Il sontuoso violoncello di Tamás Varga
Al Ravenna Festival, il meglio di Dvořák con Muti e l’Orchestra Cherubini
Era tempo che non sentivo dal vivo un suono di violoncello così pieno ed elegante insieme, potente e intonatissimo (due caratteristiche non sempre concordi): un suono nobile, come nobile d’aspetto e portamento si proponeva al pubblico il suo artefice.
Siamo oggi sempre più adusi a violoncellisti che si dimenano scompostamente sulla sedia, amplificando nel corpo l’immagine sonora prodotta con lo strumento, quasi a voler fare apparire di trascendente difficoltà e ispirazione ogni più semplice passaggio. Tamás Varga, primo violoncello dei Wiener Philarmoniker, sta agli antipodi, forse proprio perché primo violoncello di un’orchestra, della più aristocratica fra le orchestre: austero nel gesto, fa sembrare facile anche il passo più arduo.
La qualità del suono che produce già ti appaga di per sé – come il timbro di certe voci baciate dal cielo, qualunque cosa cantino: non importa allora se esegue il sublime Secondo Concerto di Dvořák o, come bis, una (per altro molto interessante) Ballade in Gelbper violoncello solo composta a 12 anni dal figlio Konrád Varga, violoncellista di suo. Ogni volta che l’archetto si posa sulle corde, parte una magia; e quando, al termine del secondo movimento, giunge la cadenza in doppie corde, il piacere prodotto da quei contrappunti a due voci è elevato a potenza.
Certo, la bellezza della partitura – che non ricordavamo così bella – giocava tutta a favore dell’esito eccezionale, spingendo anche l’Orchestra Cherubini ai suoi massimi livelli. Fra le tante formazioni che si susseguono e si rinnovano anno dopo anno, la Cherubini 2020 sembra particolarmente incline alla grana sonora del tardo romanticismo, come aveva già dimostrato nello Skrjabin al concerto inaugurale del Ravenna Festival. Le prime parti dei legni, in particolare, annoverano veri talenti, di cui ci si bea ad ogni assolo.
Ne ha giovato soprattutto quella Sinfonia “Dal nuovo mondo” che, con il concerto per violoncello, si spartisce il podio delle composizioni più eseguite di Antonín Dvořák. Lo stesso Riccardo Muti la frequenta dai primi anni della sua carriera. I tempi non sono più quelli affrettati di un tempo, come rileviamo ormai per tante composizioni di cui è possibile tracciare una sua storia esecutiva. E soprattutto è venuto a mancare il piglio nervoso che infuocava, ad esempio, lo scherzo e le sue inquietanti emiolie: non più satanico, ma brillantemente scoppiettante, senza eccessi.
Anche qui, l’esito complessivo è stato garantito dall’alto livello generale dell’orchestra. Difficile etichettarla una compagine giovanile, quasi a volerne circoscrivere il valore: la Cherubini, in questo repertorio, è un’orchestra a tutto tondo.
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