Daniil Trifonov al pianoforte: impresa sportiva o interpretazione musicale?

Il recital di una delle più applaudite star del pianoforte di questi anni suscita non poche perplessità

Daniil Trifonov
Daniil Trifonov
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Daniil Trifonov
05 Febbraio 2025

 Quando arriva Daniil Trifonov, la stagione cameristica dell’Accademia di Santa Cecilia si trasferisce dalla già piuttosto grande Sala Sinopoli alla vastissima Sala Santa Cecilia, perché il pianista russo-americano è capace di riempirla sia di pubblico che di suono. Tecnica mostruosa, forza e velocità sono le sue principali caratteristiche, messe in evidenza ed elogiate dagli stralci di critiche, soprattutto americane, che si leggono sul suo sito. Qualcuno si chiederà: forza, velocità? Ma stiamo parlando di musica o di sport? E quel qualcuno si chiederà anche: ma allora Arturo Benedetti-Michelangeli e altri pianisti del passato, le cui meravigliose interpretazioni di Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin, Debussy sono conservate dai dischi - penso a Cortot, Backhaus, Gieseking, Kempff, Lipatti, Serkin e qui mi fermo - erano dei dilettanti della tastiera? Certamente Trifonov li avrebbe messi knocktout in un paio di battute. 

Questa visione sportiva del pianismo comporta anche delle brutte conseguenze per l’integrità fisica dei pianisti stessi: nel 2021-2022 Trifonov ha avuto dei seri problemi, forse alle articolazioni o ai muscoli o ai tendini delle dita o della mano o dell’avanbraccio o del gomito: mistero. Non ne ha mai rivelato la natura ma è stato costretto ad annullare molti concerti o a cambiare i difficilissimi e faticosi pezzi in programma (il suo cavallo di battaglia era il famigerato Rach3)  con pezzi da un certo punto di vista facili, come il Concerto n. 9 “Jeunehomme”  di Mozart, che richiedono però gradazioni sottilissime di dinamiche, agogiche e fraseggio, a cui Trifonov non era abituato, tanto che sembrava un pesce fuor d’acqua. Siamo felici che quel periodo di crisi sia ora superato e che Trifonov sia tornato in piena forma fisica. Ed è anche maturato, perché ormai ha quasi trentacinque anni ma anche perché in quel periodo ha suonato spesso musica da camera, in varie formazioni. Queste collaborazioni con altri artisti (penso in particolare alle serate di Lieder di Schubert con il baritono Matthias Goerne) sono state senz’altro utili a fargli capire che nella musica c’è dell’altro, oltre alla forza e alla velocità. Ma fino a un certo punto, tanto che nel suo concerto a Roma la Sonata op. 70  di Čajkovskij e la Sonata op. 26  di Barber sono durate alcuni minuti meno del solito. Ma il solo fatto che abbia messo in programma e portato in tournée in mezzo mondo queste composizioni non popolari né di grande richiamo, è un indizio positivo.

Queste due Sonate esigono una notevole tecnica (basti dire che la Sonata di Barber è stata scritta per Horowitz, che diede anche alcuni suggerimenti al compositore) ma non sono virtuosistiche nel senso deteriore del termine. In tanti anni di frequentazione delle sale da concerto non avevo mai avuto occasione di ascoltarle e sicuramente può dirsi lo stesso per il 99% del pubblico. Invece meritano di essere ascoltate. Nella sua esecuzione Trifonov ha confermato di essere in parte cambiato ma anche di non aver superato alcuni suoi limiti. Soprattutto non riesce a far cantare il pianoforte, che è ciò che distingue il pianista dal virtuoso. Soprattutto nel primo movimento della Sonata di Čajkovskij il pianoforte dovrebbe cantare le grandi melodie del compositore russo e non limitarsi a mettere le note una dopo l’altra. Ma nel secondo e nel terzo movimento Trifonov sfoggia colori tersi e leggeri, che non gli conoscevamo. Però dov’era la bellissima transizione Adagio che collega la vivace e brillante polka del terzo movimento al quarto? Trifonov sembra non essersi accorto di quelle poche battute, troppo facili, e non gli ha dato la minima attenzione, facendole passare del tutto inosservate.

 Seguivano sei valzer di Chopin, semplicissimi e delicatissimi, quindi tutto il contrario di velocità e forza. Bisogna riconoscere che anche qui Trifonov se l’è cavata piuttosto bene, ma non benissimo: dov’erano la malinconia, la nostalgia e l’inquietudine dei Valzer op. 64 n. 3 e op. 34 n. 2? E anche un valzer brillante come l’op. 64 n. 1 perdeva molto della sua grazie ed eleganza parigine.

Dopo Chopin la Sonata op. 39  di Barber: non uno di quei capolavori che si staglia come un momento fondamentale nel panorama musicale di un secolo, ma comunque un’opera importante nell’ambito della produzione del compositore americano, che che sta appena un gradino al di sotto dei grandi della prima metà del Novecento. Si muove tra neoclassicismo, dodecafonia (annacquata) e blues (avvertibile soltanto ad un ascolto molto attento) e non chiede e anzi respinge un’esecuzione appena appena soggettiva. Trifonov la esegue dando chiarezza e risalto a tutte le note. Non ci vuole nulla di più né di meno.

Il concerto si concludeva con una suite di brani del balletto La bella addormentata  nella trascrizione per pianoforte di Mikhail Pletnëv, uno dei massimi eredi della grande scuola pianistica russa e allo stesso tempo eccellente direttore, quindi in grado meglio di chiunque altro di trasferire dall’orchestra al pianoforte questa musica, senza perdere nulla del suo fascino. Saggiamente Pletnëv ha scelto dal balletto di Čajkovskij soprattutto brani brevi e vivaci, che meglio si adattano al pianoforte, che Trifonov li ha suonati benissimo, mentre non ha reso altrettanto bene i numeri (Prologo, Visione e soprattutto Adagio e Finale) in cui Čajkovskij sfoggia le sue splendide melodie.

Grande ma non travolgente successo. Trifonov ha ricambiato con due bis: prima la Valse de Santo Domingo  di Rafael Bullumba Landestoy (non l’avremmo mai indovinato ma ce l’ha comunicato l’efficientissimo ufficio stampa) e poi Dolce Sogno  dall’Album della gioventù  di Čajkovskij, uno dei suoi tanti e poco noti piccoli pezzi per pianoforte, che meriterebbero di essere meglio conosciuti. Trifonov sembrava disposto a concedere altri bis, ma a quel punto gli ascoltatori hanno improvvisamente smesso di applaudire e si sono unanimemente alzati e avviati all’uscita.

 

 

 

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