Craig Taborn e Peter Evans, altezze siderali
Al Jazz Club Ferrara l'inedito duo fra il pianista e il trombettista

Appuntamento imperdibile quello al Torrione di San Giovanni di Ferrara con il duo inedito fra Craig Taborn e Peter Evans, per la prima di due date italiane (la seconda a Bolzano).
Di entrambi ci era capitato di vedere i rispettivi solo e l’impressione era stata di essere al cospetto probabilmente dei due più grandi interpreti al giorno d’oggi dei rispettivi strumenti. Il pianista, interprete e compositore colto ed eclettico, dotato di un estro travolgente, ha una frequentazione con Evans dal quartetto Rocket Science di quest’ultimo, con Evan Parker ai sassofoni e Sam Pluta all’elettronica.
Di una decina d’anni più giovane rispetto al suo partner in crime, il trombettista è musicista per il quale francamente i superlativi non sembrano mai sprecati. Non ci pare un’iperbole affermare che nessuno oggi suona lo strumento come lui: capace di far uscire da tromba e pocket trumpet ogni tipo di suono, anche percussivo, mentre Taborn scava nella tastiera e ordisce un dettato avvolgente eppure fitto di pericoli.
Nel primo set, che viaggia ad altezze siderali, fanno capolino in più di un’occasione frangenti tematici (il concerto prende l’abbrivio da tracce scritte: sbirciando nell’intervallo sul palco, cogliamo due titoli: “Untitled Project” e “The Owl Of Cranston”). Evans è una fucina di idee e soluzioni sorprendenti a getto continuo; il duo si lascia volentieri andare ad aspre, travolgenti derive free, tra lampi e scosse telluriche e ostinati ripidi che serbano intatto un profondo, caustico lirismo. Esplosioni, veglie, fughe, frammenti di Novecento fatto in mille pezzi, a rotolare giù da una vetta impervia.
Il secondo movimento si apre su un mare color Debussy, con la tromba poi a inventare in diplofonia suoni incredibili: sembra di ascoltare una specie di cool jazz informalissimo finito a fluttuare in un universo futuro dove vige un’altra legge di gravità, mentre il pianismo sobrio ed enciclopedico di Taborn tiene le fila del discorso dove la voce che canta, ipercinetica e selvatica, pur nel suo rigore accademico, è quella di Evans, che con il solo uso di dita e respiro produce mondi acustici che non diremmo possibili, a indugiare a un certo punto su un registro gravissimo che pare quello di un baritono o di un basso.
Altre volte invece i due dipingono una tela dove si intravedono ombre bop proiettate però in tutt’altro scenario. Dopo un quarto d’ora di pausa parte il secondo set: Taborn in questa vertiginosa salita resta solo e imbastisce una specie di ragtime cubista: l’impressione con i due è di avere a che fare con chi è profondamente conscio di tutta la storia che ha alle spalle e si fa carico di portarla avanti, verso l’ignoto, poiché non concepisce altrimenti il suo posto nell’arte.
Come mi dice con il consueto acume un amico organizzatore di concerti di altissimo valore: in questi tempi in cui si fa un gran parlare (sic) di industria culturale non si capisce come mai, nel nostro strambo paese, non si valorizzi adeguatamente, come si fa in ogni ambito, il comparto ricerca e sviluppo, con attenzione e fondi adeguati. Due come i musicisti di oggi sarebbero sicuramente perfetti nel ruolo di ricercatori a capo di un’equipe: artisti capaci di continuare a far progredire un linguaggio, a scovare altre dimensioni mentre indagano la realtà. Fraseggi a rotta di collo, vampe, incendi, ripetizioni di frasi minime (Evans) che vengono enunciate, stese a un sole distante e stupefatto e poi rivoltate come un calzino, mentre ci sono sempre nuvole nel piano del musicista di Minneapolis.
La seconda parte, pur restando sempre su ottimi livelli, è meno entusiasmante della prima: più morbida, pacificata, ma sono solo dettagli. Questa è musica che riempie la testa di domande bellissime e necessarie che non sappiamo ripetere: prende la testa, la porta sulla Luna, ce la stacca dal collo, ci gioca a palla, per poi rimettercela sulle spalle a farci sentire diversi da prima che iniziasse come dopo una qualche strana sessione di ginnastica psichica o un rituale allucinogeno.
Tra i prossimi appuntamenti da non perdere al Jazz Club di Ferrara segnaliamo Ben Lamar Gay e il trio di Kris Davis. Per ogni dettaglio Jazz Club Ferrara.
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