Annata ricca ma non troppo, il 2023: i buoni album non sono mancati anche (me lo rivela Spotify, che non mente mai) non sono tantissimi quelli sopravvissuti a lungo negli ascolti, quei "grandi album" che ti cambiano la vita. O forse è solo troppo presto, e – viste le pratiche di ascolto contemporanee sempre più frammentarie e bulimiche – serve un po' di tempo per far sedimentare i capolavori?
Ci sono però delle eccezioni, e le trovate qui: ecco i miei 10 da salvare, riascoltare o scoprire ex novo. In ordine più o meno casuale (ma non del tutto).
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1. Jaimie Branch, Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war)) (International Anthem)
Prevedibile presenza fissa in molte classifiche, l’addio di Jaimie Branch alle scene è senz'altro album destinato a rimanere. Per quanto mi riguarda, soprattutto dopo averla vista dal vivo con Anteloper nel 2022, è stata una presenza fissa nelle mie cuffie. Jazz per chi ama ballare, o musica da ballo per chi ama la canzone… o forma canzone per chi ama il jazz, poco importa.
2. Paolo Angeli, NíJar (AnMa)
La chitarra sarda preparata di Paolo Angeli è trapezio per acrobazie senza rete, e macchina totale che produce musica difficile da catalogare e incanalare. Se – come è ovvio, visti i presupposti – nell’improvvisazione dal vivo si alternano momenti di pura ispirazione a fasi di passaggio più interlocutorie, in questo album Angeli riesce invece a mettere a fuoco quasi tutto, e sa farsi anche narratore, sulle orme di García Lorca.
3. Colin Stetson, When We Were That What Wept for the Sea (52Hz)
Certo, l’effetto wow del primo Colin Stetson – quella sospensione dell’incredulità che richiedeva il vederlo alle prese con i suoi sax, gestiti con microfonazioni speciali e respirazione circolare – è ormai scemato, dopo anni di live e dischi. Nel suo album del 2023, dedicato al padre, emerge però più chiaramente il musicista dietro il performer, e le voci di Iarla O’Lionaird creano la cornice narrativa.
4. Lankum, False Lankum (Rough Trade)
I dublinesi Lankum aggiornano la irish music per gli amanti dei soundscapes inquieti. Si citano gli Swans, ma anche Current 93 e dintorni: i suoni sono acustici, ma ora un bordone, ora una concertina filtrata, ambientano il tutto in un’Irlanda post-apocalittica.
5. Sufjan Stevens, Javelin (Asthmatic Kitty)
Non l’album migliore di quello che è per distacco il miglior cantautore in circolazione… ma un paio di pezzi (su tutti l’instant classic “Will Anybody Ever Love Me?”) bastano a farlo entrare nel cuore.
6. Tedua, La Divina Commedia (Epic Records / Sony)
La trap italiana è matura, e ormai produce album di grande raffinatezza e complessità. Non fatevi ingannare dal successo: non è necessariamente sinonimo di bassa qualità. Qui Tedua e il suo flow sghembo, irregolare, scrivono un romanzo di formazione insieme personalissimo e generazionale. Il disco che tra vent’anni ascolteremo per capire la musica italiana di oggi.
7. Lucas Santtana, O Paraíso (No Format)
Torna Lucas Santtana, ormai da anni certezza per le musiche d’autore del nuovo Brasile. Il cinquantaduenne bahiano mette qui insieme un delizioso affresco ecologista.
8. Gorillaz, Cracker Island (Parlophone)
Da sempre scettico sui Gorillaz dopo i primi due fulminanti album di ormai vent’anni fa, Cracker Island è il disco che mi riconcilia con il progetto iper-pop di Damon Albarn. Tra featuring e arrangiamenti plasticosi e ipercreativi, il disco regge anche sulla lunga distanza (e il pezzo con Beck che chiude tutto, "Possession Island" è canzone dell'anno).
9. Jantra, Synthesized Sudan: Astro-Nubian Electronic Jaglara Dance Sounds from the Fashaga Underground (Ostinato Records)
Viene dal Sudan storia più bella dell’anno, per uno dei dischi più bizzarri in circolazione.
10. Penguin Cafe, Rain Before Seven… (Erased Tapes)
Di disco in disco, la "nuova" Penguin Cafe si conferma carillon di incastri musicali perfetti e deliziosi. Nulla di nuovo, nullo di inaudito – per carità. Ma ogni tanto uno può pure ascoltare per puro piacere di farlo, no?