Il cavaliere elettrico di Bayreuth 

Lohengrin diretto da Thielemann apre l’edizione annuale del festival wagneriano 

Lohengrin
Lohengrin
Recensione
classica
Bayreuth, Bayreuther Festspiele
Lohengrin
25 Luglio 2018 - 10 Agosto 2018

Secondo Friedrich Nietzsche la musica del Lohengrin è “blau, von opiatischer, narkotischer Wirkung” (ossia blu e dagli effetti narcotizzanti di un oppiaceo). E il blu è decisamente il colore che domina il nuovo allestimento del Lohengrin, che ha aperto trionfalmente e senza evidenti contestazioni l’annuale festival wagneriano a Bayreuth alla presenza della fedelissima Cancelliera Merkel e del solito corteo di autorità. 

Blu, dunque, ma niente affatto narcotico questo Lohengrin. Anzi, si direbbe un cavaliere elettrico che arriva per dare la scossa al popolo del Brabante dalla centrale elettrica spenta, e poi anche alla dolce Elsa con i capelli azzurri come la fata turchina nella camera nuziale legandola con un cavo elettrico su un accumulatore-totem in un pudico bondage, e mortifica col suo fulmine che sembra uscito da un fumetto Marvel il villain Telramund in un duello volante stile Harry Potter. Questo nuovo Lohengrin e molto timido si ricorderà come quello del pittore di carattere spigoloso ma molto glamour Neo Rauch (si racconta che Brad Pitt sia innamorato delle sue immagini in stile realismo sovietico reloaded) che con la moglie Rosa Loy ha arredato la scena del Festspielhaus con quelle immagini un po’ ingenue e un po’ stravaganti e soprattutto con grandi fondali e sipari di paesaggi in stile neo-romantico. Certamente non sarà ricordato per l’apporto del giovane regista Yuval Sharon di cui, come già per Pierre Audi nel recente Parsifal “di Baselitz” a Monaco di Baviera, non si coglie la funzione in questo spettacolo dominato dalla presenza dei due artisti. Sharon non prova nemmeno a lasciare una prova visibile della sua esistenza e abbracciando, per non sbagliare, i modi più triti di certa deteriore tradizione: interpreti abbandonati a loro stessi e coro schierato sulle due ali laterali, rigorosamente immobile tranne qualche sventolare di braccia. Dopo anni di inconcludenti regie concettuali, non stupisce che si accolga il vecchio con un certo sollievo. 

Sul piano musicale, le note vicende della sostituzione dell’Alagna in fuga dalla collina verde, non sembrano aver pesato più di tanto sul sostituto Piotr Beczała, non nuovo al ruolo. Beczała è e resta fondamentalmente un tenore lirico e quindi non del tutto estraneo alla vocalità richiesta per Lohengrin, spesso indicato come il ruolo più “italiano” nel repertorio tenorile wagneriano. La voce è luminosa e bella ma difetta di colore “eroico” (e lo si nota soprattutto nella celebre “Im fernen Land”) e anche l’interpretazione non è davvero ricca di espressione. Una volta di più, invece, Anja Harteros conferma anche con Elsa, ruolo che frequenta da tempo, la sua statura di interprete a tutto tondo: pieno controllo della voce, tato misurata quanto espressiva nel disegno del personaggio. Molto atteso il ritorno di Waltraud Meier dopo 18 anni di assenza dalla scena di Bayreuth ma la sua magnetica Ortrud si fa ancora ammirare più per l’intelligenza della grande interprete che per un vigore vocale che, a 62 anni, mostra oramai i segni del declino. Che come cattivo totale si diverta molto lo fa capire bene Tomasz Konieczny, il cui Telramund dalla vocalità fin troppo esuberante segue i modi piuttosto carichi oramai desueti che forse una regia più presente avrebbe contenuto. Di grande spessore le prove di Georg Zeppenfeld come re Heinrich e Egils Silins come araldo. 

Christian Thielemann guida la prodigiosa Orchestra del festival mostrando una maturità interpretativa che si coglie nella classica compostezza dell’esecuzione. Non c’è forse il fuoco romantico, ma il suono, sempre bellissimo, è luminoso quando deve ma non prevarica mai, soprattutto nell’accompagnamento delle voci, probabilmente anche per non acuire certe fragilità nel cast. Da elogiare incondizionatamente anche la magnifica la prova del Coro del festival, anche in questa edizione preparato da Eberhard Friedrich

Un trionfo per tutti gli interpreti (visibilmente commossa Waltraud Meier), più temperato per il team creativo ma senza nessuna contestazione percepibile, il che per Bayreuth è davvero un successo. 


 

 

 

 

 

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