Tristano in sedia a rotelle

Wagner a Liegi diretto da Bisanti

Tristan und Isolde (Foto © ORW-Liège/J.Berger)
Tristan und Isolde (Foto © ORW-Liège/J.Berger)
Recensione
classica
Opéra Royal de Wallonie-Liège
Tristan und Isolde
28 Gennaio 2025 - 08 Febbraio 2025

Era dal 1926 che all’Opera di Liegi non andava in scena Tristano ed Isotta di Wagner, ma l’arrivo alla direzione generale di Stefano Pace e alla direzione musicale di Giampaolo Bisanti ha aperto nuovi percorsi e questa nuova produzione è stata un successo. Non tanto per il visuale, anche se la messa in scena di Jean-Claude Berutti ha dei bei momenti. ma proprio per la direzione appassionata di Bisanti che ha saputo “far volare” l’orchestra, come qualcuno ha scritto dopo la première sui social, e anche per le buone voci scelte, con qualche distinguo. E’ stata la prima direzione di Bisanti di quest’opera, ma evidentemente è stata meditata a lungo e preparata con cura, si caratterizza per i cromatismi vividi e l’attenzione agli strumenti solisti precisi e ben messi in evidenzia. E dopo un inizio un poco esitante, solo per citare il primo dettaglio che abbiamo notato ancora da perfezionare, una frazione di troppo di tempo alla prima pausa del celeberrimo preludio, è stato un tripudio di romantico trasporto, intensissimo, con un finale esaltante che ha portato la sala a tributare la standing ovation agli artisti. Complice dell’impresa riuscita di Bisanti innanzitutto il soprano armeno che interpreta Isolde, Lianna Haroutounian, al suo debutto non solo nella parte ma nel repertorio wagneriano, voce non enorme ma potente, sicura nell’emissione, mai forzata, sempre ben proiettata, ha dimostrato grande temperamento e già matura capacità interpretativa del ruolo, solo alla fine ha mostrato qualche segno di stanchezza, ma poi si è saputo che ha affrontato la première mentre non stava bene, chapeau! Chi invece si è risparmiato la voce alla première nei primi due atti è stato il tenore drammatico svedese Michael Weinius, specialista di Wagner, che è apparso all’altezza della sua fama solo nel terzo atto, l’atto in cui Tristano è il grande protagonista, resta il disappunto di non averlo sentito cantare con quella voce e quella foga interpretativa per tutta l’opera. I due ruoli principali sono affiancati poi da altri bravi interpreti quali il mezzosoprano Violeta Urmana come l’ancella di Isolde Brangania che dopo anche lei un avvio discutibile, in cui a volte ha forzato un po’ troppo, ha trovato la giusta emissione; il basso Evgeny Stavinsky è il re Marke di Cornovaglia, bel timbro ma appare troppo giovane per la parte e il suo bellissimo, profondo animo russo trapela troppo nell’esprimere il dolore per il tradimento che invece dovrebbe essere più regalmente trattenuto; gran bella voce anche quella del baritono tedesco Birger Radde che interpreta il fido Kurwenal, cantante che ha tutte le qualità per essere protagonista ma qui risulta dal modo di fare un po’ esagerato, di chi vuol farsi notare, andando anche al di là del suo ruolo di scudiero. Bravi anche le parti minori e il coro diretto da Denis Segond. Il regista Berutti ha ambientato la vicenda nell’Ottocento e propone un Tristano che in sedie a rotelle (anche se dovrebbe essere morto), di fronte al mare rivive la sua storia d’amore con Isotta. Il doppio non si limita a ricordare ma arriva a prendere il posto del cantante come, in parte, purtroppo, nel duetto d’amore, quando Michael Weinius resta a cantare di lato, appoggiato alla sedia a rotella, oppure poi vediamo anche il doppio sorreggere Tristano, quindi sé stesso, morente. Le proiezioni del mare sono tra le immagini più belle della messa in scena, si combinano perfettamente con le ondate di passione che fa vivere la musica di Wagner. Della nave restano solo le vele e bastano, invece lo specchio su cui far riflettere la scena sa di già visto anche quando vi si proietta, girandolo ed in modo poco chiaro, il giardino sia visto dall’alto che di lato. Ed i due protagonisti sia avvolgono pure, come in un abbraccio a distanza oppure per proteggersi, nelle scene di fondo. Comunque, se le scenografie di Rudy Sabounghi, con i video di Julien Soulier e le luci di Christophe Forey, sono eleganti e abbastanza efficaci, i costumi di Jeanny Kratochwil  sono di buona fattura ma non caratterizzano bene i personaggi, proprio all’inizio ad esempio chi non conosce l’opera ha difficoltà a riconoscere chi è l’ancella e chi la principessa tanto sono vestite simili. E alla fine sono tutti abbigliati da medici e infermieri, anche Isotta è vestita da infermiera, passato e presente si confondono sempre più nel dramma infinito, esaltante quanto straziante, dell’amore. 

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