A Torino una Carmen nei quartieri periferici
Politica culturale e decentramento operistico della Lirica Tamagno
A Torino, per gli amanti dell’opera, l’Impresa Lirica “Francesco Tamagno” è una presenza rassicurante da trent’anni: fra le molte iniziative che porta avanti, c’è quella che negli anni Sessanta-Settanta si chiamava decentramento, ossia fare teatro fuori dai confini dei quartieri del centro storico (dove ha sede la principale Fondazione lirica cittadina) per renderlo una presenza costante nei quartieri ai margini; e al contempo, ripensarne la creazione proprio in ragione del luogo dove si fa. Molto è cambiato da quegli anni, ma questa necessità, che è politica e culturale insieme, è rimasta ad oggi largamente irrisolta.
Lo spettacolo La damnation de Carmen è un passo avanti in questa direzione. Già andata in scena il 21 settembre allo Spazio Cumiana (ex fabbrica Lancia) in Borgo San Paolo, ha replicato il 28 al Cinema Teatro Monterosa in Barriera di Milano (replica cui abbiamo assistito) e avrà una terza rappresentazione il 4 ottobre nelle Officine CAOS alle Vallette. Spazi non convenzionali e quartieri, in particolare gli ultimi due, ove risiedono alcune delle fasce più povere di italiani e migranti.
L’opera è un riadattamento della Carmen di Bizet a cura di Giuseppe Raimondo, condotto sulla scorta della Tragédie de Carmen di Peter Brook, Jean-Claude Carrière e Marius Constant. Quest’ultima era già stata portata in scena l’anno scorso dalla stessa Lirica Tamagno con la regia di Alberto Barbi, che realizza anche questa versione. Stavolta, però, lo scopo è differente: se quella era un’operazione principalmente artistica, di ricerca drammaturgica sui conflitti profondi di Carmen, questa è un’operazione soprattutto di politica culturale. Lo spazio scenico originario è riadattato alle esigenze di un piccolo teatro di periferia con le sue limitazioni architettoniche; e se per la prevista orchestra da camera non c’è spazio, si mette una tastiera al centro della scena. L’intera rielaborazione di Brook-Carrière-Constant è infatti intelligentemente ripensata in funzione della partecipazione sociale: lì, ad esempio, tutti i cori erano tagliati per giungere a maggiore asciuttezza drammatica, qui ne sono inclusi alcuni perché possano cantare i membri della Corale Francesco Tamagno e del Coro di voci bianche dell’Istituto Comprensivo “Caduti di Cefalonia”.
Il cast metteva insieme professionisti, amatori e giovani debuttanti o quasi. Con ciò non si pensi a uno spettacolo raccogliticcio, anzi. Una Carmen di lusso è Irene Molinari, cantante-attrice capace di infondere nel personaggio una energia e sensualità che fanno tutt’uno con la libertà di vivere e amare fino alle estreme conseguenze. Interprete di grande generosità, è in grado di modellare la sua voce ora con una linea di impeccabile fermezza ed equilibrio, ora con una di aggressività ferina che sconfina dal pentagramma, e di donare al pubblico straordinari affondi in un registro grave che è un lago nero di armonici. Ilaria De Santis è una raffinata e dolce Micaela, Danilo Formaggia un solido e squillante Don José, Jung Jaehong un Escamillo che trae la sicurezza di sé dalla risonanza del proprio timbro scuro. Ottimi anche gli attori nelle parti solo parlate, Alessandro Dichirico (impagabile Lillas Pastia) affiancato da Antonio Ciuverga, nonché Alice Rizzotto ed Entela Kulla nelle cui mani stavano rispettivamente le sorti pianistiche e corali dello spettacolo. Applausi decentrati per tutti in quel di Barriera.
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