Si intitola What you could not visualise il nuovo film di Marco Porsia, regista romano residente da anni a Toronto, di cui ci eravamo già occupati quando il suo film precedente – Where does a body end?, incentrato sulla figura di Michael Gira, il leader del gruppo di rock sperimentale Swans – fu presentato al festival torinese Seeyousound 2020.
Questa volta l’oggetto della storia ricostruita da Porsia è il gruppo Rema-Rema, immagino sconosciuto ai più e attivo – si fa per dire, e poi vedremo perché – per meno di due anni. Come per il film precedente, anche questa volta la storia comincia da un EP: nel primo caso fu Circus Mort (1981), dal nome del gruppo in cui Gira militava e contenente tre brani assolutamente devastanti, in questo Wheel in the Roses, quattro brani pubblicati per la gloriosa etichetta 4AD nel 1980, quando i Rema-Rema si erano da poco sciolti.
Lo so, la domanda sorge spontanea: perché fare un film su un gruppo misconosciuto che è esistito neanche due anni, ha fatto una dozzina di concerti (tutti a Londra) e ha inciso appena quattro canzoni (non è proprio così ma lo vedremo più avanti)? E il materiale d’archivio? Non ce n’è: se andate su YouYube non ci sono video di spezzoni di concerto né tantomeno video ufficiali realizzati dall’etichetta discografica.
Una bella sfida: una manciata di canzoni, una tra le copertine più misteriose e potenti di sempre, e poco altro.
«In effetti è così. Poi, mentre trovavo materiale e incontravo persone, mi è venuto naturale allargare un po’ l’orizzonte e quindi, oltreché ai Rema-Rema, dedicare questo mio nuovo lavoro a un periodo ben preciso, quello immediatamente successivo all’ondata punk, e a tutti quei gruppi che si affacciarono timidamente alla ribalta senza poi avere il successo sperato o addirittura meritato. Furono anni frenetici, molti gruppi durarono veramente poco senza avere neanche il tempo di arrivare a incidere un album, ma dal loro scioglimento nacquero altri gruppi, a volte persino più interessanti di quello originario».
«Quella dei Rema-Rema è una storia emblematica che può riassumere quella di un altro centinaio di gruppi di quel periodo».
«Quella dei Rema-Rema è una storia emblematica che può riassumere quella di un altro centinaio di gruppi di quel periodo. Alla fine spero che sia venuto fuori un atto d’amore e di riconoscenza per tutti coloro che ci hanno provato e che, per i motivi più svariati, non ce l’hanno fatta».
Ma perché proprio loro?
«Forse era il 1986, all’epoca frequentavo il negozio di dischi Disfunzioni Musicali a Roma e inciampai, diciamo così, nel disco dei Rema-Rema. La copertina mi incuriosì molto e poi vidi che era un disco della 4AD, all’epoca una delle mie etichette preferite, quella per cui incidevano i Wolfgang Press, e fui colpito dal fatto che due membri di questo gruppo – Mark Cox e Mick Allen – erano nella line-up dei Rema-Rema. Più tardi scoprii che insieme a un altro membro dei Rema-Rema – Gary Asquith – avevano formato un gruppo antecedente chiamato Mass [e adesso permettetemi di fare il fenomeno: grazie alla mia età non più verdissima e ai frequenti soggiorni londinesi, ho avuto modo di vedere dal vivo tutti e tre i gruppi; magari un giorno farò un’intervista a me stesso a proposito di quel periodo, gli aneddoti non mi mancano e potrebbe risultare divertente]».
«E poi c’era lui, Marco Pirroni, il più famoso dei cinque, uno che faceva parte del giro di Vivienne Westwood e Malcom McLaren, chitarrista per brevissimo tempo nei Flowers of Romance – gruppo che non incise neanche un brano e che non si esibì mai dal vivo ma in cui militarono Sid Vicious (poi Sex Pistols), il recentemente scomparso Keith Levene, prima Clash e poi PIL [e al quale abbiamo da poco dedicato un profilo], Palmolive e Viv Albertine (poi Slits) – e nelle prime esibizioni di Siouxsie & The Banshees».
«Bene, negli anni questo disco ha continuato ad avere un posto speciale nel mio cuore e poi quella copertina, bellissima: la foto fu scattata nel 1949 da un fotografo inglese al termine di un incontro di lotta, una sorta di wrestling, tra due membri dell’etnia Nuba del Sudan, al termine del quale tradizionalmente lo sconfitto porta sulle spalle il vincitore. E poi c’è questa rosa rossa: boh, non so spiegarlo ma a me sembra punk. Va bene la rabbia, va bene la protesta, va bene il nichilismo, ma non dimentichiamo che sotto c’era tanto romanticismo, magari non riconosciuto o inespresso, che ogni tanto riusciva a fare capolino».
«E poi c’è questa rosa rossa: boh, non so spiegarlo ma a me sembra punk».
«E, a sorpresa, nel 2019 è uscito, dopo 40 anni, Fond Reflections, quello che avrebbe potuto essere il primo album del “gruppo che non c’era”. Come puoi facilmente immaginare, questo album, fatto di demo, di brani in versioni diverse oppure dal vivo, ha rafforzato il mio desiderio di fare questo film».
Un gruppo piuttosto misterioso che si è esibito solo una dozzina di volte e anche in posti particolari.
