In Alto Adige i giovani intrepidi del jazz europeo
La 42a edizione del Südtirol Jazz Festival Alto Adige
Bolzano, 7 luglio 2024, domenica pomeriggio, al rientro in città dopo un concerto che si doveva tenere a 1976 metri di altitudine, a fianco di una delle gallerie che fino al 1985 portavano nel cuore della montagna fin dentro la miniera di Ridanna, ma che a causa dell’imponente pioggia è stato ospitato dal Museo provinciale delle Miniere, giù in paese: e risuona ancora il jazz di ottima fattura dei Fumagalli – trio svizzero sax alto, trombone e contrabbasso – ascoltato la mattina, come non finisce di sorprendere la prontezza della macchina organizzativa del Südtirol Jazz Festival Alto Adige; perché le bizze del meteo qui non spaventano certo, l’amore per il territorio e il desiderio di condividerlo con il pubblico è forte, e l’improvvisazione – proprio come nel jazz, frutto di lungo mestiere, di capacità di ascolto e di felice intuizione del momento – è una modalità a cui sai di poter attingere in qualsiasi momento.
Sono forse questi alcuni degli ingredienti che fanno di questo festival, sempre diverso nelle proposte musicali, ma sempre fedele a sé stesso nell’attenzione privilegiata verso i giovani e la scena europea, un po’ un unicum nel panorama italiano e internazionale, con dieci lunghe giornate – concerti in tarda mattinata, pomeridiani e serali su tutto il territorio provinciale, e l’appuntamento fisso delle 23.30, a Bolzano, per i set più sperimentali – in cui scoprire validi artisti, soprattutto dell’area germanofona, poco conosciuti al di qua del Brennero, e in cui, a ricordarti una volta di più perché la ami tanto, questa musica, ritrovare punte di diamante del jazz contemporaneo internazionale.
Punte di diamante come Sofia Jernberg (già nella Fire Orchestra! e con Alexander Hawkins nel recente Musho, Intakt, 2024) e Mette Rasmussen, un sodalizio che ci ha regalato un set mattutino sublime, giocato sull’accordo più che sul contrasto tra le due artiste, in una location di forte impatto come può essere un bunker costruito dall’esercito nazista durante l’occupazione della città capoluogo, mentre fuori erano bombardamenti. Meravigliosa, assoluta padronanza della voce di Jernberg – che tra i suoni più inusitati non rifugge qualche reminiscenza di bel canto – e massima empatia dialogica del sax energico e aspro, ma anche soffuso e leggero di Rasmussen: mood sprezzante, ironico, soave, ruvido, giocoso, fresco, ed è sintonia totale.
Rasmussen la si è poi vista anche di sera, al parco dei Cappuccini bolzanino – il “Base Camp” del festival – con il progetto Økse (con Savannah Harris alla batteria, Petter Eldh al contrabbasso, e la “chimica del suono” Val Jeanty) e un altro concerto memorabile, per una musica che sarà ben presto su disco, in uscita ai primi d’agosto. Concerto in cui sonorità tribali si stagliano sullo sfondo di paesaggi contemporanei e da futuro distopico, con aperture solari e gioiose e propulsione inarrestabile, grazie a un riuscito amalgama delle diverse anime del gruppo, a cui spesso è la notevolissima Val Jeanty a suggerire la strada. Grande piacere e divertimento del quartetto sul palco, che va dritto al cuore e alla pancia del pubblico.
Punte di diamante, ancora, come Maria Faust, che nella serata di apertura del festival ha portato a Bolzano il suo progetto Mass of Mary, tanto straniante nell’ambientazione – un ex-capannone industriale che sarà ben presto restituito alla comunità – quanto magistrale e toccante nell’esecuzione del coro e negli apporti calibrati e sapientemente orchestrati dei fiati di Faust al sax tenore, Kristjan Kungla al fagotto, Indrek Vau alla tromba e Andres Kontus al trombone.
Giunto ormai alla sua 42esima edizione e per la direzione, avviata l’anno scorso, di Stefan Festini Cucco, Roberto Tubaro e Max von Pretz, il Südtirol Jazz Festival Alto Adige si è così caratterizzato – per chi scrive e per quanto abbiamo potuto seguire degli oltre 50 concerti susseguitisi dal 28 giugno al 7 luglio – come occasione per intercettare le evoluzioni di musicisti che già si apprezzavano; tra questi anche gli italiani Francesco Cigana con la sua Human Magnetic Reception Ensemble di fiati e percussioni, ad aprire festosamente e con sottili rimandi alla migliore tradizione jazz la manifestazione altoatesina, come pure Simone Graziano, qui anche al sintetizzatore, e Camilla Battaglia, ospiti del festival per una residenza con il batterista svizzero Julian Sartorius. E ancora, il vibrafonista Mirko Pedrotti ugualmente in residenza-laboratorio di più giorni con Ruth Goller e Daniel Klein, per arrivare infine alla batteria di Francesca Remigi, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare, in uno spericolato duo di improvvisazione totale con l’americano Killick Hinds alla chitarra modificata, ad avvolgerci in atmosfere decisamente urbane e industriali, con un sapiente uso di dinamiche, tempi, e movimenti anche rarefatti.
Ma, come si accennava, queste fitte giornate musicali in Alto Adige si sono date anche come sguardo verso realtà perlopiù esterne ai circuiti nazionali, ma di grande interesse: è il caso ad esempio del duo francese NoSax NoClar (Bastien Weeger, sax alto e soprano, clarinetto; Julien Stella, clarinetto e clarinetto basso), che si muove a cavallo tra jazz, influenze dalle musiche del mondo e reminiscenze classiche, come pure del trio austriaco Haezz (Martin Eberle trombone, Stepan Flagar sax tenore, Tobias Vedovelli contrabbasso), energico quanto lirico, complessità ritmica e senso melodico mitteleuropeo, virtuosismo e interplay.
Menzione speciale infine – accanto al versatile quanto elegante batterista germanico Tilo Weber (a suo nome l’album “Tesserae”, segnalato tra i migliori dischi del 2023) e al violinista e violista francese Theo Ceccaldi, esibitisi entrambi in diverse occasioni e configurazioni (con Faust e Paggi, in solo, in un suo workshop e con le flautiste di Lancelot il primo; con i Velvet Revolution il secondo, oltre al duo Weber/Ceccaldi) – per l’ipnotico concerto degli Shake Stew di Lukas Kranzelbinder (settetto austriaco-germanico con sezione ritmica in parte raddoppiata, guembri e sassofoni): trascinante viaggio sonoro tra ethio-jazz e assonanze gnawa, e danza liberatoria per molti, al parco dei Cappuccini.
7 luglio 2024, il pomeriggio volge ormai al termine, e così pure il festival… rimane ancora un ultimo concerto – il quartetto della giovane sassofonista austriaca Ivonne Moriel, peraltro già membro convincente degli Shake Stew– e poi la grande festa al Sudwerk, che per una sera da intimo locale jazz si trasformerà in uno sfrenato dancing club per tutto lo staff e per gli affezionati e amici del SJF: una piccola grande comunità itinerante e globale che si ritrova puntualmente ogni anno, e in cui i nuovi arrivati sono i benvenuti, per farsi sorprendere una volta di più dalle scelte anticonvenzionali che qui trovano felicemente spazio.
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