La sfida di Gringolts
Il violinista in recital per l'Accademia Filarmonica Romana
Rossa come i velluti del Teatro Argentina, la camicia di Ilya Gringolts. Solo sul palco per poco più di un’ora, con un programma tutto dedicato a Bach e autori coevi, imbracciava il suo Stradivari 1718 con la più grande destrezza possibile. Nulla pare impossibile a questo musicista ormai assurto ai maggiori livelli del concertismo internazionale. Eppure la sfida non era da poco. Un intero recital, per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, che proponeva sonate bachiane e composizioni di autori dell’epoca, in una omogeneità stilistica in cui i ritmi di danza delle antiche suites si tramutavano progressivamente in tempi di sonata da camera. Prodigiosa polifonia e mirabile enunciazione melodica si accostavano al virtuosismo più temerario. Insieme alla seconda sonata in la minore e alla terza in do maggiore di Bach non sfiguravano la Suite n.4 in do maggiore di Johann Paul von Westhoff, violinista di rilievo nella seconda metà del ‘600, e la Sonata in la minore di Johann Georg Pisendel. Quest’ultimo poi, eccellente violinista, nonché Konzertmeister a Dresda, giocò un ruolo nel far conoscere a Bach la musica di Vivaldi, apprendiamo dalle note di sala. Densa e impegnativa la sua Sonata, dimostra ancora una volta che esiste un terreno da cui nascono i capolavori dei grandi geni - nella fattispecie quelli del nostro Johann Sebastian. Grande concentrazione espressiva e assoluta facilità nel comunicare la sostanza di questo repertorio complesso, virtuoso al punto giusto, Gringolts è un grande protagonista. Con la scrittura aerea e fascinosa di Westhoff (Imitatione delle campane) e un Andante di Tartini si sono aperti nei bis spiragli di altri repertori, piccoli assaggi di ciò che un solista di questa levatura può riservare all’ascoltatore anche su terreni diversi.
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