Dieci titoli per un anno di musica? Si può fare, come cantava la Pfm in ere geologico-soniche rilevabili con il metodo del carbonio 14. A patto di non impugnare la successione dei titoli come una classifica con tanto di voce (Lelio Luttazzi!) che urli al mondo : “hit pareiiiiiid”!, e siamo di nuovo in un’altra era geologica.
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E dunque: la classifica sì, perché la umbertoechiana “vertigine della lista” in realtà ce l’hanno un po’ tutti, anche gli snob che fingono sprezzatura apicale per tutto, comprese nel lotto le liste: della spesa, dei dischi, dei libri, delle cose da fare, dei film da rivedere almeno una volta nella vita che, come la giovinezza “si fugge tuttavia”, come diceva Lorenzo de’ Medici. La classifica sì, lo sgomitare per le posizioni di testa non pervenuto. Tutti ex aequo.
1. Gaspare Di Lieto, A Journey Into Poetry, Notami
L’anno è il 2005, dunque bel tuffo all’indietro di quattro lustri. Il luogo la Campania, nelle città in particolare di Salerno e Napoli. Le occasioni per incidere due Festival: Altre Americhe, e Napolipoesia nel Parco nel capoluogo. Di Lieto col suo pianoforte ispido e dolcissimo al contempo ha attorno Alfonso Deidda al soprano, Giuseppe Plaitano al tenore, Aldo Vigorito al basso, Tommaso Scannapieco al basso, Gaetano Fasano alla batteria. Tutti concentratissimi a costruire un arazzo sonoro pulsante che avvolge, integra, rilancia, frantuma e ricompone le meravigliose prosodie poetiche recitate da Sonia Sanchez, Amina e Amiri Baraka, Genny Linn.
2. Eleonora Bordonaro, Roda, Finisterre
Se una cosa non c’è, bisogna inventarsela. E per inventarsela, bisogno mettersi davanti agli occhi e alle orecchie quello che si riesce a trovare, e poi comporre un qualcosa che prima non c’era in quella forma. Eleonora Bordonaro, sicula doc, è andata nel paese montano messinese dove si parla una curiosa lingua fatta di lacerti di lombardo, ligure, emiliano, piemontese, le bande di paese suonano trombe a un solo pistone napoleoniche, e non esistono canzoni. Sul tutto ha costruito una patchanka di pulsante vitalità, gioia e potenza in bell’abbinamento. Forse un nuovo pezzo di “tradizione” costruito proprio a partire da qui.
3. Paolo Fresu, Legacy, Tŭk Live
L’imponenza numerica dei dischi incisi da Paolo Fresu, a proprio nome o ospite dei più svariati impegni in studio o “live” altrui non deve farci dimenticare un dato fondamentale: non c’è un solo progetto del trombettista di Berchidda che sia men che degno di essere ascoltato e riascoltato. Qui l’azzardo per i suoi sessant’anni è stato totale: tre cd, che significa oltre tre ore di musica, e tutto quanto ascoltate concepito all’impronta, in improvvisazione, con tre formazioni diverse, lo storico Devil Quartet, il Quintetto, il Duo con l’amico di sempre Uri Caine. La bellezza del rischio.
4. Hawkwind, Stories From Time And Space, Cherry Red Records
Qui veramente si sfida ogni pregiudizio e giudizio scolpito nella pietra. “Storie dal tempo e dalla spazio” è il trentaseiesimo disco in studio per l’indomito Capitan Dave Brock e la sua ciurma di crononauti arrivati dai Sessanta a bordo di un’astronave già rattoppata allora, come il Millennium Falcon. Con i “live” si passano il centinaio. Ebbene, negli ultimi dieci anni Hawkwind ha pubblicato alcuni dei suo dischi migliori dai sempre (troppo) osannati inizi. Nessuno suona come loro lo space rock psichedelico, a volte sperimentale, a volte pesantemente trance e hard. E con testi che inchiodano i distruttori di vita del pianeta verde.
5. Maria Mazzotta, Onde, Zero Zero Nove
Il folk globale (non globalizzato) s’è avvicinato agli strumenti elettrici sei decenni fa. Chi mena scandalo a vedere una chitarra collegata a un amplificatore offende solo una persona e uno stato d’animo: se stesso e il senso del ridicolo. Ciò detto, è da rilevare che i muri di watt si sono alzati con bella potenza, negli ultimi tempi, e che se vanno ad abbracciare una voce “folk” altrettanto potente di un Marshall in saturazione se ne ascoltano delle belle. Come succede qui alla salentina Maria Mazzotta, con le corde di Ernesto Nobili e la batteria di Cristiano Della Monica.
6. Godspeed You! Black Emperor, No Title As Of 13 February 2024 28,340 Dead, Constellation
Se non esistesse, il collettivo di strumentisti canadese più vicino ad estetiche e poetiche libertarie, senza compromessi, bisognerebbe inventarlo. Nessuno come loro ha il coraggio di prender di petto le questioni cruciali e dolorose del nostro tempo, sempre in qualche misura legate all’arroganza infinita dei potenti e alle disuguaglianze estreme che crescono come un cancro. Certo, la musica è arte asemantica: ma anche trent'anni dopo, i climax possenti e struggenti assieme che sanno costruire loro, con un presagio di apocalisse che è tutt’altro che un’ipotesi, per molta gente sul pianeta, sono inimitabili. Efficaci e disturbanti.
7. Justin Adams e Mauro Durante, Sweet Release, Ponderosa.
Adams è l’uomo che sa indirizzare e fortificare il suono del desert blues, quando è nelle vesti di produttore, e il chitarrista che imprime non poca forza al gruppo di Robert Plant. Mauro Durante la guida giovane e sicura dello storico Canzoniere Grecanico Salentino. S’erano già incontrati una volta in studio e sui palchi, adesso hanno alzato l’asticella della potenza, aiutati da Alessia Tondo, dal gruppo psych-gnawa Bab L’Bluz e Felice Rosser. Da ascoltare tutto di fila, per gustarlo. Lasciandosi andare.
8. Ohad Talmor, Back To The Land, Intakt
Talmor è un francese di origine israeliana cresciuto in Svizzera, e perfezionatosi a Brooklyn. Un talentaccio: anche attore, splendido tenorista, clarinettista e suonatore di bansuri. Perché conosce bene anche la musica classica indiana. Qui è tutta un’altra storia, però, e tra le più convincenti e assieme sorprendenti dell'anno: messa insieme una compagine di musicisti così affiatati da potersi ricomporre in ogni assetto, Talmor ha messo mano con due cd alle imprevedibili composizioni inedite di Ornette Coleman, affiancandole a spezzoni di Dewey Redman. Ascoltare per credere.
9. Peggy Lee & Cole Schmidt, Forever Stories of: Moving Parties, Earshift Music
Arrivano da Vancouver entrambi, lei (omonima della Peggy Lee che fu del cool jazz!) suona il violoncello con una libertà brada e sinuosa assieme, lui la chitarra elettrica attingendo sostanza e idee da gente come Frisell, Rypdal, Torn. Assieme si sono messi attorno un bel po’ di musicisti sulla stessa lunghezza d’onda, a partire da Wayne Horvitz, ed ecco questo fresco prodigio che potreste indifferentemente definire post jazz, post rock, psichedelia, scuola Penguin Cafe, jazz nordico, minimalismo, sfioramento di svariate note “etniche” del mondo. Gran disordine sotto il cielo delle note: situazione eccellente.
10. Enrico Rava, Fearless Five, Parco della Musica
Ci sono musicisti che non invecchiano mai: precisano le proprie estetiche, e dal lì tornano a sbrigliare idee e fantasia in un momento della loro vita in cui dovresti supporre che poco ci sia più da fare. Considerate Enrico Rava: ha ottantacinque anni, il suo nuovo trombonista nei “cinque intrepidi” di anni ne ha ventisette. Quasi sei decenni li, eppure quando parte Lavori Casalinghi si incrociano tromba e trombone e l’emozione sale, inarrestabile. Elettricità visionaria e psichedelica, scintille liriche, potenza flessuosa su spalle giovani e lunghi capelli bianchi. Massimo rispetto, si diceva un tempo.