Nelle oltre 600 pagine di Pressure Drop – Reggae in the Seventies il giornalista e storico della musica giamaicana John Masouri ricostruisce e analizza il decennio che ha visto la nascita e lo sviluppo del reggae (non dimentichiamo che questo termine ha cominciato a essere impiegato per definire la musica giamaicana venuta dopo lo ska e il rocksteady a partire dal 1968, quando Toots & The Maytals pubblicarono il singolo “Do the reggay”) in Giamaica e in Inghilterra.
Attingendo a un archivio di interviste e articoli raccolti in un arco di tempo di circa 40 anni, Masouri ha realizzato quella che lo scrittore Alex Wheatle – abbiamo raccontato qui il suo ultimo libro Sufferah. Memoir of a Brixton Reggae Head – ha definito «un’indispensabile bibbia del reggae». Una storia avventurosa, controversa e immaginativa, con le sue origini nello spirito resistente e indomabile del popolo giamaicano.
Le pagine sono 624 per la precisione, ma l’autore fa intuire che avrebbero addirittura potuto essere di più: quella che abbiamo tra le mani è una panoramica sull’evoluzione della musica giamaicana attraverso gli anni Settanta. All’inizio del decennio il reggae era inciso quasi esclusivamente in Giamaica, con dei budget ridicoli, ed era comprensibilmente un fenomeno locale. Pochi anni dopo, il genere aveva prodotto delle stelle conosciute in tutto il mondo ed era stato sottoposto a varie alterazioni sonore basate sulla tecnologia e sui gusti, dando vita a scene un po’ dappertutto, ma soprattutto in Inghilterra.
In quei dieci anni l’industria del reggae è esplosa, con musicisti, studi di registrazione ed etichette discografiche che spesso lavoravano a ritmi prodigiosi, sia per la quantità sia per la qualità dei prodotti. Masouri menziona centinaia di dischi nelle pagine del suo libro che si rivela una guida geniale – non una di quelle che mettono in discussione lo stato di “classico” di un album, ma disposta a riconoscere che anche il reggae “ripulito” o addirittura “imbastardito” e con un occhio alle classifiche può essere uno sballo. Un esempio?
Se la “vacche sacre” sono punzecchiate, è soprattutto grazie agli aneddoti sul fiuto per gli affari di alcuni personaggi che possiamo considerare delle vere e proprie istituzioni: lo scomparso Lee “Scratch” Perry, responsabile come nessun altro in questo libro di aver aperto nuove frontiere sonore, è dipinto in alcuni momenti come un losco bastardo la cui nota “pazzia” era almeno parzialmente una messinscena per ottenere che la gente lo lasciasse in pace – per correttezza dobbiamo però ricordare che nell’ultimo anno di vita del suo Black Ark Studio prima dell’incendio che lo distrusse la quotidianità dell’Upsetter era diventata infernale, fatta com’era di postulanti che trascorrevano le giornate davanti all’ingresso dello studio cercando di farsi dare qualche soldo o sperando di ottenere un’audizione.
Masouri è un reggae fan sin da quando aveva 11 anni e durante il decennio di cui si occupa il libro è stato uno dei pochi volti bianchi che si vedevano nei reggae club londinesi, cominciando a scrivere di musica per professione a partire dal decennio successivo. Ciò nondimeno non è chiaro se Pressure Drop abbia avuto un revisore dei testi: la grammatica e la punteggiatura a volte goffe fanno sospettare di no, per non citare papere come quando definisce Don Letts un “reazionario” introducendo un aneddoto che indica l’esatto contrario.
Ma niente paura, questo è un libro la cui scrittura rimane comunque notevole, capace di accompagnarci in maniera piacevole lungo la cronologia degli eventi: ogni anno ha un capitolo dedicato, il cui titolo è quello di una canzone particolarmente significativa pubblicata quello stesso anno, e Masouri snocciola gli avvenimenti come avvennero giorno per giorno, con grande precisione. La natura compatta della scena reggae a quel tempo – la maggior parte dei protagonisti si conoscevano e si frequentavano – si riflette nella transizione armoniosa delle tematiche attraverso i paragrafi, aiutando a sostenere lo slancio.
