Un Verdi giovanile chiude la stagione del Teatro La Fenice

I due Foscari con Luca Salsi e Francesco Meli conclude con successo la stagione del teatro veneziano ricca di titoli verdiani

I due Foscari (Foto Michele Crosera)
I due Foscari (Foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
I due Foscari
06 Ottobre 2023 - 14 Ottobre 2023

 La stagione della Fenice aperta con l’ultimo Verdi del Falstaff , si chiude con un Verdi degli anni di galera: I due Foscari. Quest’opera dalle tinte nerissime, tratta dalla tragedia di Byron del 1821 e composta per il romano Teatro Argentina nel 1844, ebbe un’accoglienza deludente rispetto alle aspettative alte del compositore anche se per cause indipendenti dal valore del lavoro. Ambientata nella Venezia del 1457, racconta la vicenda del giovane Jacopo Foscari, figlio del doge in carica Francesco, di ritorno dall’esilio impostogli in seguito ai sospetti di un omicidio, che in realtà non ha commesso. L’ingiusta condanna viene confermata e a poco valgono le suppliche della moglie Lucrezia. Nemmeno la confessione del vero colpevole serve a salvare Jacopo dal suo tragico destino. La tragedia familiare non è che all’inizio, poiché gli intrighi del nemico Loredano forzano l’abdicazione dell’anziano Francesco, il quale muore di crepacuore per lo sdegno provocato dell’ennesima ingiustizia ai danni della sua stirpe.

Nonostante il sigillo verdiano, quest’opera resta fra le meno eseguite e non fa eccezione nemmeno il Teatro La Fenice dove l’opera mancava dal 1977, e a poco è servita la venezianità del soggetto e i costanti richiami alla grandezza (passata) della Serenissima. Ci arriva in un recente allestimento di impianto tradizionale proveniente dalla Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino della tarda era Pereira, firmato dal regista Grischa Asagaroff, che gronda venezianità posticcia e oleografica. La scenografia di Luigi Perego, autore anche dei costumi intonati all’epoca della vicenda, si risolve di una torre centrale, fatta ruotare con visibile sforzo da macchinisti coperti da mantelli neri lucidi (che curiosamente richiamano la tenuta del Dart Fener di “Guerre Stellari”), chiusa da una balaustra a fondo scena. Sulle quattro facciate, che descrivono i diversi ambienti della cupa vicenda, anche l’immagine della tomba di Francesco Foscari nella veneziana chiesa dei Frari, con la quale si apre l’opera come anticipazione del destino che attende i due Foscari del titolo. Come sempre accade in questi allestimenti puramente illustrativi (e taceremo delle scivolate sul terreno del kitsch come la festa per la regata del terzo atto con il coro con ferro di gondola come copricapo e stucchevole balletto di “otto ballerini otto”), elude e depotenzia la forza drammaturgica di un’opera, che al di là di qualche soluzione affrettata e di un libretto che non brilla per genio poetico, presenta già numerosi spunti del Verdi più maturo.

Assente il carismatico Domingo protagonista a Firenze, il cast veneziano può comunque contare sulla presenza di un cantante a tutto tondo come Luca Salsi nei panni del vecchio doge Foscari, che si impone per padronanza vocale e grande autorità interpretativa, soprattutto nel finale che Verdi affida interamente a lui. Di Anastasia Bartoli, Lucrezia Contarini consorte di Jacopo, colpisce soprattutto il vigore del mezzo vocale e la ferina istintualità di interprete, elementi chiave per un futuro più che promettente. Piuttosto deludente invece Francesco Meli come Jacopo, perché Meli è sempre soprattutto Meli: timbro luminoso, fraseggio piuttosto monocorde, ma anche qualche segno di usura che affiora qua e là a danno dell’intonazione. Fra gli altri interpreti, Riccardo Fassi disegna efficacemente un Loredano di sinistra cupezza, e Carlotta Vichi restituisce con eleganza di tocco il piccolo ruolo della Pisana. Corposa la prova del Coro del Teatro La Fenice preparato da Alfonso Caiani, ormai perfettamente rodato come coro verdiano.

Che il direttore Sebastiano Rolli conosca bene questa partitura non ci sono dubbi, certamente più dell’acustica di una sala come quella del Teatro La Fenice, che si presterebbe a far apprezzare le non poche finezze strumentali e vocali di questo Verdi giovanile e notturno anche con qualche decibel in meno. Molto apprezzabile comunque la prova dell’Orchestra del Teatro La Fenice soprattutto per la cura degli assoli, in particolare l’arpa nella cavatina di Lucrezia “Tu al cui sguardo onnipossente” di sognante incanto belliniano e il duo di violoncelli che introduce la scena onirica di Jacopo in carcere nel secondo atto.

Pubblico numeroso e molto generoso di applausi per tutti.

 

 

 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Ad Amsterdam Romeo Castellucci mette in scena “Le lacrime di Eros” su un’antologia di musiche del tardo rinascimento scelte da Raphaël Pichon per l’ensemble Pygmalion 

classica

Madrid: Haendel al Teatro Real

classica

A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln