Tre Mozart, l’uno dentro l’altro
Per la Trilogia d’autunno Ravenna Festival ha proposto un’originale lettura dei capolavori di Mozart e Da Ponte
Un’unica e ideale scatola scenica ha accolto, l’uno dentro l’altro, i tre capolavori di Mozart e Da Ponte Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, tre opere diverse per un’unica e originale lettura scenica proposta al Teatro Alighieri in occasione dell’ormai consueta appendice autunnale del Ravenna Festival.
La “trilogia italiana” per la “trilogia d’autunno”: è stata questa, in sostanza, la scelta per celebrare i dieci anni di una formula che ha offerto, nelle sue diverse edizioni, differenti declinazioni le quali, oltre all’opera lirica, hanno interessato la danza e altre forme di spettacolo teatrale. Uno spazio di indagine espressiva che in questa occasione ha proposto una sorta di giuoco di rimandi tra i tre lavori che Wolfgang Amadeus Mozart ha plasmato sui libretti di Lorenzo Da Ponte, immergendo le tre vicende in un ambiente scenico dal segno univoco, contestualizzando via via gli accadimenti che connotano i tre titoli attraverso variazioni su un tema rappresentato da tendaggi che vanno e vengono – ora aperti ora chiusi, ora legati ora disciolti, ora spostati ora strappati e così via – gestiti dagli stessi protagonisti che si muovono su un palcoscenico nel palcoscenico, attori e spettatori al tempo stesso delle vicende che stanno mettendo in scena in prima persona.
Questo, sia pur per sommi capi, l’impianto di fondo – tra commedia dell’arte e artificio del “teatro nel teatro” – della visione offerta da Ivan Alexandre, regista che firma questi tre lavori realizzati anche grazie al fondamentale contributo delle scene e dei costumi di Antoine Fontaine e che hanno visto il Ravenna Festival partecipare a una coproduzione che ha coinvolto anche altri teatri europei come lo svedese Drottningholms Slottsteater e l’Opéra Royal de Versailles.
L’allestimento è stato proposto in due sessioni tra il 31 ottobre e il 6 novembre, con la doppia messa in scena dei tre titoli in tre giorni consecutivi: chi scrive ha seguito dal vivo la recita de Le nozze di Figaro di venerdì 4 novembre, mentre Don Giovanni e Così Fan Tutte sono state visionate nella versione registrata che sarà resa accessibile gratuitamente per due anni sul portale www.itsart.tv (a disponibilità scaglionata: dall’11 novembre Le nozze di Figaro, dal 18 novembre Don Giovanni e dal 25 novembre Così fan tutte).
Nell’impianto drammaturgico di fondo più sopra ricordato, ha quindi preso forma la vicenda che segna Le nozze di Figaro, quella “folle giornata” che ha visto nella lettura di Giovanni Conti – il primo dei tre giovani direttori, già allievi dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti, che si sono alternati sul podio di una sempre reattiva Orchestra Giovanile Luigi Cherubini – una cifra attraversata da un efficace e maturo equilibrio, capace di assecondare un palcoscenico dove, per qualità vocale e segno interpretativo, sono emersi la maliziosa Susanna di Arianna Vendittelli, il Figaro spigliato e un poco gigione di Robert Gleadow e il Cherubino – cresciuto in brillantezza nel corso della serata – di Lea Desandre. Personaggi, questi, ben integrati in una compagine vocale – protagonista nel complesso una bella prova – completata dal Conte di Almaviva di Clemente Antonio Daliotti, dalla Contessa di Ana Maria Labin, dalla Barbarina di Manon Lamaison, dal Bartolo/Antonio di Norman D. Patzke, dalla Marcellina di Valentina Coladonato e dal Don Basilio/Don Curzio Paco Garcia.
Nella logica drammaturgica tratteggiata da Ivan Alexandre, concepita per unire idealmente le vicende delle tre opere, troviamo ad abitare un ideale arco temporale che lega i tre titoli la figura di uno stesso personaggio, caratterizzato dagli stessi abiti: «un libertino che chiamiamo Cherubino nella sua giovinezza, Don Giovanni in età adulta e infine Don Alfonso in vecchiaia». Ed ecco che, se alla fine della folle journée tutti i personaggi indicano lo stesso adolescente Cherubino in una sorta di allegro gioco accusatorio scaturito dall’universale assoluzione regalata dalla delicata melodia distillata dalla Contessa, in Don Giovanni ritroviamo il dissoluto ormai adulto e inesorabilmente impenitente a destreggiarsi tra le vicende che lo porteranno, quasi su un inesorabile piano inclinato, alla inevitabile punizione finale. Un protagonista qui interpretato dal timbro vocale solido e dal consapevole eloquio interpretativo di Christian Federici, affiancato dall’esuberanza di Gleadow, qui presente nei panni di un Leporello che porta tatuato sulla sua stessa pelle il famigerato catalogo delle conquiste del suo padrone ed alter-ego. Buona la prova degli altri interpreti vocali, a partire dalla Donna Anna di Iulia Maria Dan, per venire poi al Don Ottavio di Julien Henric, al Commendatore e al Masetto di Callum Thorpe, dalla Donna Elvira di Arianna Vendittelli e dalla Zerlina di Chiara Skerath. Alla direzione Erina Yashima ha impresso al discorso musicale un passo misuratamente controllato, quasi distaccato nel tratteggiare una vicenda che pare qui lasciare un significativo spazio gli aspetti più drammatici che innervano la partitura.
Lasciato Don Giovanni al suo destino, in Così fan tutte abbiamo infine trovato quell’atmosfera di giuoco disincantato e agrodolce che abita la “scuola degli amanti” amministrata da Don Alfonso – un anziano cinico e bonario al tempo stesso, qui incarnato da Christian Federici ancora impegnato a confermare le sue efficaci doti vocali e interpretative – e condotta dalla lettura che la direzione di Tais Conte Renzetti ha impresso ad un andamento musicale il quale, se non ha regalato particolare enfasi alle sottigliezze espressive celate in partitura, si è comunque confermato nel complesso più che adeguato. Un carattere condiviso anche dal palcoscenico, sul quale si sono distinti per buon impegno la Fiordiligi di Ana Maria Labin, la Dorabella di José Maria Lo Monaco, il Guglielmo di Florian Sempey, il Ferrando di Anicio Zorzi Giustiniani e la Despina di Miriam Albano. Quest’ultimo personaggio, in particolare, appare qui come una sorta di apprendista dello stesso Don Alfonso, rievocando in qualche modo la figura di Cherubino e chiudendo quel cerchio narrativo che lega idealmente la concezione di Alexandre e che qui – al di là di qualche frammento melodico rievocato dal puntuale fortepiano di Lars Henrik Johansen – trova gli innesti drammaturgicamente forse meno efficaci con le due opere precedenti.
Teatro esaurito per tutte le recite, con un pubblico in significativa parte straniero e generoso di convinti applausi rivolti a tutti gli artisti impegnati in questa sorta di tour de force mozartiano.
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