Un originale viaggio tra jazz e musica contemporanea è quello proposto da Cello Jazz, un nuovo progetto inedito che affianca il compositore e virtuoso del violoncello Giovanni Sollima e l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Vito Giordano.
La Fondazione Orchestra Jazz Siciliana – The Brass Group, infatti, ospiterà questo evento in prima esecuzione assoluta al Real Teatro Santa Cecilia nell’ambito della Stagione Concertistica “Brass in Jazz 2024 - 2025 Musiche del nostro tempo” da venerdì 7 e sabato 8 febbraio – con doppio turno ore 19.00 e 21.30 – a domenica 26 gennaio, sempre con doppio turno ore 18.00 e 20.30.
In merito a questo evento, Ignazio Garsia – Fondatore e Presidente della Fondazione Orchestra Jazz Siciliana-The Brass Group – dichiara: «non credo che esista gioia più grande di sapere che per alcuni giorni ascolteremo musica interpretata da uno dei più grandi e stimati violoncellisti, un direttore e un'orchestra interamente siciliani al Real Teatro Santa Cecilia, eseguita in uno dei teatri più antichi (Secolo XVII). L'unico teatro pubblico storico che esista al mondo che la Regione Siciliana ha voluto destinare esclusivamente alla musica jazz e ai nuovi linguaggi musicali d'arte».
Lo stesso Giovanni Sollima interviene per spiegare nel dettaglio il senso artistico del concerto soffermandosi in peculiarità introspettive delle cifre stilistiche curate nel programma che lo vedrà protagonista assieme all’Orchestra del Brass Group.
![Giovanni Sollima](/sites/default/files/inline-images/PHOTO-2025-02-04-12-38-10.jpg)
Maestro Sollima, lei è protagonista di questa originale collaborazione con la Fondazione Orchestra Jazz Siciliana – The Brass Group, che propone una prima assoluta internazionale. La sua carriera l'ha vista attraversare confini musicali e culturali. Cosa l'ha affascinata maggiormente dell'idea di collaborare con un'Orchestra Jazz Siciliana, e come questa esperienza si differenzia rispetto alle sue precedenti collaborazioni?
«L’Orchestra Jazz Siciliana è una realtà straordinaria a livello mondiale, con alle spalle una storia importante e di grandissimo spessore non solo qualitativamente ma anche come esempio di esperienza fatta essenzialmente di empatia e senso della condivisione... e di purezza. Almeno questo è ciò che ho sempre percepito e che ho avuto modo di constatare già tantissimi anni fa quando venne eseguito un mio brano diretto dal mitico Gaslini. Non è facile trovare formazioni orchestrali in cui si “respiri” suono e umanità allo stesso tempo e questa è una delle ragioni della mia forte attrazione. Direi che effettivamente rappresenta la vera differenza con tante altre forma-zioni orchestrali».
Ci può raccontare qualcosa in più sul concept di questo nuovo progetto? Quali saranno i linguaggi musicali predominanti e in che modo il suo violoncello dialogherà con la matrice jazz dell'Orchestra?
«E’ un po’ come affrontare un viaggio e decidere cosa mettere in valigia… ho pensato a dei veri effetti persona-li; brani - non solo miei, ovviamente - a cui, per diverse ragioni, tengo particolarmente. Sui linguaggi mi sono mosso sempre con estrema libertà con nulla di veramente pianificato… il violoncello è uno strumento assai versatile, in grado di evocare voci, percussioni, strumenti a fiato, pianti, urla, sussurri, ecc. Almeno per come lo intendo io, e per come, da anni, ne ho “settato” la stessa tecnica».
![Maestro Ignazio Garsia Fondatore e Presidente della Fondazione Orchestra Jazz Siciliana The Brass Group](/sites/default/files/inline-images/WhatsApp%20Image%202025-02-05%20at%2014.18.26.jpeg)
Lei ha sempre sfidato le etichette di genere, dal barocco alla mu-sica contemporanea, fino al rock. In che modo ritiene che progetti come questo contribuiscano a ridefinire i confini tra musica classica, jazz e altri generi?
«Sinceramente non ho mai avvertito steccati tra i generi… anzi ho sempre provato enorme fastidio nel percepire barriere… ma questo vale per tutta la musica, che personalmente intendo come bene comune, come flusso che testimonia la molteplicità delle culture. I musicisti dell’epoca barocca - almeno a giudicare dalle antiche cronache – sono paragonabili alle rock star di oggi, l’approccio musicale, seppur con abissali differenze linguistiche, è assai simile tra i vari generi; l’architettura resta immutata, come la funzione e l’armonizzazione di un basso, passando per le pratiche improvvisative. E tanto altro ancora… Ma questo vale un po’ per tutti i generi, folk incluso».
Quanto è significativo per lei presentare un progetto così innovativo proprio a Palermo, sua terra d'origine, in un luogo simbolo come il Real Teatro Santa Cecilia, dove si sono esibiti sempre assieme all'OJS grandi nomi del jazz internazionale come Ron Carter, Patti Austin, Dee Dee Bridgewater e nel passato Charles Mingus, Miles Davis, Chat Baker... giusto per citarne alcuni? E come vede il ruolo di Palermo nella scena musicale internazionale?
