Il canto delle balene e il flauto del fauno inaugurano l’Accademia FiIarmonica Romana

Suonava l’Alban Berg Ensemble Wien con la splendida flautista Silvia Careddu

Alban Berg Ensemble Wien
Alban Berg Ensemble Wien
Recensione
classica
Roma, Teatro Argentina
Alban Berg Ensemble Wien
27 Ottobre 2022

L’inaugurazione della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana offriva un bello spettacolo ancor prima di cominciare: infatti lo storico Teatro Argentina (quello della burrascosa prima del Barbiere di Siviglia) era finalmente affollato, dopo le deprimenti sale semivuote del periodo peggiore del covid. Eppure il programma non era di quelli che richiamano grandi folle e anche gli interpreti non erano notissimi, almeno in Italia. Però i cinque musicisti dell’Alban Berg Ensemble Wien hanno dalla loro la magica parola Wien, che è una garanzia e attrae sempre il pubblico.

Tra loro c’era Silvia Careddu, che è un membro del gruppo ma veniva evidenziata sui manifesti come una solista, perché in effetti le veniva riservato il ruolo principale. È italiana ma ha suonato piuttosto raramente in Italia, perché la sua non ancora lunghissima carriera si è svolta quasi interamente all’estero: ora è primo flauto solista dell’Orchestre National de France e precedentemente è stata il primo flauto di varie altre prestigiose orchestre straniere, fino ad arrivare addirittura ai Wiener Phlharmoniker, ma dopo un anno il loro rapporto si è interrotto. Nel 2019 questa vicenda ha fatto grande scalpore e molti media stranieri hanno accusato di maschilismo i filarmonici viennesi, che fino a non molti anni fa – com’è ben noto – non ammettevano donne nelle loro file e che, sebbene ora le accettino, forse non sono ancora pronti a concedere ad una donna un ruolo di spicco come il primo flauto. Ma questa spiacevole vicenda non merita che se ne parli ancora.

È invece della magnifica arte di Silvia Careddu che si deve parlare. Entra sul palcoscenico con atteggiamento semplice, modesto, timido ma sorridente, non certo da diva. Ma poi inizia a suonare e dimostra chi sia. Il pezzo in cui si può meglio apprezzare la sua arte è Syrinx  di Debussy: il suo flauto ha un suono purissimo, dolce e caldo, senza quel timbro leggermente metallico che spesso questo strumento ha sotto le dita anche dei più grandi flautisti. Trae dal suo flauto una meravigliosa inesauribile varietà di delicate sfumature timbriche, come sicuramente Debussy voleva, ed evita ogni esibizione virtuosistica, a cui tanti altri cedono quando suonano il più famoso pezzo per flauto solo del repertorio. Alla fine di Syrinx  attacca senza interruzione il Prélude à l’après-midi d’un faune:  inizialmente quasi non ci si accorge di questa transizione, ma poi il salto di vent’anni indietro diventa evidente, confrontando il suono vivo, asciutto, essenziale e sempre vario di Syrinx  con la lenta, sensuale e allo stesso tempo malinconica melodia del flauto, che ritorna più e più volte nel Prélude.  Quest’ultimo brano è stato eseguito in una drastica riduzione per tre soli strumenti, che dà solo una pallida immagine di questo capolavoro di Debussy, ma ha almeno il vantaggio di lasciare alla Careddu un ruolo da solista, che permette all’ascoltatore di godere appieno la musicalità e il suono con cui esalta la famosissima melopea del fauno debussiano.

Segue la trascrizione per cinque strumenti della Kammersymphonie n. 1 op. 9  di Schoenberg, ma anch’essa non rende pienamente giustizia all’originale, nonostante sia stata realizzata da Anton von Webern.

Il concerto si era aperto con Vox Balenae,  in omaggio al suo autore, George Crumb, scomparso ultranovantenne pochi mesi fa. Crumb si poneva nel solco dei pionieri della musica americana, come Ives e Cage, e si definiva postmoderno per sottolineare la sua estraneità alle ricerche e alle teorie dei musicisti suoi coetanei, soprattutto quelli europei. Vox Balenae  è un ampio lavoro del 1971, per flauto, violoncello e pianoforte, ispirato al canto delle balene, che era stato scoperto negli anni immediatamente precedenti. Crumb non vuole riprodurre realisticamente il canto delle balene ma semmai imitarlo liberamente per ricreare quel misterioso mondo sottomarino (prescrive anche che il palcoscenico sia illuminato con luci azzurre) e i suoni arcani che vi riecheggiano. A tal fine ha ideato nuove tecniche esecutive per i tre strumenti, cui si aggiunge un uso non invadente dell’elettronica e dell’amplificazione, ma nulla a che vedere con le sperimentazioni delle avanguardie musicali di quegli anni. Il risultato è estremamente suggestivo, perfino piacevole, addirittura rilassante, come una sorta d’immersione nella natura primordiale, incontaminata, pacifica e benevola.

Grande successo per la Careddu e gli altri membri  dell’Alban Berg Ensemble Wien, che sono riusciti a conquistare il pubblico con un programma non dei più popolari.

 

 

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