Aida ’63
Lo storico allestimento di Zeffirelli-de Nobili ripreso al Teatro alla Scala
Recensione
classica
La polvere è importante. Su un palcoscenico, è il segno della vita che è passata attraverso un allestimento. Ecco, la ripresa scaligera dell’Aida firmata Zeffirelli del 1963 non ha polvere: è come stare davanti a una teca tirata a lucido di un museo. Le scene (giustamente celebrate) di Lila de Nobili non vivono più di quella luce di cui si racconta, capace di filtrare attraverso la sabbia e alle colonne del tempio: i moderni impianti luce, capaci di regalare effetti incredibili con nuovi allestimenti, sono troppo perfetti per queste scene sfumate. È un effetto straniante: si vuole omaggiare uno spettacolo storico del ’63 che già a sua volta celebra una tradizione di allestimenti dei primi del Novecento. La storia esecutiva insegna che le riprese sono sempre pericolose, a maggior ragione se a distanza di così tanto tempo: oggi, certe trovate sceniche, certa gestualità enfatizzata (braccia agli dei e ginocchia in disperazione), i cavalli, i lindi egizi e gli etiopi coi piedi sporchi e i capelli cofanati, più che sorprendere fanno sorridere; e, soprattutto, fanno da involontario sostegno alle tesi di Said su un’Aida colonialista.
Per giunta, tali spettacoli erano concepiti per essere abitati da cantanti-divi che catalizzino l’attenzione; oggi, il cast messo in piedi per questa ripresa non è decisamente stato all’altezza: né per il fraseggio scarno dei protagonisti Oksana Dyka e Jorge de Leon, né per i registri consumati di Marianne Cornetti o per l’arruffata intonazione di Andrzej Dobber. Omer Meir Wellber fa quel che può per aiutarli, ma tutti sembrano remargli contro: le tante idee di questo giovane direttore (meglio nelle parti raccolte che nelle scene di massa, con un Ritorna vincitor ad alta tensione e un finale da brivido) si scontrano con un’orchestra palesemente svogliata e al limite del cartellino rosso. Quando uno spettatore glielo fa notare ad alta voce all’inizio del terzo atto, dalla buca si è levato qualche filo di polvere.
Interpreti: Il Re (Roberto Tagliavini); Amneris (Marianne Cornetti); Aida (Oksana Dyka); Radames (Jorge De Leon) Ramfis (Giacomo Prestia); Amonasro (Andrzej Dobber); Messaggero (Enzo Peroni); Sacerdotessa (Pretty Yende).
Regia: Franco Zeffirelli
Scene: Lila de Nobili
Costumi: Lila de Nobili
Corpo di Ballo: Corpo di ballo del Teatro alla Scala
Coreografo: Vladimir Vasiliev
Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore: Omer Meir Wellber
Coro: Coro del Teatro alla Scala
Maestro Coro: Bruno Casoni
Luci: Marco Filibeck
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Napoli: l’Ensemble Mare Nostrum sotto la direzione di Andrea De Carlo e con il soprano Silvia Frigato
classica