«Anche il Teatro Santa Cecilia ha una storia forte e importante! Come il fatto di essere nella mia città. Tutto ciò ha sicuramente contribuito alla scelta di un programma. Anche Ron Carter, musicista che amo molto e che ha forti radici violoncellistiche vissute anche in modo sofferto per ragioni estranee alla sua volontà, è in qualche modo presente con un suo brano. In effetti, a pensarci, Ron Carter una ventina d’anni fa ha inciso al contrabbasso le Sei Suites per violoncello di Bach in un approccio magnifico, mescolando tecniche jazzistiche. Non so esattamente cosa si intenda per scena internazionale… credo in un luogo che abbia capacità produttive, che lanci forti segnali (non solo musicali), in cui ci sia volontà e capacità di osare, forza reattiva, percezione e sublimazione delle stratificazioni culturali, visionarietà, formazione vera, senza doversi aggrappare a logiche “si-cure” o anacronistiche. Palermo, spesso senza alcun vero progetto ma grazie alla sua particolarità e al suo mix genetico, ha mostrato di tanto in tanto di essere davvero proiettata (in effetti lo è) a livello internazionale. È una città forte e fragile. Dipende da quale angolazione si guarda, dipende da come la si vive e da quanto ci si sente responsabili…».
![L'Orchestra Jazz Siciliana al Real Teatro Santa Cecilia sede della Fondazione](/sites/default/files/inline-images/WhatsApp%20Image%202025-02-05%20at%2014.19.09.jpeg)
Il jazz vive di improvvisazione e libertà espressiva. Come si intrecciano questi aspetti con il suo approccio al violoncello e la sua sensibilità classica? Ci sono momenti di pura improvvisazione nel progetto?
«In effetti nel Jazz - come in altri generi - nell’improvvisazione coesistono libertà e regole ferree. Importante è non percepirle come freni inibitori. Io, a fasi alterne, pratico il Jazz fin da quando ero adolescente, ho divorato il Real Book, ho collaborato con musicisti Jazz (in passato anche Al Di Meola e Larry Coryell) e più recente-mente in duo sia con Ernst Reijseger che con Paolo Fresu (con Paolo abbiamo ufficializzato nei mesi scorsi il duo), o con Jaques Morelenbaum che mi ha dedicato e regalato alcuni brani e arrangiamenti. il violoncello nel jazz ha ormai da anni un ruolo importante e speciale (sono tantissimi i violoncellisti, inclusi quelli provenienti dal contrabbasso, come Dave Holland). E nel cassetto in effetti ho un progetto - al violoncello - a cui tengo tantissimo già da anni… aspetto solo il momento giusto per metterlo in pratica, ma che nel privato sarebbe anche pronto; una sorta di re-interpretazione della musica (che è vera essenza) di Thelonius Monk. La mia sensibilità classica - che non so in cosa consista esattamente, e che forse non ho - in effetti ha da sempre componenti op-poste che ne stravolgono (secondo me è quasi terapeutico) certi equilibri certamente ci sono ampie aree di improvvisazione all’interno del concerto, sia seguendo parametri consolidati che intese come destabilizzanti irruzioni».
Maestro con quale criterio sono stati scelti i brani per questo progetto? Ci saranno composizioni originali o rivisitazioni di classici? E in che modo le contaminazioni culturali e sonore della Sicilia influenzano la visione musicale di questo spettacolo?
«Certamente la Sicilia è entrata nel bagaglio degli effetti personali fin dall’inizio, pensando al programma. An-che quella Sicilia controversa… Ci sono due brani miei - anche se in parte riscritti - tratti da Ellis Island, un’opera di tanti anni fa, e che si specchiano in Migrantes di Francesco Buzzurro, ci sono brani di Ron Carter e Charlie Haden, brani gipsy, c’è un pezzo mio intitolato SKArlatti che metterebbe in relazione il Teatro Santa Cecilia, Palermo, mio padre adolescente, i bombardamenti del ‘43, il conservatorio e Alessandro Scarlatti, in parte è un pezzo Ska, ma non voglio spoilerare».
La musica è spesso una forma di narrazione e di messaggio universale. C'è un messaggio o un tema parti-colare che desidera trasmettere con questo progetto?
«Esattamente, come per il concetto di bellezza, è quasi un paradosso; la musica è potente perché innocua, quindi disarmante, e ha anche accompagnato e segnato rivoluzioni… o da esse stesse è scaturita! Sarebbe fantastico riuscire a combattere, con la musica, l'orrore del presente, ma è proprio il concetto guerrafondaio a non essere contemplato, quindi - la musica, in qualsiasi forma - può spiazzare per la sua fragilissima, devastante, invisibile e invincibile forza».
Per informazioni visitare il sito www.thebrassgroup.it.