«Sì, due o tre volte in studio di fronte agli amici, una volta in una casa, un’altra volta in un cinema, lo Screen on the Green [ci suonarono anche i Clash ai loro inizi], poi suonarono prima di Siouxsie e prima dei Cabaret Voltaire e dei Throbbing Gristle».
Un solo disco e lo scioglimento prima dell’uscita, senza neanche la possibilità di portarlo in tour e farlo conoscere.
«Tieni conto che nel frattempo Pirroni era stato contattato da Adam per entrare a par parte degli Ants: lui accettò, stufo di non avere un riconoscimento commerciale, e dobbiamo ammettere che ci vide lungo perché Kings of the Wild Frontier ebbe un successo pazzesco. Gli altri quattro membri del gruppo decisero di non proseguire: in effetti ognuno portava qualcosa di necessario, di indispensabile, e quindi l’abbandono anche di un solo membro avrebbe decretato la fine».
«Marco Pirroni è stato l’unico del gruppo che ha rifiutato di essere intervistato e mi è davvero dispiaciuto; evidentemente, a differenza degli altri, quello è stato un periodo poco importante della sua carriera e quindi reputa che non valga la pena ritornarci su».
Come hai cominciato a lavorare su questo film senza – lo ripeto – avere neanche un video di repertorio, solo qualche foto?
«Era il 2019, avevo finito il mio film sugli Swans e la mia ossessione per i Rema-Rema era ancora lì, anche grazie all’album, come ti ho già detto. Ho cominciato nella maniera più semplice, Ho rintracciato e intervistato quattro elementi del gruppo per vedere se c’era sufficiente materiale per pensare di andare avanti col lavoro. La storia mi è piaciuta e quindi ho allargato il giro, incontrando altre persone che avevano avuto contatti col gruppo e che quindi potevano aggiungere materiale».
«Ti sembrerò presuntuoso ma sentivo che avrei potuto fare un bel film; poi è arrivato il Covid e mi son dovuto fermare, iniziando però a lavorare a uno schema di pre-montaggio. Lo scorso anno ho ripreso a viaggiare e fare interviste, sono riuscito a incontrare Ivo Watts-Russell, il boss della 4AD, che ha accettato di parlare di questo gruppo, forse perché Wheel in the Roses è stato il primo disco della sua etichetta. Naturalmente ero a conoscenza della cover di “Rema-Rema” fatta dai Big Black e quindi ho incontrato Steve Albini. Poi sono venuto a conoscenza delle connessioni con l’etichetta di Chicago Wax Trax! e con le Malaria!, il gruppo berlinese creato da Gudrun Gut e Bettina Köster».
«A luglio ho capito che avevo raccolto ciò di cui avevo bisogno e che ero in grado di mettere insieme un buon film; in fin dei conti non avere materiale visivo del gruppo è stato persino un bene, mi ha costretto a essere più creativo e, a ben vedere, il mito del gruppo ne esce rafforzato».
Facciamo una pausa perché è arrivato il momento di ascoltare “Fond Affections”, una canzone che dopo più di 40 anni continua a fare a brandelli il nostro cuore.
Vi sembra di averla già sentita? Avete ragione, una versione cantata da Gordon Sharp era presente in It’ll End in Tears, il primo album (1984) di This Mortal Coil, il supergruppo che vedeva la partecipazione, tra gli altri, di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, Lisa Gerrard dei Dead Can Dance e Howard Devoto, prima coi Buzzcocks e poi coi Magazine.
«Ora l’inverno si sta avvicinando, i giorni diventano più vecchi. Guardando il tuo volto posso dire che il tuo cuore si sta raffreddando. Non c’è luce al termine di tutto questo, sediamoci tutti e piangiamo. Non c’è luce al principio, sediamoci tutti e piangiamo» - “Fond Affections”
Sei passato dagli Swans, di cui avevi un centinaio di ore di materiale registrato durante i concerti, in parte anche da te, ai Rema-Rema, di cui avevi niente. Ma una via di mezzo, no?
«[Risate] Diciamo che prima sono andato in overdose e poi mi sono disintossicato. Come giustamente hai detto tu prima, ho vissuto la genesi e lo sviluppo di questo film come una sfida, con l’umiltà di fare anche dei cambiamenti rispetto all’idea originaria. Arrivo a dire che è stato quasi un work in progress, da un’intervista usciva lo spunto per farne un’altra».
What you could not visualise è stato presentato con successo in anteprima a Londra il 10 novembre ed è un film assolutamente riuscito, capace, con il contributo di quattro dei membri originari del gruppo e di altri musicisti – uno tra tutti Stephen Mallinder dei Cabaret Voltaire –, di ricostruire non solo la storia dei Rema-Rema ma l’atmosfera e la vivacità culturale di quegli anni.
«I Rema-Rema sono un gruppo che piace ad altri gruppi. Come dicono gli anglosassoni, “a band’s band”» - Marco Porsia
Sarà possibile vedere questo film in Italia? La risposta è sì ma al momento non posso aggiungere altro. Nell’attesa… «Rema-Rema, Rema-Rema, Rema-Rema, Rema-Rema, ah ah ah ah!».
«Come mi piace dire, è uscito un Marco ma ne è entrato un altro: come a calcio, fuori Pirroni, dentro Porsia e si va a vincere con un gol in pieno recupero e viziato da un fallo a centrocampo» - Marco Porsia, ovviamente ridendo e con una birra in mano