Quella Danae divisa fra l’oro e l’amore
A Monaco di Baviera un riuscito allestimento di “Die Liebe der Danae” di Richard Strauss grazie a un cast superlativo e alla regia di Claus Guth
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“Forse ci incontreremo in un mondo migliore”. Con queste parole Richard Strauss si congedava da tutti coloro che presero parte alla prova generale a Salisburgo della sua Die Liebe der Danae (L’amore di Danae) il 16 agosto 1944, l’unica esecuzione completa del suo lavoro alla quale Strauss poté assistere. Tutti i luoghi di spettacolo del Terzo Reich erano chiusi per ordine di Goebbels dal 10 luglio di quello stesso anno, dopo il fallito attentato a Hitler, mentre ovunque era distruzione nel cuore dell’Europa per la volontà criminale della follia nazifascista. Con le immagini di rovine ancora fumanti e di uno Strauss ottantenne che cammina fra le sue amate montagne della Baviera si chiude l’allestimento più recente della Danae all’Opera di Stato Bavarese. Si vedono soprattutto le rovine di strade e piazze di Monaco e dello stesso Nationaltheater, nel quale ci troviamo noi spettatori, mentre si consumano le ultime, rasserenanti note dell’opera.
Non poteva scegliere un finale più forte il regista Claus Guth, tanto più forte alla vigilia di elezioni che rischiano di cancellare la memoria di quegli anni, per chiudere la sua visione di un’opera, che nel catalogo straussiano continua a essere un oggetto scomodo proprio per quello stridente contrasto fra la leggerezza profonda del soggetto mitologico e la tragicità degli eventi, che ne hanno accompagnato la composizione. Ma solo alla fine del lungo spettacolo, Guth rivela quello stridente contrasto, mentre abbraccia interamente la leggerezza condita, da un certo gusto satirico, per rappresentare le coltissime facezie immaginate dal librettista Joseph Gregor da una vecchia idea di Hugo von Hofmannsthal poi abbandonata per l’Ägyptische Helena alle quali Strauss regalò una sontuosa veste sonora.
La reggia di Polluce, spiritosamente coronato da una cofana bionda alla Trump, è immaginata dallo scenografo Michael Levine come uno spazio fisso che ricorda una grande trading room con affaccio su una selva di grattacieli da impero capitalista (e una foresta di tubi oltre il controsoffitto che alloggiano umanissimi dei). Con pochi elementi e soprattutto con la sbrigliata fantasia della costumista Ursula Kudrna, che combina felicemente il contemporaneo (molto) al classico (quanto basta, come qualche piuma di cigno per vestire Leda o un bruciato nero per Semele), con le sapienti luci di Alessandro Carletti e con le immagini del fondale video curato da rocafilm, si snoda il lungo racconto in quello spazio che via via si degrada. Tutti in grisaglia i furiosi creditori reclamano il dovuto dall’indebitatissimo monarca sventolando contratti. Non c’è che una via di uscita: far sposare la figlia, la fatua Danae, che si presenta, ancor prima che la musica cominci, fasciata di seta rossa in un set fotografico, a colui che trasforma in oro tutto quello che tocca (compreso l’aereo che lo porta nell’impero finanziario in bancarotta di Polluce e Danae), Mida. In realtà, questi è un asinaio siriano promosso a monarca di Lidia da Giove, invaghito a sua volta della bella fanciulla, per dar seguito al suo complicato piano di seduzione. Bagnata da una pioggia dorata fatta cadere su di lei dormiente da Giove, la fanciulla si dichiara disposta a sposare solo colui che, con quella pioggia, le ha fatto scoprire il piacere. Trasformata in statua d’oro dal bacio appassionato di Mida, fra la freddezza dell’oro e il calore dell’amore, quello vero, che prova per il vero Mida (e non per l’impostore Giove che si spaccia per lui), la fanciulla sceglie l’amore anche a costo di una vita misera con l’uomo che Giove degrada alla sua umile condizione di asinaio. A nulla varrà l’ultimo tentativo di seduzione del padre degli dei, che porta gli abiti del wagneriano Wanderer, che nel frattempo ha risolto i problemi di Polluce con l’unico mezzo utile che gli dei possono dare agli uomini, ossia il denaro, come gli rammenta il cinico Mercurio. Danae ormai è una donna e consapevole e consapevolmente sceglie di restare al fianco dell’uomo che ha scelto per amore e non per l’oro in un paesaggio che nei pilastri bruciati e nelle immagini al di là della grande vetrata mostra i segni devastanti di una guerra in corso. E al dio ormai invecchiato, come l’anziano compositore che vediamo fra le sue amate montagne in un vecchio video, come gli ricordano le quattro regine che un tempo lontano egli ha sedotto, non resta che prendere congedo da quel “dono doloroso” determinata a restare abbracciata alla bellezza della terra, nonostante tutto.
Straordinaria la realizzazione musicale, guidata con perizia e gusto da Sebastian Weigle, che dopo i lunghi anni alla guida musicale dell’Oper Frankfurt sembra aver recuperato slancio e vitalità. È tanto vero che l’Orchestra di Stato Bavarese resta la più titolata nel repertorio straussiano, che basta ascoltare la bellezza e pienezza del suono e la precisione con cui viene cesellato ogni dettaglio di cui questa compagine è capace. E non meno di valore nella riuscita musicale di questa produzione è il miracoloso equilibrio con le voci in scena, mai soffocate dal suono orchestrale nonostante l’opulenza della massa sonora. Di grande valore è il trio dei protagonisti – Malin Byström, Danae sempre a fuoco nonostante una scrittura spesso impervia, Christopher Maltman, un Giove che sa essere divertente ma anche commovente nel toccante finale, e Andreas Schager, il cui vigore vocale per una volta non sacrifica il personaggio Mida – come anche il resto del lungo cast vocale. Il quartetto delle regine, che sono Sarah Dufresne (Semele), Evgeniya Sotnikova (Europa), Avery Amereau(Leda) e soprattutto Emily Sierra (Alkmene), sono così brave e spiritose che rischiano di mettere un po’ in ombra i rispettivi consorti, cioè Bálint Szabó, Kevin Conners, Paul Kaufmann, Martin Snell. Nonostante la brevità del ruolo, Ya-Chung Huang riesce a dare rilievo al suo ammiccante Merkur, molto presente già come “go-between” silente fra Giove e Giunone, muta osservatrice dall’alto delle acrobazie amorose del fedifrago consorte. Efficaci l’esagitato Polluce in versione trumpiana di Vincent Wolfsteiner e la musicalissima Xanthe di Erika Baikoff. Ottima la prova anche scenica del Coro dell’Opera di Stato Bavareseistruito musicalmente da Christoph Heil.
Pubblico folto ed esito trionfale, con oltre dieci minuti di ovazioni e chiamate per tutti.
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