«Pressure Drop non è solo per gli amanti del reggae: è una lettura indispensabile per chiunque interessato all’evoluzione della musica popolare» - Billboard
È un lungo racconto che parla dell’epopea rastafariana, della sua lotta per l’accettazione e, per qualche anno, della sua affermazione nella società giamaicana, della nascita del fenomeno dei toaster (U Roy, I-Roy, Dillinger, Big Youth, Lone Ranger, U-Brown e mille altri ancora), del dub (King Tubby, Lee Perry, Niney The Observer, Joe Gibbs e altri produttori con una tecnologia basilare ma dalle mani d’oro), degli stili rocker e lovers rock, degli studi di registrazione (Studio One, Treasure Isle, Channel One, Black Ark), di sezioni ritmiche da paura (i fratelli Barrett, Sly & Robbie, Style Scott & Flabba Holt), di cantanti eccezionali (Sugar Minott, Gregory Isaacs, freddie McGregor, Junior Byles, Jimmy Cliff, Burning Spear, Dennis Brown, Johnny Clarke, Cornell Campbell, Jacob “Killer” Miller, Horace Andy e mille altri ancora), di gruppi vocali altrettanto eccezionali (Congos, Wailing Souls, Black Uhuru, Heptones, Meditations, Culture e mille altri ancora), di Augustus Pablo che porta i rockers uptown da King Tubby per realizzare uno dei dischi più belli di sempre, di Bob, Peter & Bunny, di etichette discografiche (Observer, Tuff Gong, Island, Virgin, Frontline, Greensleeves e mille altre ancora), di una little island in the sun con due milioni di abitanti e una percentuale di artisti che non ha eguali al mondo.
Aveva ragione Bunny Wailer, quella è davvero la terra di sogno, la dreamland.
«C’è una terra di cui ho sentito parlare, lontano dall’altra parte del mare, avervi tutti con me, nella mia terra di sogno, per me sarebbe davvero come essere in Paradiso; prenderemo la nostra colazione direttamente dagli alberi, faremo una gita alle cascate e tutti gli splendori, li avremo tutti, e vivremo insieme in quella terra di sogno, e ci divertiremo un sacco. Oh, quello sarà un tempo bellissimo, oh sì, aspetteremo, aspetteremo, aspetteremo e vedremo, conteremo le stelle su nel cielo…e sicuramente non moriremo mai» - Bunny Wailer, Dreamland
Quando il reggae cominciò a diffondersi in Inghilterra, con gruppi come Cimarons, Aswad e Misty in Roots, e soundsystem (Sir Coxsone, Fatman HiFi, Saxon) che nascevano nelle maggiori città dell’isola britannica, la rivoluzione punk era dietro l’angolo, con personaggi come John Lydon (all’epoca Johnny Rotten, e tale continua a essere a casa mia) e Joe Strummer assolutamente appassionati di musica giamaicana e dunque strumentali per una sua ulteriore diffusione. Del resto, pensateci bene: immigrati giamaicani e giovani punk, gli ultimi gradini della scala sociale.
È abbastanza naturale che ci fossero dei punti di contatto, anche se, a ben vedere, i punk si appassionarono al reggae mentre gli immigrati giamaicani non ricambiarono in maniera altrettanto convinta.
The Specials e gli altri gruppi 2 Tone avrebbero ottenuto un maggiore apprezzamento incidendo sulla cultura giovanile al termine del decennio; Masouri scrive con passione di questi sviluppi sottolineando al contempo che essi rimpiazzarono il vero reggae e il dub nell’affetto – più vasto e più bianco – della critica.
L’autore non si tiene distante dai temi sociali ben radicati nella cultura reggae, con la discesa, lunga un decennio, della Giamaica dentro uno scenario feroce fatto di sanguinose lotte politiche tra Michael Manley, vicino alle posizioni castriste, e Edward Seaga, conservatore allineato alle politiche statunitensi al punto da essere soprannominato CIAga, armi, povertà e corruzione, temi regolarmente pronti ad aggiungere qualcosa ai ricordi di questa musica splendida ed epocale.
P.S. L’articolo sembrerebbe finito, in fin dei conti le ultime righe non sono male. Ma possiamo forse lasciarci senza ascoltare la canzone che dà il titolo al libro? Ecco dunque “Pressure Drop”, canzone incisa da Toots & The Maytals nel 1969 ma comparsa nel loro album del 1970 Monkey Man.
Prima ho nominato Joe Strummer: lui e i Clash si sono cimentati più volte con la musica reggae, spesso con risultati egregi. Propongo qui la loro cover di “Pressure Drop” – quella incisa nel 1977 co Lee “Scratch” Perry. Una chiusura col botto, concedetemelo, dai. Ah, dimenticavo: il reggae è noioso, è ripetitivo…
«Pressure Drop è un’ode al basso, il regalo che la Giamaica ha fatto al mondo, e alla cultura che è nata con lui» - Don Letts
John Masouri – Pressure Drop – Reggae in the Seventies (Omnibus Press)
Ennio Bruno