Water From Your Eyes: nonsense, post punk e musica da camera
In Everyone’s Crushed il duo statunitense annuncia la fine dell’Impero Americano
Fra i dischi usciti recentemente merita attenzione Everyone’s Crushed dei Water From Your Eyes: duo costituito a Chicago nel 2016 da Rachel Brown e Nate Amos come “band di dance triste” sul modello dei primi New Order.
Dopo lunga gavetta, punteggiata da quattro album passati inosservati, la coppia scelse di trasferirsi a Brooklyn in cerca di fortuna, pubblicandone un altro paio e separandosi frattanto sul piano sentimentale, senza compromettere la partnership artistica: «Abbiamo provato a lasciarci in un modo che ci potesse permettere di continuare a fare musica insieme», ha confidato lei in un’intervista a “Pitchfork”.
Ingaggiati infine dall’influente etichetta newyorkese Matador, non hanno sprecato l’occasione, mettendo a fuoco e perfezionando quanto fatto in passato. L’episodio iniziale, a proposito, si lega in maniera esplicita al disco immediatamente precedente, riproponendone pari pari l’intestazione, “Structure”: l’arpeggio artificiale, un coro sintetico e la soave voce femminile (che dice: “Volevo solo invocare la pioggia, auspicando giorni di sole”) generano un effetto magicamente straniante. Segue “Barley”, con enumerazione monocorde per “contare le montagne” su molesto riff elettronico e successiva scossa ritmica di vaga ascendenza krautrock.
Inopinatamente, il verso conclusivo cita “Fields of Gold” di Sting, mentre più avanti, in “True Life”, dove gli spigoli di chitarra elettrica e la cadenza concitata rievocano il post punk dei Gang Of Four, viene tirato in ballo Neil Young: “Lasciami cantare la tua canzone, è così da un mucchio di tempo, dammi un’altra possibilità” (pare che i due avessero chiesto di usare frasi dal suo vecchio classico “Cinnamon Girl”).
Che abbiano punti di riferimento eterogenei era già chiaro del resto nella collezione di cover del 2021 Somebody Else’s Songs, il cui tracciato andava da Eminem a Nico passando per i Tears For Fears. Cosicché nel breve arco della mezz’ora e poco più di Everyone Is Crushed ci s’imbatte tanto nella cupezza ambientale di “Open”, che riecheggia le ultime imprese dei Low, quanto nel minimalismo ostinatamente austero del brano dal quale prende titolo il lavoro, affine viceversa allo stile dei latitanti britannici Prinzhorn Dance School, per soccombere poi all’idilliaca simulazione cameristica di “14”, cornice di un madrigale enigmatico e struggente (“Ho ricostruito ciò che ho cancellato, sono pronta a cacciarti fuori”).
A cosa allude, dunque, l’ostentato nonsense dei Water From Your Eyes (tipo: “Lei suona il pianoforte, l’ha rubato al centro commerciale, tutti i miei migliori amici si sono persi qui in mezzo al nulla”, durante “Out There”)? Forse a un certo smarrimento esistenziale, essendo l’album ispirato – sostiene Amos – “alla sensazione di vivere alla fine dell’Impero Americano”: “In questo momento la vita è terribilmente cupa, ma non per questo meno divertente”, recita l’incipit del comunicato stampa. Taglia corto, invece, il testo del pezzo posto in chiusura: “Mai indossato un lieto fine, ricorda che ci sono solo cose che accadono, compra il mio prodotto, adesso!”. “Buy My Product”, appunto.