Il Regio in Festa

Torino: lo straordinario successo dell'Open Day

Recensione
classica
“La festa è più bella se vengono più amici” diceva alle 10 di sabato mattina Walter Vergnano, sovrintendente del Teatro Regio di Torino, osservando con emozione le 300 persone già in coda che aspettavano che si aprissero le porte del Regio per l’Open Day che festeggiava i 40 anni dall’inaugurazione della nuova sede. A notte fonda, conclusa anche la Festa in puro stile Anni ’70 con i musicisti del Regio che suonavano live cover pop e rock, gli amici contati potevano essere quasi diecimila. Non c’erano biglietti, non c’erano contromarche a contare quel fiume di persone che visitavano nel Foyer del Toro la mostra sulla storia del Regio (nato nel 1740, bruciato nel 1936, rinato il 10 aprile 1973 su progetto di Carlo Mollino), che giocavano ai quiz su Verdi e Wagner, che si facevano fotografare con i costumi del Settecento, che ascoltavano i concerti sulle scale o affacciate da una balaustra. La cosa più bella era vedere lo stupore, la sorpresa, l’emozione negli occhi di quegli adulti, ma anche dei tanti bambini che per la prima volta entravano in teatro e allora la moquette rossa era già una scoperta, le vetrate una magia, ascoltare Nino Rota guardano il modello dell’auto da record di Mollino un’emozione da raccontare agli amici. La scommessa era far diventare quegli spettatori anche protagonisti così sono andata a vedere che facce avevano i trenta che si erano iscritti al Laboratorio “Opera…ndo su La Traviata”: la promessa era, dopo un’ora, di farli cantare il Brindisi con tanto di calice in mano. In realtà erano più di trenta e nessuno era stato respinto. Così nella Sala Caminetto c’erano famiglie intere con bambini in braccio e il testo in mano e una bravissima docente, Nausicaa Bosio, che al pianoforte accennava la parte, poi li invitava a cantare e a recitare “Barone, lei faccia solo no con la testa. Gastone, si alzi in piedi, grazie. Signori, per favore, è una festa voglio sentire la gioia nella vostra voce”. E tutti lì, serissimi e concentrati, a cantare “Godiam la tazza e il cantico”. Non c’erano abbastanza fotocopie con il testo e così tre ragazzi davanti a me seguivano il libretto sull’Iphone. “Non siete un po’ troppo avanti per il 1853?” ho domandato e uno sorridendo mi ha risposto: “Ma siamo giusti per il 2013!”. Finchè ci saranno ragazzi così, e occasioni come questa, l’opera non morirà mai.

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