Sly e il peso del Black Genius

Sly Lives! è il documentario di Questlove dedicato a Sylvester Stewart e ai suoi Family Stone

Sly Stone
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Tre anni fa Summer of Soul (…or, When the Revolution Could Not Be Televised) vinse l’Oscar come miglior documentario; ora Ahmir Questlove Thompson ci riprova con Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius), docufilm che esplora la vita, la carriera e l’eredità di Sylvester Stewart e del suo gruppo Family Stone.

L’interesse di Questlove nei confronti di Sly (oggi ottantaduenne) sembra non voler diminuire: dopo aver pubblicato per la sua casa editrice Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin), il memoir che Stewart ha scritto con l’aiuto del giornalista Ben Greenman, è ora la volta di questo film, anch’esso come il precedente presentato in anteprima al Sundance Film Festival e ora disponibile sulle piattaforme Hulu e Disney+ (non in Italia al momento). 

– Leggi anche: Sly Stone, una vita

Sylvester Stewart è l’uomo che alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta ha rivoluzionato diversi generi musicali, riuscendo in tal modo a crearne uno tutto suo. Come il film spiega in maniera esaustiva, Sly & the Family Stone è stato davvero una rarità in quel periodo: un gruppo misto composto da bianchi e da neri, da donne e da uomini. E la stessa musica rifletteva la qualità eclettica del gruppo, anche se la maggior parte di essa era scritta, concepita e realizzata da Stone, produttore prodigioso, DJ e multi-strumentista. 

Prendendo in prestito da gospel, folk, big band, blues, British invasion e psichedelia, questa fornace umana sovralimentata di ispirazione ha snobbato la natura irregimentata dell’industria musicale. E il suo tempismo, unito alla sua visione sì tipica della fine degli anni Sessanta ma che già rifletteva le possibilità e le dissonanze del periodo successivo, non avrebbe potuto essere più azzeccato.

Dal punto di vista strutturale siamo di fronte a un documentario abbastanza formale: un flusso di facce familiari (George Clinton, D’Angelo, André 3000, Chaka Khan, Nile Rodgers e Q-Tip, solo per citare qualche nome) che parlano di cosa Sly and the Family Stone abbiano significato per loro e alcune citazioni fuori contesto aprono la pellicola prima che ci accomodiamo sul divano. Detto ciò, Questlove presenta molti intervistati alle prese con una domanda specifica sulla natura del "Genio Nero". La questione è piuttosto complicata, siamo al centro di ciò che il film intende esplorare – se sia intrinsecamente meglio per un afroamericano essere guardato e visto come un genio nella società americana (questo spiega la riga apposta sull’aggettivo Black del titolo) -; alla domanda se crede al concetto di Genio Nero, André 3000 dà la risposta migliore: «Sono felice quando succede».

sly lives

Esaurita questa introduzione, Questlove esamina diligentemente la biografia dell’artista: dalla sua educazione religiosa a Vallejo, California, alle sue prime incursioni nella musica con gruppi come The Stewart Four e The Beau Brummels, senza dimenticare le attività come disc jockey radiofonico e produttore musicale. A partire dal 1966 forma Sly & the Family Stone, un gruppo che miscela rock, pop, musica latina e funk per creare un suono distintamente ribelle che riesce a definire i desideri appassionati e l’inevitabile tumulto di quell’era.  

sly lives

Con abilità Questlove fa un parallelismo tra l’arco dell’attività della band e il Paese. Lo stesso anno in cui il gruppo si forma, il movimento per i Diritti Civili, guidato da Martin Luther King Jr., aspetta ancora la promessa integrazionista e Sly & the Family Stone diviene l’emblema di quel futuro di speranza. Quando il movimento non violento si sgretola in seguito all’assassinio di MLK, il Black Power si afferma. 

In maniera similare Sly e il suo gruppo, composto di veri membri della sua famiglia come sua sorella e suo fratello, perdono la loro innocenza. Sly ricorre alle droghe pesanti e comincia a comporre testi introspettivi che si rivolgono soprattutto alle sue insicurezze derivanti dal suo ruolo di voce della Blackness. Si allontana anche fisicamente dalla band, traslocando da San Francisco a Los Angeles. In poco tempo perde letteralmente tutto, a parte – ed è un miracolo – la vita. 

 Come altri documentari, Sly Lives! è allo stesso tempo un tributo e un racconto di avvertimento: la rapidissima ascesa di Stone alla fine ha condotto a una lunga e lenta discesa, mentre diveniva vieppiù inaffidabile, arrivando in grande ritardo ai concerti o non arrivando affatto. Le droghe hanno la meglio – più o meno per 40 anni, con almeno quattro ricoveri ospedalieri - e i problemi con la legge si accumulano. Ma invece di registrare tristemente il declino di Sly, Questlove (nuovamente al lavoro con il suo collaboratore di Summer of Soul, il produttore Joseph Patel) si domanda se il musicista sia crollato sotto il peso del Genio Nero – come se lui dovesse essere tutte le cose per tutte le persone, un compito ovviamente impossibile, reso ancora più impossibile dal fatto che a lui non fu mai concesso di cambiare ed esplorare altre identità, possibilità invece concessa ad artisti bianchi, uno fra tutti David Bowie

E se il  declino di Sly fosse stato nutrito da una cultura che ama vedere gli artisti e i geni, soprattutto quelli neri, crollare?

E se il suo declino fosse stato nutrito da una cultura che ama vedere gli artisti e i geni, soprattutto quelli neri, crollare?

Quando un musicista fa un film su di un altro musicista il risultato ne guadagna: nel caso specifico Questlove, batterista di The Roots, esamina per noi le costruzioni dei brani più famosi di Sly, facendoci capire la loro complessità e la loro influenza su canzoni di altri artisti e più in generale sullo sviluppo dell’hip-hop. Il batterista Greg Errico ci racconta come Sly usò una semplice Rhythm King drum machine per sostituirlo quando lasciò il gruppo; quella tecnologia era guardata con sospetto dagli altri artisti ma Sly tagliò i beat in un modo così peculiare da inventare un suono completamente nuovo. 

«It’s in the blood» - Family Affair

A Sly Lives! forse manca quell’energia derivante dalla scoperta per gran parte degli spettatori dell’esistenza dell’Harlem Cultural Festival, ma è senz’altro un’analisi sincera e senza sconti dell’epopea di Sly & the Family Stone più che essere un documentario musicale agiografico. In quanto tale, i risultati dovrebbero piacere a una moltitudine di everyday people

P.S. Per il gradino più alto del podio di Woodstock Jimi Hendrix se la deve giocare con Sly & the Family Stone.

P.S. 2 Come già successo con Summer of Soul, Sly Lives! è accompagnato da un doppio album contenente i brani più famosi del gruppo con sette rare e finora mai pubblicate alternate version, insieme a tre nuove versioni, anch’esse inedite, riviste da Questlove e dal DJ, remixer e produttore hip-hop con base a Brooklyn J.Period.

P.S. 3 Un ringraziamento speciale al regista nonché amico Marco Porsia per avermi spedito questo film dal Canada.

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