Canti improvvisati
diario del 3 luglio
Recensione
jazz
È raro che io ai concerti perda la pazienza, ma ieri sera a San Sperate è quasi successo. Niente di grave per carità ma la gente era veramente troppa nel Parco di Pixinortu, a poche centinaia di metri dal paese dei Murales. Troppa e in piedi con quelli dietro che facevano casino e che rischiavano di mandare a monte un concerto per noi raro.
Con le pietre/sculture di Pinuccio Sciola, con un bosco a fare da quinta per un concerto sacro che era di una chiesa quando noi non eravamo in chiesa ma il rispetto doveva essere lo stesso.
“Il rito e la memoria” è l’essenza della sacralità e del nostro DNA.
Perché coinvolge le Confraternite di Castelsardo, Orosei e Santulussurgiu che affondano le loro radici in trecento anni di “Iscravamentos” e di liturgie pasquali e natalizie e perché è rarissimo che Castelsardo, Orosei e Santulussurgiu cantino assieme e ancora più raro che cantino, passandosi il testimone, tre diverse versioni del “Miserere” e dell’”Ave Maria” trovandosi poi alla fine in una strofa finale che è corale e che ti avvolge.
Le voci sono quelle di Matteo Santoni, Angelo Cavalieri, Salvatore Tugulu, Giovanni Antonio Pinna, Giampaolo Tugulu, Giovanni Ardu, Mario Corona, Antonio Migheli, Roberto Iriu, Massimo Roych, Piero Pala, Mario Siotto, Luca Frau e Tonino Carta.
Le altre voci erano quelle del Quartetto D’archi Alborada con Anton Berovski, Sonia Peana, Nico Ciricugno e Piero Salvatori oltre a Diederik Wissels al pianoforte e al sottoscritto.
Venti presenze su un palco che non c’era a dialogare con le trachiti e i basalti di Pinuccio Sciola che di San Sperate ha cambiato l’anima sia con le pietre che con i murales che oggi la rendono famosa nel mondo.
Il Parco di Pixinortu è un luogo solitario. Un piccolo bosco di pioppi sulla sinistra e un altare di pietre al centro nel fondo. L’erba gialla si vede che è stata appena tagliata per le grandi occasioni e non sembra essere piccolo ma stanotte la gente non ci sta e molti mormorano perché chi sta in piedi non da modo agli altri di vedere.
E c’è da vedere oltre che da sentire. Per via delle sculture di Pinuccio che vigilano dietro di noi e per via delle magnifiche luci di Franceschino che questa notte si è superato.
Oggi 3 luglio siamo alla data numero 22 e ne mancano 28.
La prima fatica è stata quella di convincere i locali di San Sperate a spostare il gazebo del Bar con sedie e tavoli fuori dal luogo del concerto. Se ataviche sono le voci polifoniche poco lo sono i gazebo con scritto “Ichnusa” in grande e le sedie di plastica tipo bar a fare da improbabile cornice al concerto sacro di questa notte. Sul rito sembriamo essere tutti d’accordo. Il concetto di memoria invece in Sardegna è a volte interpretabile ed è facile confondere la Festa di Piazza con la messa.
Davanti a noi campeggia come monito una sedia in trachite di Sciola che non va d’accordo con le bianche di plastica del Bar Ichnusa fino a quando non riusciamo a convincere i locali a spostare la mescita in un altro spazio protetto che poi si rileva perfetto.
Alla destra del pioppeto c’è una casa dall’altro lato della rete. Casa che sembra disabitata ma dove si sono tre poveri cani, uno bianco simpatico e due neri simpatici anche loro ma terrorizzati da tutto quel bailamme, che abbaiano da mezzogiorno e che sembrano non avere perso la voce nonostante tutto.
La scommessa sarà riuscire a trasferirli altrove perché altrimenti questa notte ci sarà un concerto per Confraternite, archi, pianoforte, tromba e cani che sostituirebbero il suono delle cicale e del bosco.
