Akira Sakata, 80 anni con il Centro d'Arte
Akira Sakata in uno special project con tre differenti formazioni (e Jim O'Rourke)
![Foto di Ziga Koritnik Foto di Ziga Koritnik](/sites/default/files/styles/review_detail/public/review/main_image/SakataORourkePadova_ByZigaKoritnik2025_12.jpg?itok=Af3bCf1G)
Festeggia ottant’anni il Centro D’arte dell’Università di Padova e tra un mese farà altrettanto Akira Sakata, invitato alla Sala dei Giganti al Liviano per uno special project articolato in due serate con tre differenti progetti.
Si comincia con il duo tra questo eroe delle musiche libere a sax contralto, clarinetto, piccole percussioni e voce assieme al pianista Giovanni Di Domenico. Con questo assetto hanno una lunga e consolidata frequentazione che si è discograficamente manifestata con due lavori, Iruman e And Life Also Same (sull’italiana Holydays Records) dove hanno dato prova di grande intesa nella ricerca di un linguaggio articolato, maturo e non retorico.
Confermano tutto con un set asciutto e potente, che si apre su un mood austero e al tempo stesso corrusco, gravido di lampi, con il pianista che fruga nella tempesta e nella parte bassa della tastiera e scova accordi dissonanti, saette, mentre il suo partner deborda di energia free; talvolta gli inserti percussivi diradano le nuvole e si aprono squarci più quasi zen mentre il piano continua indefesso la sua esplorazione selvatica e riflessiva, lirica e irruenta. In questo flusso di coscienza senza pause c’è spazio anche per un frangente teatrale, come d’abitudine di Akira San, con un recitato, naturalmente nell’idioma di Mishima, del quale non capiamo il significato ma ci sembra di cogliere il senso.
![Akira Sakata](/sites/default/files/inline-images/SakataORourkePadova_ByZigaKoritnik2025_3.jpg)
Questa musica è un canto di una fine, epica e rivoluzione del crepuscolo. Tanto minuto quanto dotato di un carisma gigante, Sakata non è solo accompagnato, ma spinto in mille direzioni, a volte felicemente contraddittorie, dal pianismo sensibile e intelligente di Di Domenico.
Dopo una prima parte al sax, l’artista larger than life (date un’occhiata alla sua bio sul suo sito) passa al clarinetto: il passo è ora tra l’elegiaco e il distante, mentre il suo complice si conferma abilissimo nello sciorinare un eloquio compiutamente narrativo e mai prevedibile, che procede per repentine evoluzioni, satori, fughe, metamorfosi, inciampi, deragliamenti. Sulla voce del venerabile giapponese c’è poco da dire, è quella di un Maestro, e se avete a cuore un certo modo di approcciare la creatività in musica e l’improvvisazione vi tocca nel profondo, lo conoscete già oppure dovete solo ascoltarlo e capirete, senza bisogno che io aggiunga ulteriori note a margine. Menzione d’obbligo per il finale, con una versione straordinaria, tesa e tra le fiamme di “Lonely Woman” di Ornette Coleman, quasi un ultimo urlo in faccia a questi tempi così disastrosamente interessanti.
Qualche minuto di pausa necessario a far depositare le ceneri del fuoco appena appiccato e tocca all’Akira Sakata italian Ensemble, dove il nostro è in combutta con Piero Bittolo Bon (sax, un altro fiato che diremmo una zurna), Giorgio Pacorig (pianoforte), Stefano Dalla Porta (contrabbasso) e Andrea Grillini (batteria), un quartetto di ottimi musicisti che come tale non ha mai suonato insieme. Potrebbe essere la premessa per un’altra botta di energia libera ma non tutto procede.
Dal modo in cui, come di consueto, Giorgio Pacorig, danza e si contorce di fronte agli ottantotto tasti si ha modo di apprezzare a pieno il suo buttarsi nella selva dell’invenzione per scoprire cosa sta accadendo insieme a noi che ascoltiamo, con maestria, sensibilità, ascolto, dinamica, intelligenza. Piero Bittolo Bon fa suonare i tasti, memore del suo progetto Spelunker, canta dentro al tubo, forse riempie un po’ troppo, la sezione ritmica macina colpi.
Il set è classicamente impro, veemente, pieno anche di buoni abbozzi di idee, ma che non paiono capaci di decollare e di dare fluidità al discorso. Si raggiunge una delle vette quando, anche qui, Sakata si produce in una delle sue proverbiali recitazioni alla fine della quale esplode una bomba free finalmente a tutta potenza. Per il resto il set è interlocutorio, a differenza di quello di Bonjintan la sera dopo, un quintetto che è solito esibirsi solo in Giappone ed è alla sua prima data in assoluto in Europa.
Akira Sakata qui è nuovamente con Giovanni Di Domenico, poi con il batterista Tatsuhisa Yamamoto, Darin Gray al contrabbasso e Jim O’Rourke alla chitarra elettrica. L’assetto della band è diverso dal solito perché normalmente l’osannato autore di “Eureka”, che sarà protagonista dell’altro evento speciale organizzato dal Centro D’Arte, è al contrabbasso, mentre Gray non è della partita.
I cinque, dotati di un’intesa che davvero del telepatico, si lanciano a rotta di collo in un viaggio free jazz rock che mette in gioco mille stimoli e influenze e a volte riporta alla mente le torride atmosfere di Bitches Brew di Miles, attraversando con con piglio disinvolto e libero oceani scuri, baie luminose e mood differenti, dal febbrile al notturno all’out psichedelico, restando sempre teso, ispirato, lirico e potente. La sezione ritmica sposta accenti mantenendo un groove perenne e trascinante, anche quando resta implicito, come nei momenti più destrutturati, O’Rourke e Di Domenico rendono ancora più incandescente la materia con vampe e lampi; poi si spalanca una voragine rumorista.
Il batterista in solitudine, Gray sul corpo del contrabbasso con un battente e un tamburello, Di Domenico dentro al pianoforte a frugare e scrutare e Jimbo con un cacciavite sulle corde: un vulcano free che erutta lapilli a getto continuo: musica ad altissima temperatura. O’Rourke scorda la chitarra salendo e scendendo lungo uno sghembo pendio drone che regala una magnifica sensazione di bilico e pericolo mentre basso e batteria fanno rotolare massi, il piano e il Rhodes colgono piogge e rompono specchi, il sax e il clarinetto urlano tutta la loro poesia, primitiva, selvatica, urgente. Magia pura che per restituire bisognerebbe provare a raccontare secondo per secondo, minuto per minuto, come in una radiocronaca di un match.
![sakata](/sites/default/files/inline-images/SakataORourkePadova_ByZigaKoritnik2025_7.jpg)
Flipper melodici che inciampano e si tramutano per incanto in esposizioni di istantanee teorie filosofiche, fibrillazioni, agguati, colpi; dopo una parte recitata, in cui Sakata dà ancora prova delle sue eccellenti qualità di performer, annotiamo, tra le mille invenzioni in una serata veramente fuori dall’ordinario, un carillon ipnotico e storto di Di Domenico (un musicista che d’ora in poi sarà opportuno seguire con la massima attenzione, recuperando anche i suoi lavori già usciti, come quelli citati in duo con Sakata o il suo solo Succo di formiche, pubblicato da Unseen Worlds nel 2023), da qualche parte tra Steve Reich e un’idea out jazz e free rock che poi si rapprende e coagula in un groove lievissimo e volante.
Grandissimo concerto, varrebbe la pena farne un disco.
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