e meritati applausi per tutto il cast e accoglienza calorosissima per Adès autore e direttore d'orchestra.
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