Ce la facciamo. Arrivano i proprietari e riusciamo a spiegare loro che i cani non devono abbaiare per tutta la durata del concerto. Capiscono e noi ringraziamo. Li riportano subito dopo il concerto quando diverse migliaia di persone sono ormai andate via lasciando purtroppo una marea di cose per terra che sembra di essere nel The Day After.
Poesia contrapposta stanotte a San Sperate. Quella delle sedie bianche di plastica e della seduta in pietra di Sciola, quella del messaggio ecologico che portiamo in giro con l’energia pulita e le bottiglie e bicchieri di plastica lasciati per terra, quella dei suoni gutturali dei cantori, delle cicale e dei latrati dei cani.
Alla fine tutto sembra convivere. Perché quando si accendono le luci che filtrano e danno trasparenza alle pietre sonore di Pinuccio anche il mondo si accende e lì parte il lento “Miserere” prima con Orosei e poi con Castelsardo e Santulussurgiu che passano il testimone al Quartetto d’archi che ne riprende filologicamente la versione degli ultimi trascritta da Diederik Wissels qualche anno fa.
Noi suoniamo due brani tratti dalla colonna sonora del film “Il più crudele dei giorni” sulla vicenda della giornalista Ilaria Alpi tremendamente trucidata a Mogadiscio e poi passiamo la voce ai cori che cantano il “Magnificat”, lo “Stabat Mater” e “Sa Novena”.
Mentre con gli archi suoniamo la mia “Canzone” si accende un fuoco tra le pietre. Un fuoco vero che ha preparato Sciola e che emana i profumo dei camini di casa. E’ un invito a dialogarci e lo faccio, solo con il flicorno, girandogli intorno con riverenza fino a quando Diederik con attacca il tema di “Kamook”.
Alla fine suoniamo una “Ave Maria” contemporanea in tre quarti e poi i tre cori attaccano a loro volta la ‘loro’ “Ave Maria” che racconta la variegata Sardegna di ieri e di oggi. Sono tre “Ave Marie” le loro ma sono una come una è l’architettura delle lori voci tribali e raffinate allo stesso tempo.
Ci chiedono un bis e il tema di “Nanneddu Meu” che tutti conosco si insinua tra i pioppeti, le pietre di Pinuccio e la casa apparentemente abbandonata. La folla in prima fila canta “tanti auguri a te” e alle voci del pubblico si aggiungono i 14 cantori.
Mai avuto un compleanno così musicale!
I cantori di Castelsardo, Santulussurgiu e Orosei sono visibilmente emozionati per il calore della gente e per l’atmosfera di una serata veramente magica.
Con Pinuccio ci abbracciamo. L’impressione è che lo conosco da sempre ma è che conosco le pietre che in Sardegna non mancano e lui è pietra che è Rito e Memoria littica.
L’altro concerto è nel Bar della Ichnusa spostato non senza difficoltà dall’altra parte della strada. Perché lì si consuma a mezzanotte l’altro rito profano dei canti improvvisati fino a quando io stesso con Pinuccio e Diederik non ci troviamo nel cerchio dei cantori abbracciati gli uni con gli altri.
Sembra che ci sia anche una donna a cantare. Mi guardo intorno ma non vedo donne se non quelle che ci stanno ascoltando con occhi grandi.
E’ che la “quintina”, la quinta voce che nasce dall’accordo perfetto, è li a svettare su tutti e ad apparire e scomparire magicamente.
Pinuccio ci propone una pasta nella sua casa-laboratorio. Domani dobbiamo salire fino a Monte Maccione sul Supramonte di Oliena. E’ preferibile ritornare a Oristano.
In macchina siamo in quattro. Fortuna vuole che la “Quintina” sia sparita nel nulla esattamente come è comparsa a mezzanotte nel Bar Ichusa tra i cantori perché posto in macchina per Lei non c’era.
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