Il combattimento di Nono e Monteverdi
Al Festival Verdi un’originale confronto tra madrigali del 600 e del 900, dove Monteverdi ha giocato in casa
Più che un dialogo tra presente e passato, quello proposto in occasione dell’appuntamento conclusivo della rassegna Ramificazioni – nuovo filone presentato quest’anno nell’ambito della programmazione del Festival Verdi di Parma – è parso un confronto tra un passato ormai remoto rappresentato da Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi (1624) e uno più prossimo incarnato da La lontananza nostalgica utopica futura di Luigi Nono (1988).
Un incontro, quello offerto da questo spettacolo realizzato anche con il sostegno di Reggio Parma Festival nell’ambito del progetto 2024 Arcipelaghi, nel quale i quattrocento anni tondi che separano il nostro presente dall’opera monteverdiana si intrecciano con i trentasei anni trascorsi dalla genesi di una delle estreme creazioni – sia dal punto di vista cronologico sia da quello del linguaggio musicale – del compositore veneziano scomparso nel 1990 e nato esattamente cento anni fa.
Appare chiaro che, se la tenzone si tiene – come in questo caso – nella cavea del Teatro Farnese di Parma, a giocare in casa è Monteverdi, autore quest’ultimo dell’opera Mercurio e Marte che ha debuttato proprio in occasione dell’inaugurazione di questo teatro avvenuta nel dicembre del 1628, in occasione delle nozze di Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio, con Margherita de' Medici, figlia di Cosimo, celebrate a Firenze nell’ottobre dello stesso anno.
Al di là di questi richiami storici – invero fortuiti – nell’economia di questo concerto il compositore cremonese è parso giocare un ruolo predominante nel quadro di una serata aperta comunque da un’intensa esecuzione del Madrigale per più “caminantes” di Nono, interpretato con adeguata varietà di accenti espressivi da Mihaela Costea, il cui violino solista ha saputo tratteggiare con un suono preciso e affilato quel campionario di effetti timbrici, dinamici e agogici che Nono aveva ideato con Gidon Kremer, vagando tra il caso e i leggii sparsi nello spazio ligneo del teatro per cercare quel cammino che lo stesso autore ha concepito ispirandosi all’ormai famosa iscrizione sul muro di un chiostro trecentesco di Toledo: “Caminantes no hay caminos hay que caminar”. Un percorso assecondato con delicata pregnanza anche dalla regia del suono di Alvise Vidolin, capace di gestire le tracce ripartite in origine negli otto nastri magnetici attraverso una spazializzazione distribuita con una misura accorta ed efficace.
Passando senza soluzione di continuità alla seconda parte del concerto – e mitigando così la suggestione della lenta uscita della solista dalla sala su una nota tenuta che invece di spegnersi nel silenzio si è dissolta nei rumori generati dall’ingresso dei musicisti del Ghislieri Consort e dallo smantellamento della regia del suono – siamo quindi stati condotti nelle atmosfere generate dal madrigale rappresentativo che Monteverdi ha composto, su testo di Torquato Tasso, per soprano e due tenori (oltre a quattro viole “da brazzo” e basso continuo). Qui le parti vocali sono state tutte interpretate dal controtenore Carlo Vistoli, di bianco vestito così come lo era Mihaela Costea, forse l’unico elemento che legava, almeno simbolicamente, le due parti dello spettacolo. Ad accompagnare l’intensa vocalità di Vistoli, impegnato a dribblare con buon impegno l’inevitabile uniformità dovuta al fatto di incarnare i tre personaggi che animano questa pagina – vale a dire Testo, Tancredi e Clorinda – l’ensemble strumentale guidato dal maestro concertatore al cembalo Daniel Perer, capace di restituire un funzionale passo espressivo agli scambi intessuti tra impasto strumentale e narrazione vocale. A completare questa seconda sessione della serata i due danzatori Gador Lago Benito e Alberto Terribile – che hanno abitato, legati da un elastico simbolo del legame e del destino, la pedana sopraelevata rimasta in ombra durante La lontananza – chiamati a dare corpo alla coreografia di Philippe Kratz, il tutto coordinato da regia e visual curati da Fabio Cherstich.
A fine serata i convinti applausi del pubblico presente alla “prima” di venerdì 18 ottobre hanno salutato tutti gli artisti impegnati in questo spettacolo realizzato in coproduzione con Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto, Torinodanza Festival Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale, Ghislierimusica Centro di Musica Antica.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln