Currentzis e Utopia Orchestra debuttano a Roma
Grazie all’Accademia di Santa Cecilia i romani hanno finalmente potuto ascoltare il discusso direttore greco, che forse ha innervosito qualcuno, ma ha entusiasmato il 99% del pubblico
Teodor Currentzis è il direttore d’orchestra di cui più si parla oggi – e non solo oggi, perché ormai ha cinquantuno anni – e finalmente ha debuttato a Roma, invitato dall’Accademia di Santa Cecilia. Le sue apparizioni sono rarissime non solo a Roma ma in tutta l’Italia, mentre è di casa a Vienna, Salisburgo, Berlino e Parigi. Generalmente sceglie itinerari più eccentrici: nel 2004 ha fondato l’orchestra MusicAeterna e le ha dato come sede la lontanissima Novosibirsk, nel cuore della Siberia; nel 2022, anche per sottrarsi alle accuse di essere filoputiniano, ha fondato un’orchestra internazionale (i musicisti provengono da più di trenta paesi del mondo intero) e indipendente, che non ha sede in una città e in una nazione precise: l’ha chiamata Utopia. Sono queste le sue due orchestre preferite, ma l’insinuazione che diriga soltanto orchestre da lui stesso fondate e forgiate a sua immagine e somiglianza è ingiusta, perché - tra l’altro - è il Direttore principale della SWR Symphonieorchester di Stoccarda, una solida orchestra tedesca.
Ma lasciamo da parte le tante chiacchiere che circolano sulla sua personalità, le sue idee e le sue stravaganze e veniamo al concerto romano. Primo brano in programma, il Concerto per violino op. 77 di Brahms. Colpiscono subito alcune singolarità della postura di Currentzis. Elimina il podio, forse per porsi sullo stesso piano del solista, forse per poter spostarsi e avvicinarsi di volta in volta all’uno o all’altro settore dell’orchestra, cosa che ottiene anche inclinandosi in avanti o di lato fino a mettere a rischio il suo equilibrio. Dirige senza bacchetta, con un gesto molto personale: quasi mai dà gli attacchi o batte il tempo, perché un’orchestra del livello di Utopia non ne ha bisogno, ma disegna nell’aria la musica con le braccia, le mani e le dita. Ottiene così un fraseggio estremamente mobile, vario, morbido, in cui ogni minima cellula musicale ha un suo peso e un suo colore.
Da come Currentzis si era presentato, si poteva temere un’interpretazione molto libera e arbitraria, invece rispetta attentamente le indicazioni della partitura. Ma certamente ogni partitura lascia anche ampi spazi all’interpretazione: forte e piano sono sempre termini molto relativi e la contraddittoria indicazione di tempo del primo movimento di questo Concerto, Allegro non troppo, sembra fatta apposta per lasciare al direttore ampi margini di discrezionalità. Per Currentzis i momenti più energici sono in tempo decisamente Allegro, hanno ritmi scanditi e sonorità robuste. Viceversa nei momenti lirici l’Allegro non troppo si trasforma quasi in un Andante e il suono è delicato e trasparente, le atmosfere sognanti e romantiche: una meraviglia! In tal modo emerge il dualismo tra intimismo romantico e saldezza sinfonica classica, che in questo Concerto non è perfettamente risolto come nelle Sinfonie e in altre opere di Brahms.
Nel secondo movimento il lirismo si effonde incontrastato, intimo, carezzevole, malinconico, ma senza cupezza e pessimismo, anzi luminoso: prodigi così riescono a Mozart e a pochi altri. Il finale corre a briglia sciolta, esplosivo ma senza perdere il controllo e tenendo a freno le atmosfere “zingaresche”, che in altre esecuzioni diventano occasioni di esibizionismo per il solista. Appunto, che dire del solista? Currentzis ha scelto Barnabás Kelemen, fondatore e primo violino dell’omonimo quartetto e spalla dell’Utopia Orchestra: non una star ma un ottimo violinista, che dialoga strettamente con l’orchestra, da coprotagonista e non da mattatore, cosicché sia la parte solistica che quella orchestrale non sono rivali e si valorizzano a vicenda. Ottiene un bel successo personale e ringrazia il pubblico suonando come bis il Movimento di Ciaccona dalla Sonata per violino solo, una delle ultime opere di Béla Bartók, composta nel 1944 per Yehudi Menuhin.
Se in Brahms la ricerca del suono etereo e carezzevole è affascinante ma può diventare anche un po’ manieristica, nella Sinfonia n. 5 di Čajkovskij le cose cambiano. Currentzis questa volta è sul podio e l’orchestra suona in piedi, forse per poter suonare più liberamente e con maggiore energia, forse semplicemente per un effetto scenografico. Come che sia, il risultato è un Čajkovskij all’ennesima potenza, traboccante di passione. Tutto è portato all’estremo. L’introduzione è delicatissima e sottovoce, poi il primo tema irrompe rude e violento, con gli ottoni che urlano a tutta forza. Currentzis raggiunge atmosfere apocalittiche. Non tutto in questo movimento è così esasperato, ma anche nel pianissimo di violoncelli e contrabbassi conclusivo è palpabile il pessimismo più totale. Il secondo movimento si apre con lo stesso pianissimo ma ora con un barlume di luce, portato dalla melodia cantata meravigliosamente dal corno, cui si aggiungono il clarinetto e poi l’oboe: non soltanto qui ma in tutta la Sinfonia i dialoghi tra gli strumenti sono meravigliosi. Travolgente è la carica emotiva che Currentizis infonde anche a questo movimento, in particolare alle apparizioni del terrificante tema ricorrente che simboleggia il fato.
Ma il culmine della sua interpretazione è il quarto movimento, che - lo confesso - mi ha sempre suscitato un sospetto di ampollosità e trionfalismo, in particolare nella coda, quando il tema del destino si trasforma in un corale grandioso e imponente e anche il tema principale del primo movimento ritorna trasformato in un canto di vittoria. Ma Currentzis ne dà un’interpretazione esasperata, furente, forsennata, che travolge ogni obiezione: i criteri di giudizio critico saltano completamente di fronte a questo delirio, a questa allucinazione sonora. Il risultato è sensazionale! Currentzis è sempre nel giusto? Forse no! La sua è la migliore interpretazione possibile? Credo di sì. E scusate l’insanabile contraddizione.
Non credo che ascolterò mai un’altra Quinta di Čajkovskij come questa. Né ascolterò mai il Pas de deux dello Schiaccianoci come l’hanno suonato Currentzis e l’Utopia Orchestra nel bis con cui hanno risposto agli applausi travolgenti del pubblico, che gremiva la grande sala Santa Cecilia. Nell’interpretazione di Currentzis questa musica - che nel balletto accompagna l’esibizione di due star della danza nella scena che precede immediatamente il lieto fine – si tingeva di colori neri e demoniaci e si concludeva in un’atmosfera tragica e ineluttabile, come il fato che aleggiava sulla Sinfonia.
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